Ho letto La storia intima di Niccolò Ammaniti senza aspettarmi nulla, l’ho iniziato, come spesso mi capita senza neppure leggere la trama, dell’autore avevo letto l’intenso ed indimenticabile Io non ho paura e poco altro, non avevo quindi né aspettative né pregiudizi.
Devo dire che la storia di Maria Cristina Palma mi è piaciuta e molto. Perché al di là della grande capacità di scrittura dell’autore, del suo saper usare con maestria le parole, di usare digressioni e sarcasmo con il giusto tono, questo è il ritratto di una donna. Un ritratto impietoso e magistrale delle fragilità, debolezze, paure che si nascondono nel cuore di una donna troppo bella e troppo sola.
Una donna, giudicata sempre per il suo aspetto fisico, le gambe lunghe, il fisico slanciato, il passo da gazzella, il viso dalle proporzioni auree, tanto da farla rientrare nella definizione di “donna più bella del mondo”, ma anche una donna profondamente sola e con una vita costellata di lutti e abbandoni. Un padre che va via di casa per seguire il sogno di scalatore, una madre irriverente ed anticonformista scomparsa troppo giovane, un fratello amatissimo morto anche lui durante un’immersione in mare e il marito, famoso scrittore più vecchio di lei, deceduto in un incidente stradale da cui lei è uscita illesa, con solo una brutta cicatrice sul fianco a ricordarglielo.
Da bambina felice a orfana, da adolescente in un compound residenziale, ad atleta, a stronzetta dei Parioli, a modella, a moglie di, a vedova di, a madre di. Con il passare delle stagioni ha cambiato look seguendo la moda, ha aggiunto le spalline, abbassato la vita ai pantaloni, buttato le pellicce, cambiato la tonalità del fard, ma è sempre la solita Maria Cristina: conformista, noiosa e poco incline al cambiamento.
Maria Cristina si è risposata con un noto e ricco avvocato e ha avuto una figlia, Irene, ma da quando lei è stata nominata “la donna più bella del mondo” e suo marito è diventato Presidente del Consiglio non c’è stata più pace. Infiniti soprannomi che giocano sul suo nome Maria Tristina, Maria Pompina, Maria Cretina; giornalisti e fotografi pronti a sezionare tutta la sua vita, il suo passato, il suo taglio di capelli, il trucco, gli abiti che indossa, a definirla frivola, vuota, inconsistente.
Sempre sotto la luce dei riflettori, sempre analizzata e scomposta per vedere cosa nasconde quel corpo e quel viso da favola. E lei che si sente mediocre, non brillante, senza coraggio, poco intelligente, per nulla scura di sé, consapevole che la bellezza spesso è un boomerang e ti si rivolta contro, brancola.
«Ricorda che questa bellezza non te la sei conquistata. È un dono che ti abbiamo fatto io e tuo padre e devi saperla portare, proprio come il vestito da reginetta. Oggi, se fossi stata spiritosa, te ne saresti fregata degli altri e avresti fatto vedere a tutti chi era la regina della festa. La bellezza, senza coraggio, è un guaio. Proprio perché sei bella non verrai presa sul serio e ti dovrai impegnare cento volte di più delle altre per dimostrare che sei intelligente, profonda, per non essere usata e trattata come una scema dagli uomini. […] Tu, gioia, non emergi per carattere, ma almeno impara a portare la bellezza come una regina.»
Il romanzo si svolge nell’arco di una manciata di giorni, a cavallo con le elezioni, che dovranno portare o meno alla conferma di presidente del marito, un arco di tempo in cui la vita di Maria Cristina verrà travolta e saranno soprattutto le sue paranoie, le sue insicurezze, ma anche la nascente consapevolezza di sé a farla da padrone. Stufa di essere una marionetta in mano allo staff, di dover chiedere il permesso per ogni cosa, anche per esistere, consapevole che occorre in qualche modo ripartire da se stessa, vicina, vicinissima ad una sorta di implosione di cui non riesce a calcolare le conseguenze, soprattutto per la figlia, la protagonista annaspa, affonda, sente che qualcosa di terribile e definitivo sta per capitarle. Nei momenti peggiori sente la voce, come un grillo parlante o un alter ego onnisciente, della sua ex compagna di scuola Diana Barzaglia, che la bullizzava alle superiori, mettere in dubbio le sue poche certezze ma spronarla anche a liberarsi delle infinite sovrastrutture che ha.
“La paura finisce dove comincia la verità” le ha detto la parrucchiera. E la decisione è chiara, nitida, inequivocabile. La paura le si è cristallizzata addosso come sale sulla pelle, ma dentro le sta crescendo un’audacia temeraria.
Una riflessione sul mondo brillante e luccicante del potere e della fama, dove però non tutto è come appare, anzi ben poco, dove essere sempre sotto i riflettori ha un suo prezzo salato, in termini di libertà, di possibilità e di autonomia, dove anche licenziare qualcuno può avere ripercussioni, dove il ricatto impera e ogni azione ha sempre un’inevitabile conseguenza e reazione. Un romanzo che ci fa riflettere sulle più insidiose deviazioni dei giorni nostri: la superficialità, l’individualismo, l’apparenza, la mistificazione dell’esteriorità, la tendenza a cannibalizzare, fagocitare, appiattire, distruggere.
Una storia che oltre all’intimismo che lo caratterizza contiene critica sociale, analisi di un mondo superficiale e sfavillante, fatto di ricatti compromessi e bugie. Una storia però anche di rivalsa, di coraggio e di consapevolezza.
Tra ricordi, riflessioni, voglia di cambiamento, personaggi astrusi – da Bruco, media social manager misterioso, che vive in una roulotte schermata per non essere intercettato, con cani di razze diverse, alla parrucchiera indiana, che appare anche un po’ psicanalista, dalla segretaria apparentemente amica che invece ha un giudizio tagliente sulla sua datrice di lavoro alla sottosegretaria della Pubblica Amministrazione additata come l’amante del marito; dai custodi della villa incuranti ed indolenti ma pronti a chiedere costanti aumenti di stipendio, al candido e disponibile Luciano, vecchio amico fraterno della protagonista – le trecento pagine filano via in un lampo. Ci si diverte, tra le luci della capitale e le ombre della Maremma, tra le acque cristalline dell’Egeo e le vette dell’Himalaya, ma si riflette anche sulle infinite fragilità dell’animo umano, sull’incapacità a vedere ed accettare le persone per quello che sono, per giudicare e sempre e a prescindere tutto e tutti. Perché è facile dare addosso a qualcuno più fortunato di noi, sezionare ogni sua azione, criticare ogni gesto, senza rendersi conto che anche noi, al suo posto, ameremmo vestirci bene, andare in luoghi prestigiosi, conoscere gente importante, senza per questo subire ogni volta una gogna mediatica.
«Lo sa perché non vado in TV? Perché non mi sento abbastanza intelligente, acuta, divertente. La politica non la capisco e non mi interessa. Ho il terrore che mi trattino male e che mi massacrino sui social e mi insultino. Mi piace vestirmi per gli eventi importanti, essere ammirata, far fare bella figura al mio Paese. È inutile negarlo, mi è piaciuto andare alla Casa Bianca, cenare con il Presidente degli Stati Uniti, adoro il privilegio di vedere Petra al tramonto o andare a cena con il Dalai Lama. Del resto dicono che sono frivola. Ora basta però. È stato bello, ma è sufficiente così.»
La vita intima di Niccolò Ammaniti – Einaudi (2023) pag. 312