Può una scelta che pare portare gioia e soddisfazione trasformarsi in un incubo?
Francesca è una donna realizzata, brillante, addirittura geniale, ha una carriera avviata, un marito che ama, due figlie piccole e un sogno nel cassetto: pubblicare un suo libro con i suoi disegni, la storia ce l’ha già in testa perfettamente compiuta. Così accetta la proposta del marito di trasferirsi a Roma da Milano. Lui ha vinto un concorso. Lei lascerà il lavoro di art director di un’importante rivista e avrà più tempo per occuparsi delle figlie e del libro che deve realizzare.
Quando Francesca varca il cancello rosso della sua nuova casa è felice e piena di aspettative. Con accanto Massimo, con cui condivide tutto ormai da anni, e le figlie Angela ed Emma, soprannominate il Generale e Psycho, per le loro già decise personalità, sa che la aspetta un avvenire radioso. E quel condominio in cui tutti si conoscono, in cui tutti si sentono parte di una grande famiglia, è pronto ad accoglierla. La casa, la sua nuova casa, grande e luminosa, è pronta ad ospitare la sua vita futura e tutto ciò che di bello accadrà.
Eppure vivere con due figlie piccole, lontana dai punti fermi di tutta una vita, trascorrendo in casa ogni singola ora di ogni giorno, in una ripetitività senza vie d’uscita non è il paradiso immaginato.
Con le ore che si accavallano uguali e a fine giornata la sensazione di non aver fatto nulla, di essere inutile, sempre più sciatta e più arrabbiata con se stessa, incapace di lavorare. Con il marito sempre più preso dal nuovo lavoro, pieno delle soddisfazioni che riceve, sempre assente. Con le figlie che sono come piccole piovre che le succhiano ogni energia, ogni possibilità di dedicarsi a se’. Con i vicini curiosi, nei cui occhi e sorrisi vede una critica al suo modo di essere madre, agli scatoloni ancora ammassati nell’ingresso, alla mancata perfezione della sua nuova casa.
Da quando si erano trasferiti lì, era passato un mese. Cos’aveva fatto in quel mese? Ricordava un solo giorno diverso dagli altri? Ricordava un solo giorno?
Antonella Lattanzi prima di concentrasi sul dramma che è al centro del racconto scandaglia perfettamente l’animo di questa donna, il suo passaggio dalla felicità più completa, all’angoscia che la sta schiacciando, che le sta togliendo aria che le impedisce di essere se stessa. Perché lei in questa nuova Francesca non si riconosce. Chi è quella donna che si ritrova a parlare con le cose, ad ascoltare messaggi e consigli che le provengono dalla casa, che non dorme la notte, che ascolta ogni minimo rumore come una minaccia, che vede nei condomini dei nemici oltretutto giudicanti, che non riesce a lavorare, che disegna mostri terribili anziché le immagini zuccherose e dolci che ha sempre fatto? Perché la sua fiaba colorata si sta trasformando in un racconto dell’horror?
C’è in queste prime pagine il disfacimento di una mente che gira su se stessa, che si autoavvita che non sa come uscirne.
Ma non c’è solo questo nell’ipnotico romanzo di Antonella Lattanzi perché quando la tragedia si è concretizzata, quando l’incubo più terribile di ogni madre è diventato realtà, l’autrice cambia registro e la sua penna tagliente si sposta ad analizzare quanto male possono fare i pettegolezzi, le dicerie, quanta voce abbia l’opinione pubblica nel creare mostri e nel condannarli senza appello.
Ci sono tanti registri e tanti temi in questo romanzo: l’analisi lucida e spietata sulla maternità, lontana da qualsiasi immagine edulcorata, e sui costi, soprattutto psicologici, che spesso una donna è costretta a pagare sulla propria pelle per non deludere le aspettative della società, ma soprattutto di se stessa; la fotografia su quei microcosmi che non accettano la diversità, che proteggono ed annettono chi vuole farne parte, ma fanno a pezzi chi se ne tiene ai margini; il potere delle dicerie, senza dubbi o tentennamenti, che non si fanno scrupolo a distruggere la vita di chi è preso di mira, senza preoccuparsi delle conseguenze; l’orrore del non sapere, il filo della speranza sempre accesa, anche quando la ragione ti dice che è impossibile; e infine il baratro di tutti gli squilibri psichici sottovalutati.
Alla fine quello che rimane è la sensazione di claustrofobia che abita queste pagine. L’angoscia di Francesca è densa, quasi fisica. La sua incapacità a spiegare le sensazioni che la abitano, la sua voglia di fuga, il suo sentirsi braccata in casa sua.
Limitativo definirlo thriller psicologico, per certi versi si avvicina più ad una sorta di horror, per la storia cupa e enigmatica, resa ancora meglio dalla scrittura affilata, che erode e scarnifica, ma che in alcuni punti erompe e stravolge il lettore. E’ uno di quei libri che ti si appiccicano addosso, a cui continui a pensare a distanza di giorni, che ti si affaccia nella mente con immagini ricorrenti, come se avessi visto un film anziché leggere un libro, e che mi ha ricordato a sprazzi l’atmosfera di La spinta, altro libro inclassificabile ma assolutamente da leggere.
Questo giorno che incombe di Antonella Lattanzi – Harper Collins (2021) – pag. 456