Alison Weir prima di dedicarsi alle storie sulle sei mogli di Enrico VIII, scrive un romanzo dedicato ai primi venticinque anni di Elisabetta: dalla nascita fino al momento in cui le arriva la notizia che Maria è morta e lei è la nuova regina di Inghilterra. L’inizio di un regno lungo e di una storia che diventerà leggenda travalicando i secoli, smentendo categoricamente l’affermazione del padre, che, nonostante l’affetto reciproco, ogni volta che la bambina dice «da grande farò il re», si infuria. «Tu non sarai mai re […] una donna al governo di un Paese è contro natura e contro la legge di Dio, quindi smettiamola con le sciocchezze»
Elisabetta cresce lontano da corte, nel palazzo di Hatfield, dichiarata illegittima, dopo la morte della madre, conosce poco o nulla di lei. Sa che le sue fortune oscillano come panni al vento, nota quando i servitori non la chiamano più principessa ma Lady Elisabetta. Accanto a lei la fedele e sempre presente governante Kat, Katherine Champernowne, che le rimane accanto, intima confidente per tutta la vita e la sorella Maria che, nonostante l’atteggiamento ondivago, perché la bambina è figlia di Anna Bolena, causa dei tanti dolori di sua madre e del suo ripudio, e in molti atteggiamenti la ricorda, la ama, le piace dedicarsi a lei e passare del tempo in sua compagnia.
Elisabetta era figlia di sua madre nell’aspetto, nell’intelletto pronto, nel temperamento incostante e lunatico e nella vanità: già si atteggiava, amava indossare abiti eleganti e mettersi davanti allo specchio per ammirarsi.
Elisabetta è una bambina precoce, ha un’intelligenza acuta, apprende in fretta, è sveglia. Adora il padre, quell’uomo dal fisico imponente, magnifico, regale, che quando appare la ricopre di attenzione e la chiama Bessy.
Simile ad un dio, avvolto nei ricchi abiti di velluto e nelle pellicce, con gemme e catene, le faceva il solletico sotto il mento, e poi la tirava su, la teneva in alto e la faceva girare, mentre lei urlava di gioia, la cuffietta ornata di nastri tutta storta, le lunghe trecce rosse che si sollevavano.
Pur frequentandolo poco segue tutte le sue vicissitudini matrimoniali, la morte di Jane Howard, lo strano intermezzo con Anna di Kleve, che puzza di pesce, lo sciagurato matrimonio con Caterina Howard, infine l’arrivo di Caterina Parr, che le permette di ricevere un’ottima educazione in un ambiente rigidamente protestante, sotto la guida dell’insegnante umanista Roger Ascham. La bambina si dimostra eccezionale nello studio delle lingue, apprende latino, greco, francese ed italiano. Colta e con una memoria prodigiosa, ama anche il ballo, la musica, il teatro e il divertimento.
Doloroso per lei rendersi conto della decadenza del genitore, veder appassire quell’uomo robusto e pieno di vita, così come assistere alla crescita del fratello Edoardo lontano da tutto e tutti, senza possibilità di dedicarsi a nessuna passione per paura che un malattia, una caduta da cavallo, un colpo di spada o qualsiasi altra cosa possano mettere fine alla sua giovane vita.
Dopo la morte del padre, viene accolta da Caterina Parr, ma la figura ingombrante del nuovo marito della donna, Thomas Seymour getta un’ombra anche sulla ragazza. Qui l’autrice, come dice nella postfazione, si prende la libertà di costruire un fatto storicamente non attendibile ma perlomeno verosimile, cioè che le attenzioni non propriamente scherzose dell’uomo nei confronti della giovanissima Elisabetta sfociassero in una gravidanza di quest’ultima e in un suo successivo aborto. Di vero ci sono le attenzioni dell’uomo verso la ragazza, il comportamento un po’ ambiguo della governante forse estremamente affascinata dall’uomo, l’atteggiamento guardingo di Caterina, gelosa del marito, ma anche affezionata alla giovane, oltretutto erede al trono e posta sotto la sua responsabilità, e l’allontanamento di Elisabetta dalla casa di Caterina e il suo pressante ed infruttuoso interrogatorio dopo l’accusa di tradimento nei confronti di Seymour a seguito della morte di Edoardo e il brevissimo regno di Jane Grey.
Come sempre Alison Weir sa come attrarre il lettore e riconsegnargli il ritratto di una giovane donna, intelligente, affascinante, ma anche oggetto di trame sotterranee, di congiure, di intrighi. Elisabetta trascorse i cinque anni dalla morte del fratello all’ascesa al trono, sotto la costante minaccia di morte. Maria, salita al trono e decisa a riportare l’Inghilterra sotto il seno della madre chiesa di Roma, vedeva Elisabetta, in quanto protestante e oltretutto amatissima dal popolo, come un pericolo al suo trono. Allo stesso tempo finché non avesse avuto un erede, la sorella era legittima pretendente. Da qui la prigionia nella Torre il successivo periodo trascorso nello Oxfordshire sotto la custodia di sir Henry Bedingfield.
La costante paura di finire come la madre visto che gli spagnoli, a seguito del matrimonio di Maria con Filippo, volevano la sua testa. L’esecuzione di una Tudor avrebbe ingenerato, però, una rivolta nel paese e il Parlamento non volle nemmeno rimuoverla dalla successione: se Maria non avesse avuto eredi legittimi, la corona sarebbe passata a Mary Stuart, regina di Scozia.
Elisabetta mantenne un basso profilo, finse una conversione al cattolicesimo, dimostrò un’astuzia, una scaltrezza e un’intelligenza politica che si dimostrarono estremamente utili al momento di salire al trono. E con questo atteggiamento a venticinque anni salì al trono e ci rimase per ben quarantacinque anni, senza mai sposarsi, decisa a sfidare la morale e le regole dell’epoca a e a dimostrare che una donna era perfettamente in grado di governare e di farlo bene.

E chiusa l’ultima pagina nasce il desiderio che l’autrice torni a raccontare il regno di Elisabetta, racconti quei suoi quarantacinque anni densi e significativi per la storia inglese, come solo Lei sa fare.
Lady Elizabeth di Alison Weir [The Lady Elizabeth 2008] – Superbeat ( 2017) – traduzione di Chiara Brovelli – pag. 542