L’autodeterminazione di Jane Eyre

Mentre leggevo per la seconda volta Jane Eyre mi sono domandata perché questo libro piaccia così tanto e perché venga annoverato da tantissime donne tra i libri del cuore. E, a prescindere dall’indubbio valore letterario e dai gusti personali, credo che il motivo vada cercato nel personaggio di Jane Eyre. L’eroina letteraria di Charlotte Brontë costituisce un modello a cui ispirarsi. Una donna che ancora oggi, a più di un secolo e mezzo di distanza, continua a rappresentare un’ideale femminile fedele a se stesso, alle proprie idee, capace di rinunciare all’amore perché contrasta con la propria morale. Una donna resiliente e volitiva. Una donna che ci sussurra all’orecchio: anteponi te stessa, le tue idee, la tua vita a tutto il resto, non aver paura di credere che il tuo orizzonte possa essere più ampio di quello che vedi, non temere di sognare in grande, non ti far ingabbiare dalle regole sociali, da quello che è lecito per una donna fare o non fare. Solo quando tu sarai salda su quello che vuoi, potrai amare nel modo giusto un’altra persona, senza che questa ti sottragga niente o ti imponga la sua visione delle cose e del mondo.

La storia di Jane Eyre è nota: una bambina orfana, cresciuta senza amore nella casa di una zia. Mandata in collegio per imparare un mestiere, l’unico allora consentito alle bambine. Nella scuola di Lowood incontrerà rigore, privazione e sofferenza, ma anche l’amicizia con Helen Burns e successivamente la stima e l’affetto di Miss Temple, la direttrice della scuola. Cresciuta, dopo aver insegnato per qualche anno proprio a Lowood, deciderà che è arrivato il momento per lei di cambiare strada, di provarsi e metterà un annuncio per diventare istitutrice. Arriverà così a Thornfield Hall, dove conoscerà Adele, una bambina francese, presa sotto l’ala protettiva da un misterioso e scostante lord. L’incontro con Mr Rochester cambierà la vita di entrambi.

Da quel momento, lui si confida con lei, le dice che vuole cambiare, che sa di aver commesso tanti errori nella vita e vuole fare ammenda e avere l’opportunità di raddrizzare la propria esistenza. Lei è incuriosita e attratta da lui, seppur consapevole del divario sociale che li divide, del proprio aspetto dimesso e poco affascinante. Crede che lui stia per sposarsi con una dama altezzosa ed altera con cui flirta apertamente, ma scoprirà poi che è tutta una trama dell’uomo per ingelosirla. E’ lei che vuole, la sua serietà, la sua delicatezza e prudenza gliela hanno resa cara più che mai e vuole sposarla. Accadranno ancora tanti fatti prima che il libro giunga alla conclusione, ma in tutto il punto focale è sempre e solo Jane.

Jane Eyre è orfana. E’ sola. Nessuno le vuole bene. Non ha nessuna considerazione sociale. E’ povera. E’ brutta o almeno così si descrive, “Mi sembrava una disgrazia essere così piccola e scialba, e avere delle fattezze così irregolari e marcate”.

E’ un’istitutrice che per l’epoca rappresentava uno dei lavori più umili e bassi a cui si potesse ambire. Figura tutto sommato trasparente se non fosse per il fuoco che le brucia dentro, per la determinazione a non piegarsi a quello che gli altri le impongono.

Eppure…

Jane Eyre ha volontà, coraggio, autonomia, ardimento, uno spirito indomito e battagliero ed è sincera fino a essere giudicata impertinente. Ha un amor proprio fortissimo, un’autostima tale da essere capace di affrontare qualsiasi prova pur di non rinnegare se stessa. E grazie a quella forza interiore pazzesca, e ad un codice morale che la guida come una bussola, è spinta a fare sempre e solo quello che è meglio per lei, anche se vuol dire allontanarsi dalla casa della zia Reed da ragazzina, lasciare la scuola dove ha studiato ed insegnato per seguire la voglia di qualcosa di più e di diverso successivamente, ma soprattutto staccarsi da Thornfield Hall, il luogo in cui si è sentita a casa per la prima volta e rinunciare all’amore dell’uomo che le ha rubato il cuore, affrontando un futuro incerto e un avvenire nebuloso, senza soldi né mezzi.

