Un caleidoscopio di storie, di racconti, siparietti comici alternati a momenti epici ed altamente drammatici, in mezzo pagine e pagine di discussioni tra i fautori della schiavitù e chi invece la considera un’ignominia aberrante, un peccato contro Dio.
Un romanzo discontinuo, a versi appassionante, a volte noioso, spesso troppo moraleggiante e intriso di religiosità biblica e di sentimentalismo.
Su tutto spicca la fede infallibile ed invincibile di Tom, che diventa il simbolo di tutti i neri che hanno subito sulla proprio pelle la schiavitù.
Tom che nelle più terribili prove e tribolazioni vede nella parola di Dio e nell’esempio di Gesù crocifisso l’unico antidoto alle sofferenze. Tom, sempre capace di giustificare, di accettare, di subire, martire di una condizione ingiusta e per questo personaggio immenso ma difficile da capire.
Sicuramente l’autrice voleva raccogliere in un unico volume la maggior quantità possibile di esperienze, di voci, di racconti sulla schiavitù, sulle possibile esperienze positive (poche) e negative, ai limiti del sadismo (troppe) degli schiavi del Sud. Il risultato è una storia corale, a mio parere, troppo discontinua, più vicina ad un pamphlet che non ad un romanzo.
Non è stato facile arrivare al termine di questa lettura. Ci sono stati momenti in cui l’avrei abbandonato volentieri e solo grazie alle mie compagne di lettura, ho tenuto duro, resistendo agli infiniti sermoni di cui è costellato il libro e cercando di coglierne tutta l’essenza rivoluzionaria e il messaggio di uguaglianza.
Non bisogna però dimenticare l’importanza che questo romanzo, pubblicato nel 1851, ebbe e il valore simbolico che rappresentò. Tom è infatti diventato l’emblema dello schiavo, l’immagine a cui qualsiasi romanzo successivo si richiama e si ispira.
Illuminante per comprendere appieno l’essenza di questo libro è l’ultimo capitolo in cui l’autrice stessa spiega, che in seguito alla legge del 1850, sul dovere di rimandare in schiavitù gli schiavi fuggiaschi, ritenne suo dovere illuminare i cittadini del Nord, che potevano non conoscere appieno tutte le piaghe della schiavitù. E decise di farlo attraverso i racconti, che per quanto inverosimili, erano invece tutti assolutamente veri, degli orrori, dei patimenti, delle sevizie e delle violenze incredibili che gli schiavi subivano sulla propria pelle, trattati come bestie, senza diritti, alla totale mercé dei capricci dei padroni e delle beffe del fato.
Questo romanzo, inoltre, rappresentò la miccia finale per l’avvio della Guerra di secessione e la fine della schiavitù negli stati del Sud.
La capanna dello Zio Tom di Harriet Beecher Stowe – Bur ragazzi (2018) – pag. 549