I giorni del giudizio di Giampaolo Simi inizia come un giallo.
Dopo una descrizione scarna ma assolutamente centrata delle due vittime: Esther Bonarrigo, bella e curata, la moglie di un ricco imprenditore, con cui ha creato un impero di piccoli locali dall’atmosfera informale, centoventisette Italian Food&More, che per ogni post del suo profilo da ottocento mila followers su Instagram raccoglie più di diciottomila like, e Jacopo Conti, trentuno anni, restauratore specializzato in pitture murali ma al momento disoccupato, il cui ultimo post su Facebook, un selfie con la fidanzata, ha raggiunto quarantuno “mi piace”. Due persone che più diverse non si potrebbe, uccise nella stessa notte e nel medesimo luogo, seppur in posti diversi della bellissima e rinomata villa della Falconaia nella campagna a nord di Lucca.
Nulla sappiamo delle indagini e nulla più delle due vittime di cui verranno ricostruiti movimenti e passioni solo durante il processo, perché è quello su cui si concentra l’autore: il processo che vede come imputato il marito di Esther e che essendo celebrato in corte d’Assise richiede la presenza di sei giudici popolari. Sei persone senza competenza giuridica, cittadini comuni che sono scelti a caso per dirimere una storia intricata e complessa. E qui veniamo subito avvertiti: il processo non cerca la verità, non va a caccia di tracce o indizi, quelli devono già essere stati raccolti e valutati dal Pubblico Ministero, chi giudica deve solo valutare se l’impianto accusatorio regge, se le prove raccolte sono sufficienti e concordanti a far emergere la responsibilità penale di chi potrebbe essere condannato a passare parecchi anni, se non addirittura tutta la vita, in carcere.
– Una condanna non si basa su quello che è possibile – mette in chiaro ad un certo punto, – una condanna si basa sul fatto che qualsiasi altra ipotesi non è possibile.
E il riflettore si accende quindi sui sei membri della giuria chiamati a decidere insieme ai due giudici togati. Sono loro ad essere i veri protagonisti del romanzo, suddiviso in parti ognuna dedicata proprio ad uno dei membri della giuria popolare.
C’è Emma piacente cinquantenne, proprietaria di una boutique a Viareggio, snob e insoddisfatta. C’è Terenzio infermiere in pensione, con un matrimonio traballante e un livore nato da un’ingiustizia. C’è Serena, giovane impiegata in una birreria, sempre fuori posto, che vorrebbe una vita diversa. C’è Iris bibliotecaria, salutista che viaggia in bici e vive arroccata in un casolare. C’è Malcolm, italo scozzese che grazie alle sue recensioni di videogiochi su YouTube ha conquistato un certo prestigio fra gli estimatori. E infine Ahmed, spagnolo ma per tutti marocchino, costretto a fare un lavoro mal pagato e a vivere in un sottoscala, sempre guardato con sospetto.
Sei persone diverse, per estrazione, cultura, idee politiche, alcuni con in testa un’idea già precisa sul caso, visto che giornali e TV hanno scandagliato ogni particolare e ricostruito ogni dettaglio, non esenti da un pizzico o molto di più di acrimonia verso l’imputato, bello ricco e famoso a cui la vita pare avere dato tutto mentre loro lottano quotidianamente per sopravvivere. Sei persone chiamate a condannare o assolvere una persona solo sulla base delle ricostruzioni fatte in aula, stabilendo se siano più calzanti e quindi più vicine al vero, le tesi accusatorie o quelle portate a discolpa dalla difesa.
– Appunto. Ma noi non dobbiamo valutare se merita o non quella pena… tantomeno per quello che ha fatto o detto, di giusto o di sbagliato, dopo la sera del 13 luglio. So che è difficile, ma noi dobbiamo avvicinarci il più possibile a ricostruire dei fatti… fatti che non sono più davanti a noi, a cui nessuno di noi ha potuto assistere. Ci restano solo delle tracce, dei segnali. Degli echi, se preferisce. Dobbiamo ascoltare questi echi facendo bene attenzione a non farci ingannare da risonanze, cercando di capire bene da dove provengono e chi li ha generati. Per lei l’uccisione di Esther Bonarrigo e Jacopo Conti è accaduta nei termini in cui l’accusa l’ha descritta in aula?
Giampaolo Simi sotto le sembianze di un giallo racconta le contraddizioni e miserie del nostro paese, mettendo in risalto i tornaconto economici, le collusioni, i poteri forti che tramano nell’ombra, le disuguaglianze, le invidie, le pressioni più o meno manifeste che si scatenano in ogni processo mediatico dove non è tanto la giustizia ad essere importante quanto tutto il corollario di interessi che gli ruota intorno.
Simi non dà giudizi, non prende posizioni, la sua non è una storia etica, quanto il racconto della difficoltà sempre maggiore di distinguere vero da falso, di farsi un’idea scevra da condizionamenti e preconcetti. E ci regala un romanzo cinico, fatto di varia umanità né buona né cattiva, che vive in una sorta di grigio della coscienza, incapace di schierarsi, pronta a cambiare bandiera, a seguire la corrente o a cercare un proprio tornaconto.
Giampaolo Simi scrive un noir tagliente in cui alle vite dei sei protagonisti intreccia la descrizione delle dinamiche di un processo, dando vita ad un affresco amaro e brutale della realtà dei nostri tempi.
I giorni del giudizio di Giampolo Simi – Sellerio editore Palermo (2019) pag. 543