Nel cuore della Roma di fine Ottocento

Ci sono libri che hanno il potere di trasportare quasi fisicamente il lettore nel mondo che descrivono. Si sentono i passi che risuonano sul selciato, il fruscio delle gonne, il lieve rumore dei cucchiaini appoggiati sui piattini che accompagnano il sorseggiare di un tè. Si vedono le città come dovevano essere, prima delle auto, prima della frenesia del mondo moderno. Si entra nella dimensione temporale e fisica in cui l’autore vuole trasportarci. E uno di questi è Sui passi di Lucilla, esordio di Glenda Apice. Un romanzo che ci porta nel 1882, dopo l’unificazione del regno d’Italia e lo spostamento della capitale da Torino a Roma che determinò, nel giro di pochi anni, un cambiamento radicale: Roma che solo nel 1860 era ancora una città da 20.000 abitanti piena di orti, vigne e ville, dal carattere agricolo, si trovò a fronteggiare l’affluenza di un numero sempre più crescente di immigrati e a dover costituire, quasi da zero, una compagine sociale “degna” del nuovo status di capitale.

E’ in questo clima, dove la vecchia aristocrazia papalina, legata al vecchio status, deve far posto a nuove classi sociali, e adattarsi all’aristocrazia torinese, unita alla corte sabauda, dove la nobiltà “bianca” (fedele ai Savoia) si contrappone a quella “nera” (fedele al Papa), e gli scandali politici cominciano a determinare cambi di corrente e flussi di potere, che l’autrice ambienta il suo romanzo. Protagonista è Lucilla Di Bresso Piano, una giovane marchesina di diciotto anni, interessata al disegno e alla natura, cresciuta libera di scorrazzare nella quiete della campagna laziale, che per il suo esordio in società si trasferisce a Roma con la famiglia.

La famiglia di Bresso Piano tutta si sentiva perfettamente a proprio agio nella sua dimora di città: negli abiti più sofisticati, nei cappelli più sgargianti, nel salone formale e nei giardini interni, che seppur non paragonabili a quelli della casa di campagna, ben si prestavano a rallegrare lo sguardo e illuminare i balconi e le finestre che davano sul cortile.

Abituata ad uscire di casa da sola, a perdersi nella bellezza del mondo campestre, le regole imposte dall’etichetta, i comportamenti necessari per comportarsi nel modo giusto in società le stanno decisamente stretti. In quei salotti, dove pettegolezzi, giudizi ed intrighi sono all’ordine del giorno, la giovane conoscerà il misterioso ed affascinante conte Carlo Bosco e la sua famiglia, ma anche i Giusti Santi, di cui diventa amica della figlia Ada e dell’accattivante fratello Giulio, sempre preso in nuove conquiste femminili.

Lucilla dovrà imparare a schivare le insidie della società romana, scoprendo la forza dell’amore e dell’amicizia e cercare di rimanere invischiata in una pericolosa congiura che minaccia di distruggere l’onore della sua famiglia.

Glenda Apice utilizza una lingua ricercata e molto curata, le immagini che descrive sono come pennellate sulla tela su cui poi inserisce i personaggi, tutti perfettamente caratterizzati. Fra tutti spicca la protagonista Lucilla, giovane piena di vita, che a differenza di molte nobildonne dell’epoca non è mai un semplice elemento decorativo, ma ha spirito, intelligenza, curiosità. La conosciamo attraverso il rapporto complice con il padre, le tensioni con la madre, i primi turbamenti amorosi. Ma anche attraverso il suo amore per la natura, la descrizione delle sue lunghe passeggiate, l’osservazione degli insetti: un mondo genuino contrapposto alla falsità dei salotti. Mondo che ritrova anche dietro ai cancelli delle case romane, nei giardini segreti dei palazzi, come l’incredibile “jardin de plaisirs sensoriels” della famiglia Giusti Santi, interamente composto da piante edibili, o nei viali di Villa Borghese cuore verde di radici e rami.

E poi c’è Roma! Vera coprotagonista del romanzo nei suoi angoli particolari, nella sua storia millenaria che riemerge ad ogni angolo, nelle trasformazioni urbanistiche del periodo descritto, che l’autrice riporta scrupolosamente attraverso note a piè di pagina. E seguendo i passi di Lucilla, il lettore è portato sotto la Torre della Scimmia, solca i sampietrini di via della Dogana Vecchia, si ferma a rimirare il “grosso mastino che riposa placido”, come viene definito il maestoso Pantheon, sale o scende i gradini di Trinità dei Monti affacciandosi su Piazza di Spagna, entra in vicoli umidi o emerge in piazze soleggiate godendosi il sole.

Testimoni muti a non inconsapevoli, i balconi dei palazzi nobiliari guardano le stesse vie da centinaia di anni; al loro cospetto la moderna scompostezza si mortifica. Con la stessa timidezza di un fanciullo a colloquio con un vecchio saggio, discretamente incedo sotto di loro, consapevole di quanta maggiore grazia, cultura ed eleganza siano stati testimoni.

La descrizione accurata e appassionata di Roma, dei suoi angoli caratteristici, del suo fascino senza tempo sono uno dei punti di forza di questo romanzo. Glenda Apice ha sicuramente fatto ricerche approfondite sulla città e sulla storia per rendere un ritratto accurato del tempo storico in cui ambienta la sua vicenda. Sui passi di Lucilla è un romanzo storico avvincente. In cui trova spazio intrigo, amore e mistero.

Se devo trovare un difetto è la rapidità con cui la vicenda si conclude, un maggior spazio e un intreccio più complesso avrebbe reso ancora più piacevole la lettura.

Consigliato a chi ama i romanzi storici e adora il fascino eterno di Roma.

Sui passi di Lucilla di Glenda Apice – Castelvecchi (2025) pag. 173

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