Matteo Righetto mi aveva già conquistata con La pelle dell’orso, ne avevo apprezzato la descrizione della montagna – oltretutto di quelle Dolomiti che io considero luogo del cuore e conosco bene – e di quella vita dura che vivere a contatto con la natura determina.

E con La stanza delle mele almeno per me ha fatto centro di nuovo.
Le descrizioni dei monti, i miei monti: la Marmolada, il Civetta, il Sass de Stria, il Col di Lana, il Sassongher, e le leggende delle montagne. Quante volte ho sentito la storia del Regno dei Fanes, di Dolasilla e Lujanta, di Ei de Net e del terribile mostro Spina de Mul?
E ritrovarlo tra quelle pagine, oltretutto leggendolo mentre fuori dalla finestra intravedo il profilo del Sella è stato un regalo.

Giacomo è un ragazzino di undici anni, orfano di madre e con una padre disperso in Russia, due fratelli maggiori che lo considerano poco o nulla, e un nonno, severo e manesco, che non perdona nessuna disattenzione e nessun errore e ad ogni mancanza lo rinchiude nella stanza delle mele, uno stanzino buio dove però il ragazzino nasconde un segreto: l’attrezzatura per scolpire.
Scolpire era la sua passione, e diventare uno scultore ligneo come gli artisti e i maestri d’arte della Val Gardena era il sogno più grande. Così, ogni volta che il nonno lo metteva in castigo segregandolo in quel luogo, Giacomo apriva il suo nascondiglio segreto e passava le ore ad intagliare ciocchi di legno per poi nasconderli in una piccola botola, che egli stesso aveva ricavato clandestinamente sotto il pavimento.
Intagliare piccoli animaletti in legno, insieme con sognare le imprese di Desio, Compagnoni e Lacedelli, gli alpinisti che solo un mese prima avevano conquistato la cima del K2, sono le uniche cose che gli danno pace. Due passioni da tenere nascoste perché per il nonno scalare una montagna, ammirare l’immensità del creato, immergersi nella sensazione di pace che promana quando si raggiunge la vetta e si osserva l’infinito, non ha alcun senso. Per lui conta solo il lavoro, il dovere, la fatica. Incattivito dalla vita, dalla miseria, dalla scomparsa del figlio, con tre nipoti da sfamare e da crescere, non ha tempo per affetto o storie. Giacomo riceve qualche carezza solo dalla nonna e solo ogni tanto, anche lei piegata dal lavoro e da un’obbedienza cieca alle regole imposte dal marito.

La visione di un corpo che ondeggia nel bosco, illuminato dalla luce dei lampi, spaventa e sconvolge il ragazzino. Quell’immagine gli si imprime nelle retine e nel cervello, lo ha solo immaginato come dicono tutti o ciò che ha visto è reale? Saranno le conseguenze di questa scoperta e del corpo misteriosamente scomparso il giorno dopo a stravolgere la sua vita.
La narrazione è composta da due parti, il prima e il dopo. In mezzo quarantanni in cui Giacomo studierà, diventerà uno scultore di successo, ma rimarrà sempre il bambino senza affetto che deve riuscire a sanare quella ferita e trovare risposte a quello a cui ha assistito tanti anni prima.
La necessità di un “tikkum”, parola ebraica, che indica la necessità di una riparazione, come dice ad un certo punto la sua amica e agente, lo spingono ad indagare sul mistero che ha caratterizzato la sua vita e a tornare in quei luoghi da cui è andato via tanti anni prima.
“Ascoltami Elena, non ti basta il fatto che tutto il legno dei miei lavori proviene da quel luogo? Ho lasciato il paese quando avevo undici anni, ora ne ho cinquantuno. Tornare lì in questo momento della mia carriera e poterci tornare con quest’opera è tutto ciò che desidero. Non chiedo altro. Per me significa chiudere un cerchio. Tutto ha avuto inizio lì.”
L’autore nel raccontare la storia di Giacomo riesce a trasmettere tutta la bellezza della montagna, le sue regole fatte di sacrificio, la durezza di chi in quei monti ci vive, ci lavora, e a regalare al lettore un personaggio indimenticabile, che entra sottopelle, che verrebbe voglia di accogliere e difendere da tutto.
Se avete voglia di respirare l’atmosfera della montagna e farvi risucchiare in una storia questo romanzo fa per voi.

Un’ultima nota, già leggendo La pelle dell’orso avevo avuto voglia di vedere Colle Santa Lucia e stavolta l’ho fatto. E lassù tra le nubi e il vento, nel piccolo cimitero dietro la chiesa, aver intravisto il Civetta e le altre cime mi ha regalato una delle emozioni più intense degli ultimi anni, facendomi sentire Giacomo vivo e vicino.
La stanza delle mele di Matteo Righetto(2022) – Universale Economica Feltrinelli (2024) – pag. 231