Jane crede in se stessa al punto da trovare in più occasioni la forza di dire di “No” a tutto quello che non le piace, non la convince. E tutto questa forza interiore se l’è costruita da sola, grazie ad un carattere risoluto che non si è mai piegato di fronte alle avversità. Jane ama, ma non si lascia trascinare dai sentimenti che prova, la sua lucidità, la dignità e la coerenza che deve a se stessa superano persino l’amore che nutre verso Mr Rochester. Una figura letteraria immensa in una storia di prove, di ostacoli e di rinascite, su cui spicca sempre, luminosa come una stella, la protagonista.

“Io non sono un uccello e non c’è rete che possa intrappolarmi; sono un essere umano dotato di libertà e di una volontà indipendente, di cui ora mi valgo per lasciarvi.”

Proprio per queste caratteristiche Jane Eyre incarna la rappresentazione della disobbedienza femminile, esempio ancora oggi di come dovrebbe essere una donna: testa alta e determinazione a vivere la propria esistenza come meglio preferisce. Capace di dire NO e di non farsi manipolare da nessuno, non solo da chi fondamentalmente disprezza come il preside del collegio o da chi stima come St John, ma anche dall’uomo che ama con tutto il cuore. Una donna che non vuole essere trattata come una bambola e non è disposta a farsi ornare, farsi comprare abiti e gioielli, lei è così e chi la ama deve amarla per quello che è compresi gli abiti austeri da quacchera che indossa. Una donna che vuole essere autonoma anche economicamente, non vuole dipendere nemmeno attraverso i soldi da qualcuno, seppur questo qualcuno la ami.

E pensare che questa eroina letteraria nasce in epoca vittoriana, agli antipodi dalla donna sottomessa, senza carattere e senza opinioni che era considerato l’ideale dell’epoca.

E nasce dalla penna di una donna che nella sua eroina innesta tantissimo di se stessa.

Avevo già letto Jane Eyre e avevo già apprezzato questa ragazza fiera ed indomita che non esita a sacrificare l’amore per Rochester perché non gli garantisce quella dignità di cui necessita come l’aria. Eppure, dopo aver letto due biografie di Charlotte Bronte rileggere Jane Eyre è stato un viaggio ancora più interessante perché ho notato la quantità impressionante di richiami alla sua vita.

Le sue esperienze, le sue sofferenze e persino la sua voglia di essere più determinata confluiscono tra queste pagine. Jane Eyre è l’immagine di Charlotte seppur potenziata. A Jane Charlotte attribuisce la poca avvenenza – con cui dovette fare i conti anche lei nella vita -, la mancanza di prospettive matrimoniali – visto che entrambe non avevano una dote -, la necessità di guadagnarsi da vivere da sole – ricoprendo il ruolo di istitutrice o insegnante, che per entrambe era comunque una forzatura alla propria natura ed aspirazione -, e ancora una dose di inquietudine – che le spingeva a guardare oltre l’orizzonte che si parava davanti. Jane, inoltre, disegna proprio come Charlotte. A lei però fissa un destino migliore del suo, le regala un lieto fine che nel momento in cui scriveva non era a lei destinato.

E tramite la sua eroina grida a gran voce che la donna deve essere considerata al pari dell’uomo, valutata al pari di lui, non inferiore, mai.

“Perché dovrei restare, per diventare nulla per voi? Pensate che sia un automa? Una macchina senza sentimenti? Che possa sopportare di vedermi strappare di bocca il mio tozzo di pane e rovesciare dal bicchiere il sorso d’acqua che mi dà la vita? Pensate che, perché sono povera, sconosciuta, insignificante e piccola, non abbia un’anima e un cuore? Pensate male! Ho un’anima grande proprio come la vostra e un cuore altrettanto ricco! E se Dio mi avesse dotato di bell’aspetto e abbondanti ricchezze, allora vi avrei reso la separazione altrettanto difficile quanto lo è per me”.

Jane Eyre, pubblicato nel 1847, è un romanzo sublime, che ad ogni rilettura regala qualche altro particolare, qualche ulteriore riflessione e che ci regala una delle protagoniste letterarie più indimenticabili e moderne della storia della letteratura.

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