Il passato si ripresenta di continuo

Impossibile resistere alla tentazione di leggere e farsi un’idea personale de Il giorno dell’ape di Paul Murray, premio Strega Europeo 2025, considerato da autorevoli voci capolavoro dell’anno e libro assolutamente da leggere quest’anno.

Premesso che questo assoluto capolavoro io non l’ho visto, mi sento però, voce fuori dal coro rispetto anche ad alcune delle critiche piovute su questo libro da chi l’ha letto.

Il romanzo nonostante le 600 e passa pagine è scorrevole e la mancanza di punteggiatura nella parte dedicata ad Imelda non è per nulla complicata da seguire, grazie anche all’utilizzo della maiuscola a fine periodo e all’andare a capo ad ogni capoverso.

Detto questo di cosa parla Il giorno dell’ape? Di famiglia, di passato, di crisi personali e sociali, di fallimento, di attualità, tra crisi climatiche, inondazioni, sparizioni delle api e così via. Insomma un romanzo contemporaneo dove l’incomunicabilità la fa da padrone.

Il libro è suddiviso in parti ognuna dedicata ad un membro della famiglia Barnes: Cass, figlia adolescente, con un’amicizia al quanto tossica per la compagna di classe Elaine, mossa dal desiderio di andare a Dublino al Trinity College per lasciare il clima opprimente che si respira in casa. PJ, dodicenne, appassionato di videogame, snobbato dai compagni, bullizzato e preoccupato per i problemi economici e la possibilità che i genitori si separino.

E i due genitori: Imelda bella e frivola, ma dal passato doloroso e Dickie, schiacciato da rimorsi, rimpianti e dalla presenza viva più che mai del fratello morto da anni.

Riassumendo all’osso si potrebbe dire che Il giorno dell’ape ci ricorda quanto il passato sia determinante. Crediamo di essercelo scrollato di dosso, pensiamo che non ci condizioni più, sosteniamo di non ricordarlo nemmeno, eppure, è sempre lì pronto a ricordarci i nostri errori e ripresentarci il conto anche a distanza di decenni.

«Il passato è così, vero? Credi di essertelo lasciato alle spalle, poi un giorno entri in una stanza e lo trovi lì ad aspettarti».

Il passato resta con noi, in moltissimi modi inaspettati. Se non ci abbiamo fatto pace, si ripresenterà di continuo.

E forse il succo distillato di questo libro sta proprio in queste due frasi.

Imelda e Dickie non hanno mai fatto i conti con il loro passato. Entrambi travolti dagli eventi, dal dolore, dal vuoto, dall’inadeguatezza. Dickie il fratello maggiore soppiantato dal fascino, dall’ardore, dalla simpatia del fratello minore Franck. Disposto a rinunciare alla propria vita pur di essere in qualche modo degno dell’eredità fraterna. E Imelda, giovane, inesperta, ignorante, con una famiglia violenta e disfunzionale, che trova la terra del Bengodi, la realizzazione dei sogni, la fine dei problemi, ma scoprirà poi che il conto da pagare è comunque altissimo.

E l’idea malsana che gli altri siano meglio di noi, che la normalità sia la panacea di tutti i mali e sentirsi o essere diversi sia uno stigma che presenta il conto.

Immagino che chiunque lo vorrebbe. Essere come gli altri. Ma nessuno è come gli altri. È questa la cosa che abbiamo in comune. Siamo tutti diversi, ma pensiamo tutti che gli altri siano uguali, disse. Se ce lo insegnassero a scuola, il mondo sarebbe un posto più felice, credo.

E allora ecco le immagini di una famiglia che sta in piedi ma non si capisce più. Imelda che vende i suoi vestiti e l’infinita massa di roba accumulata negli anni di signora ben sposata e ben collocata in società. Dickie incapace di reagire alla crisi della concessionaria d’auto che gestisce e alla sottile e mal celata avversità del padre contro di lui. Cass che scrive poesie, ha un animo sensibile, ma pur di rimanere nell’orbita dell’amica Elaine è pronta a rinunciare a tutto. PJ attirato da un mondo oscuro che, come un canto delle sirene, lo spinge a scappare di casa per poter negoziare quell’attenzione e quell’affetto che gli mancano.

In mezzo la crisi economica sempre più difficile da gestire, che taglia posti di lavori e brucia soldi. La crisi climatica negata e respinta, quasi impossibile da risolvere se si pensa al cambio di stile di vita che imporrebbe ad ognuno di noi.

E su tutta il folklore e la cultura irlandese che paiono solo elementi di riempimento, ma sono invece essenziali alla narrazione: i fondi di caffè, i cani neri all’alba, i fantasmi che si presentano invitati o meno in mezzo alle feste, e soprattutto la storia dei Sidhe che racconta di un viaggiatore che si addormenta su una collina magica. Quando si risveglia, entra dentro la collina e si ritrova in mezzo a persone bellissime, con capelli dorati e gioielli sfarzosi, che stanno banchettando in una festa sontuosa. Gli offrono cibo e bevande, fanciulle danzano per lui, e tutto sembra andare magnificamente. Ma poi, il giorno dopo, si risveglia di nuovo sulla collina. Tutto è sparito, svanito nel nulla, persino la sua vita di prima, visto che senza se ne rendesse conto è passato più di un secolo. Un ammonimento per i protagonisti ma anche per i lettori. La cultura irlandese, affascinante e misteriosa, ricca di creature magiche, alcune benevole e altre spaventose: le fate, che non sono creature graziose e svolazzanti con vestiti eleganti, ma esseri piuttosto sinistri; le banshee, i leprechaun, i folletti, gli elfi, dispettosi, irriverenti, capricciosi, esseri che popolano il mondo di sotto e formano il “piccolo popolo”.

Murray scrive un romanzo polifonico, in cui cerca di cogliere lo smarrimento e la solitudine che animano le famiglie e sottolinea, senza dirlo, la necessità di un dialogo, di aprirsi all’altro, unico antidoto alla decadenza e alla rovina della società attuale, anche rispetto ai mali comuni come inquinamento e cambiamento climatico.

«Una volta che getti la maschera, tutte le altre maschere diventano trasparenti e ti accorgi che, sotto le peculiarità e le stramberie individuali, siamo tutti uguali. Siamo uguali nella diversità, nello star male per la nostra diversità. O, per metterla in altri termini, siamo espressioni diverse di una vulnerabilità e di bisogni uguali per tutti. È questo che ci unisce. E quando lo avremo riconosciuto, quando ci vedremo come una comunità di differenze, quelle stesse differenze non ci definiranno più. Sarà allora che potremo cominciare a lavorare insieme e cambiare le cose».

Un romanzo non originalissimo, che ricorda a tratti altri romanzi incentrati sulla famiglia, che, qui, però, più che causa delle sofferenze individuali, pare somma delle infelicità personali, amplificate dall’individualismo e dalla mancanza di confronto tra i vari componenti.

Un romanzo che lascia, a fine lettura, un leggero malessere anche per il finale a più voci che resta sospeso, angoscioso, non totalmente comprensibile. O forse più chiaro di quello che sembra, rileggendo le prime pagine e pensando ad un’idea circolare di narrazione.

Un libro che conduce il lettore in una sorta di folle corsa a rotto di collo che ci invita a riflettere sulla deriva del mondo e della famiglia che ne è lo specchio esatto.

Il giorno dell’ape di Paul Murray [The Bee Sting 2023] – traduzione di Tommaso Pincio – Einaudi Stile Libero Big (2025) pp. 646

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