Sentirsi a casa

Quando si è amato tantissimo un libro ed esce il seguito si è sempre divisi e combattuti tra due stati d’animo opposti. Non vedere l’ora di leggerlo e avere una paura folle di rimanere delusi. Ed è con questo stato d’animo che mi sono avvicinata a Da qualche parte al di là del mare seguito del meraviglioso La casa sul mare celeste di T.J. Klune.

E lo dico subito, a scanso di equivoci, Da qualche parte al di là del mare non mi ha deluso. Non sono rimasta folgorata come con il primo, non ho adorato ogni singola pagina e ogni singola riga, ma mi sono sentita a casa. Ho avuto la netta sensazione di ritrovare tutto ciò che avevo amato ne La casa sul mare celeste. Stessa atmosfera, stesso calore, stesso senso di accoglienza.

Quel calore e accoglienza che può dare solo una famiglia per quanto strana, bislacca e non convenzionale. Un senso di calore che si vorrebbe avere sempre nella nostra vita. La sensazione che spesso ci sfugge di essere compresi, di essere ascoltati e accolti qualunque cosa facciamo o pensiamo. L’amore e il rispetto a prescindere dal colore della pelle, dall’orientamento sessuale dalla diversità delle idee.

Da qualche parte al di là del mare inizia con un prologo sulla vita di Arthur che ci fa capire immediatamente che se La casa sul mare celeste era centrato su Linus, sulla sua vita grigia e sul riscatto nato dall’esperienza su Marsyas, qui l’attenzione sarà sul direttore dell’orfanotrofio, nonché creatura magica, che nasconde al suo interno il fuoco della fenice.

Nel prologo ci viene data la possibilità di capire meglio il passato di Arthur Parnassus e la sua necessità di essere di aiuto e sostegno ai troppi bambini magici, privi di genitori e soggetti a maltrattamenti e soprusi. L’uomo ha deciso di esporsi e raccontare pubblicamente la sua storia per spiegare una realtà ineccepibile ma che ancora troppo spesso tendiamo a rimuovere: cosa provoca e quali conseguenze ha essere vittime di abusi.

«Lei ritiene di aver subito un abuso» intervenne Burton.

Arthur annuì. «Non è una mia valutazione personale, ma sì. Non posso parlare per le altre persone che hanno vissuto esperienze simili, ma posso ed intendo parlare delle mie. Quel genere di abuso – il dolore che provoca – si accumula. Sia esso fisico o psicologico, ogni botta che si riceve picchia su una ferita che non ha ancora avuto il tempo di sanarsi. E’ un dolore che cresce e cresce finché qualcosa non cede.»

Il meccanismo narrativo è abbastanza simile al primo, anche qui abbiamo un’ispettrice mandata dal Ministero per verificare come sono trattati i bambini sull’isola, anche qui sono centrali le interazioni tra i protagonisti e soprattutto le personalità dei bambini.

Nel testo molti sono gli argomenti affrontati dal relativismo morale, alla scelta tra bene e male, dalla necessità di liberarsi dai pregiudizi alla responsabilità che incombe su chiunque, dal ruolo di un genitore alla difficoltà di comprendere certe situazioni perché ci si può interessare, lottare, ma non si potrà mai capire cosa significa vivere o provare certe cose se non lo si è vissuto sulla propria pelle.

Ma ci sono soprattutto loro i bambini a rendere magico questo libro, come già nel precedente la grande capacità di T.J. Klune è quella di caratterizzare magistralmente i piccoli protagonisti, tanto da renderli assolutamente reali.

Il piccolo Lucy, temuto perché considerato l’Anticristo capace di scatenare l’Armageddon, ma che è solo un bambino intelligente, provocatore, amante della musica; Phee, lo spirito della foresta, che può far nascere alberi maestosi da un microscopico seme, compassionevole, gentile, attenta a supportare i fratelli, ma anche impenetrabile e permalosa; Talia, la gnoma da giardino, burbera e scorbutica, guai a chi le tocca la barba, ma anche vezzosa e amante del bello; Sal mutaforma, il più grande del gruppo, quello che ha sofferto di più e che ha una maggior capacità di ragionamento ed introspezione, un vero leader; Theodore, una viverna che colleziona bottoni, di cui è gelosissimo, e cinguetta nella lingua della sua specie ed infine Chauncey, il mio preferito, una sorta di lumaca di mare gelatinosa, gentile e amorevole che sogna di diventare il miglior concierge che si possa immaginare, a cui si aggiunge David, uno yeti, attore incomparabile che adora essere un mostro, ma solo perché secondo lui le persone amano essere spaventate e provare un brivido di terrore sulla pelle.

E sono le interazioni con i bambini, il desiderio da parte di Arthur e Linus di essere davvero i genitori migliori per loro, di rispondere alle loro domande, di dargli un codice morale necessario ad affrontare al meglio la vita ma fare anche la cosa giusta, a rendere bello il ritorno a Marsyas.

«Sic parvis magna.»

«Le grandi cose vengono da quelle piccole» tradusse Linus.

Arthur annuì. «E’ quello che speravo e che continuo a sperare. Non sono un uomo perfetto, Linus. Sono pieno di difetti. Non ho tutte le risposte, anche se sembra il contrario. Sono impudente, ostinato. Commetto errori. E mi preoccupo! Mi preoccupo costantemente per i bambini. Mi preoccupo per loro quando dormono. E quando sono svegli. Quando corrono, quando mangiano, quando ridono o piangono o starnutiscono. Quando fanno delle domande o quando rispondono a delle domande. E questo cosa fa di me?»

Linus sbuffò. «Questo fa di te un padre.»

Un romanzo che a volte pare ripetersi, ma solo per far comprendere al meglio come la diversità non è negativa, come ognuno di noi è speciale per quello che è. Con una sublime idea di fondo: “l’odio fa rumore” ma sono la tolleranza, l’apertura agli altri, l’empatia, l’ascolto a rendere il mondo un posto bello dove vivere.

Un romanzo scritto per contrastare le idee transfobiche di J.K.Rowling, come dice espressamente l’autore nei ringraziamenti – e il personaggio della terribile Jeanine Rowder è ricalcato proprio sulle posizioni oscurantiste della scrittrice inglese -. Perché mai come oggi è necessario ribadire la lotta al pregiudizio qualunque esso sia e qualunque aspetto abbia.

E alla fine come avevo scritto anche nell’articolo dedicato a La casa sul mare celeste si ha solo voglia di passeggiare per Marsyas, e intanto accompagnare Talia in giardino ad ammirare le sue aiuole fiorite; regalare un bottone a Theodore; leggere i racconti di Sal; farsi portare la valigia da Chauncey; ascoltare musica con Lucy; abbracciare un albero con Phee, assistere ad una recita di David…

Da qualche parte al di là del mare di T. J. Klune [Somewhere Beyond the Sea 2024]– Traduzione di Benedetta Gallo e Paola Molica – Mondadori (2024) – pag. 460

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