E’ il terzo libro che leggo di Lorenza Gentile e ancora una volta, dopo Le piccole libertà e Le cose che ci salvano, mi sono riflessa tra le pagine di questo libro e le considerazioni che la protagonista si trova a fare.
Chi non ha mai pensato, almeno una volta nella vita, a quanti fallimenti costellano la propria esistenza? A quante cose non sono andate come volevamo, quanti obiettivi non abbiamo raggiunto e quanto questi bilanci decisamente in rosso ci hanno portato delusioni ed amareggiato?
E’ proprio davanti ad una lista di fallimenti che inizia questo romanzo, Selene si sente schiacciata da tutte le cose che non sono andate come auspicava e ora di fronte ad un ristorante aperto con tanto entusiasmo che sta naufragando tra incassi imbarazzanti e recensioni mediocri si sente totalmente ed inesorabilmente una fallita senza vie di fuga, perché stavolta c’è un finanziamento da onorare, creditori da soddisfare e soprattutto dipendenti che contano su di lei.
E una sera appena uscita da Nuvola, il suo ristorante di cucina al vapore, tutto questo bagaglio di fallimenti le crolla addosso e decide di lasciare tutto e rifugiarsi in Puglia, nella valle d’Itria, dove è cresciuta, alla ricerca di affetti, sapori e ricordi che in qualche modo le indichino la strada.
L’idea è di allentare la presa per un weekend prima di affrontare tutto il carico di preoccupazioni e problemi, ma si sa che i progetti sono fatti per essere modificati.
In Puglia, nella campagna cosparsa di piante di olivo, tra masserie e trulli, con il mare a fare capolino all’orizzonte, Selene ritroverà la sua tata Flora, i suoi piatti speciali, riprenderà in mano la matita e la sua passione per il disegno, cercherà vecchi amici e ne troverà di nuovi, ripenserà alla sua infanzia trascorsa in un ashram e rileggerà con altri occhi le cartoline che le negli anni le ha inviato il padre dall’India.
Tutto il bello che ci aspetta è un romanzo che nonostante inizi con la somma dei fallimenti della protagonista ci immerge quasi subito in un’atmosfera di positività e di possibilità, perché infondo siamo tutti consapevoli che per trovare il centro di noi stessi dobbiamo prima comprendere che cosa ci fa stare bene, che cosa ci dà piacere e soddisfazione. E spesso è solo seguendo le nostre inclinazioni, le nostre passioni che ci troviamo a vivere una vita fatta a nostra immagine. E allora ci rendiamo conto che gli scivoloni, le cadute, le battute d’arresto sono stati necessari a portarci fino a lì. Se ci pensiamo bene siamo la somma dei nostri fallimenti, non saremo quello che siamo se non avessimo avuto quel percorso e soprattutto tutte le curve, le deviazioni, i ripensamenti lungo la via. E solo accettandolo, potremo andare incontro, come Selene, a Tutto il bello che ci aspetta.
“Ma cosa vuol dire fallire? E’ il concetto di fallimento a essere fuorviante. Viviamo nell’epoca della ricerca, ossessiva della realizzazione, intesa come risultato tangibile, come numero. Viviamo per diventare un numero. Il fallimento è concepibile solo come incidente di percorso verso il successo. Ma il fallimento è parte della vita, esiste e basta. Quando la rosa perde i petali non pensa certo ‘sto fallendo’, così come il bruco diventato farfalla non si gode il trionfo. Semplicemente, si adeguano al proprio destino. Il problema sta nell’idea che si possa sbagliare. Che le nostre, chiamiamole, deviazioni, siano errori o che si stia perdendo tempo, che ci sia fretta di arrivare da qualche parte. Bisogna amare le nostre deviazioni, invece, Ci rendono noi.”
Per chi ama la Puglia, i suoi sapori, i suoi odori
Per chi ha fallito ma si è rialzato
Per chi crede che una vita più lenta e a dimensione propria sia possibile
Per chi pensa che l’ultima moda e l’ultima tendenza non siano necessariamente il top
Per chi adora le sfide
Per chi ha ricordi legati ad una vecchia tata
Per chi cerca una storia brillante con una protagonista spumeggiante e naif
Per chi non sa quale sia la sua via
Per chi infondo infondo sa che per ritrovarsi bisogna prima perdersi
Tutto il bello che ci aspetta di Lorenza Gentile – Feltrinelli (2024) – pag. 313