Ci sono autori che sanno trattare argomenti tutt’altro che semplici con una soavità, una leggerezza, un’armonia rara, mischiando ironico a commovente, senza cadere mai nell’eccesso. È quello che sa fare, secondo me egregiamente, Alina Bronsky. Autrice nata a Ekaterinburg ma naturalizzata tedesca, che mi aveva già conquistata totalmente con L’ultimo amore di Baba Dunja.
Non è facile trattare di vecchiaia, di solitudine, di vita al capolinea e di scelte ormai compiute e quindi per certi versi irreversibili, intessendo la narrazione in modo lieve, in storie che hanno un sapore malinconico ma mai triste.
Non è da meno questo suo ultimo romanzo Barbara non sta morendo. Una storia incentrata su Walter Schmidt, marito della Barbara del titolo, uomo burbero, che nella vita ha sempre fatto quello che preferiva, senza coltivare sentimenti, considerati una perdita di tempo, dal momento che di quell’aspetto, come di molti altri, se ne è sempre occupata la moglie.
Il tranquillo e ripetitivo tran tran di Walter è travolto dall’inaspettato crollo della moglie. Una mattina la trova riversa in bagno e da quel momento, seppur l’uomo minimizzi e cerchi di giustificare lo stato sempre più prostrato della consorte, Walter si trova suo malgrado a doversi occupare di incombenze domestiche che mai e poi mai avrebbe pensato di dover compiere.
Il romanzo ruota attorno proprio alle reazioni di Walter, il modo in cui affronta la malattia della moglie. Una malattia mai dichiarata, sempre sussurrata, dai tratti preoccupanti, che si evincono dalle reazioni dei figli e dalle loro visite sempre più frequenti a casa, dalla richiesta di informazioni degli amici, dei vicini di casa. Ma sempre negata, minimizzata, esclusa dal protagonista.
Walter è pieno di pregiudizi: contro gli immigrati, contro le persone nere – guarda con un pizzico di sospetto il nipotino ‘color cioccolatino’ e si riferisce alla ex moglie del figlio senza nominarla mai -, contro le scelte non convenzionali – fa finta di non vedere e non capire cosa ci sia tra la figlia e l’amica con cui convive. Un uomo abitudinario che porta a spasso il cane sempre alla stessa ora, bazzica un bar con gli amici il giovedì sera, e non ha nessuna intenzione di modificare nulla le sue abitudini.
Eppure l’assenza di Barbara, sempre più isolata in un suo mondo, sempre più debole e dipendente lo costringe a poco a poco a cambiare. E così quello che era il regno di Barbara: la cucina diventa il regno di Walter, il cibo il suo messaggio d’amore, la sua dichiarazione di cura, di attenzione nei confronti della moglie. Comincia a chiedere istruzioni per preparare alcuni piatti, prima alla commessa dai capelli blu della panetteria, e poi tramite Facebook entra in contatto con un mondo di ricette, di consigli, di suggerimenti, di dosi. E quello che inizia come una necessità via via si trasforma in una passione: Walter è bravo, a volte persino più della moglie, a preparare piatti complessi, che sa piacere molto alla sua sposa, dalla zuppa di latte, al Boršč, al pan di Spagna soffice e delizioso come non mai. Piatti che poi regala al figlio, sempre più perplesso, porta al centro ricreativo come faceva la moglie o regala al senzatetto che vive nel sottopassaggio.
[…] All’interno la torta era un po’ umida, ma squisita, profumata, non troppo dolce. Non lo avrebbe mai detto a Barbara ma quella torta era più buona della sua. Era il miglior Pan Di Spagna che avesse mai assaggiato e prepararlo – come gli aveva assicurato la ragazza del fornaio – richiedeva pochissimo sforzo: pesavi, mescolavi e fine.
Il tutto mantenendo intatto un atteggiamento diffidente e scontroso.
E al centro della narrazione c’è proprio la presa di coscienza di un uomo che dopo cinquantadue anni di matrimonio inizia ad intravedere qualcosa di diverso. Non la donna osteggiata dalla propria madre, la straniera, che grazie a lui ha iniziato a parlare un tedesco fluido e senza accenti, ma una donna piena di interessi e di attività, vivace, generosa, coinvolta nel tessuto sociale cittadino, dal volontariato presso il centro giovanile e ricreativo, alla palestra con la amiche. E aprendosi poco a poco agli altri scoprirà anche aspetti che non conosceva della moglie e di conseguenza di se stesso.
Barbara non sta morendo è la storia dolce amara di una trasformazione, del lento processo di consapevolezza che investe un uomo alle prese con le fragilità della vita, con aspetti e scelte che ha voluto accantonare per non soffrire.

Alina Bronsky si rivela ancora una volta maestra nel raccontare personaggi anziani, nel rendere perfettamente le pieghe di caratteri forti, sferzati dalla vita ma mai rassegnati, e soprattutto nel non cercare di tratteggiare personalità piacione o simpatiche con cui il lettore possa empatizzare. I suoi sono anziani egoisti e bisbetici che a poco a poco devono uscire dal loro guscio per riaprirsi alla vita.
Un libro scritto benissimo, coinvolgente e commovente, mai retorico o didascalico, con il giusto tocco di brio ed ironia. Consigliato.
Barbara non sta morendo, di Alina Bronsky, Keller editore (2025), traduzione di Scilla Forti, pag. 248