Tanti piccoli fuochi di Celeste Ng potrebbe sembrare l’ennesima storia di due famiglie contrapposte, quella pressoché perfetta, almeno all’apparenza, dei Richardson e quella microscopica formata da Mia e sua figlia. Due modi diversi di porsi nei confronti della vita e nell’approccio verso il mondo.
Siamo a Cleveland, Ohio, nel quartiere di Shaker Heights, case perfette che affacciano su giardini altrettanto curati, una comunità di democratici abbienti, che credono in una vita regolata da regole precise, dove le attività benefiche, la filantropia e il rispetto sono il fulcro del vivere civile.
E Mrs Richardson incarna perfettamente questi ideali: rispettosa delle regole, quattro figli, un lavoro come giornalista nella testata locale, sempre pronta a dare un mano e rivolgere il suo sguardo benevolo su situazioni meno brillanti e definite della sua. Contrapposta totalmente a lei Mia, madre single che ha scelto una vita itinerante, fatta di lavori saltuari, per dedicare tutto il tempo libero alla sua arte: la fotografia. Uno spirito libero che si sposta in continuazione, senza radici. Si ferma giusto il tempo di sviluppare un’idea, portare a termine un progetto e poi riparte senza lasciarsi indietro nulla.
L’arrivo in città di Mia, a bordo di una Volkswagen, e la scelta di Mrs Richardson di affittarle dapprima il piccolo appartamento che possiede e poi darle un lavoro come domestica, darà il via ai tanti piccoli fuochi del titolo.
E adesso c’era questa Mia, un tipo di donna totalmente diverso che viveva una vita totalmente diversa e che sembrava dettare le proprie regole senza tante scuse. Per Mrs Richardson era sconvolgente ma stranamente affascinante, come la fotografia della ballerina-ragno. Una parte di lei avrebbe voluto studiare Mia come un’antropologa, arrivando a capire perché – e come – facesse quello che faceva. Un’altra parte di lei – anche se non ne era del tutto consapevole in quel momento – era a disagio, voleva tenere d’occhio Mia come si tengono d’occhio le bestie pericolose.
Dicevo all’inizio che Tanti piccoli fuochi pare un romanzo familiare, ma in realtà nelle quattrocento pagine di un romanzo denso e corposo, gli argomenti trattati sono davvero tanti e di spessore: dalle questioni razziali, alla genitorialità biologica o adottiva che sia, dalle seconde occasioni alla sessualità e l’aborto, ma anche il lutto e le difficoltà di relazione.
Per un genitore, un figlio non è solo una persona: un figlio è un luogo, una specie di Narnia, uno spazio vasto ed eterno dove il presente che stai vivendo, il passato che ricordi e il futuro che stai attendendo con ansia coesistono nello stesso istante. Ti basta guardare tuo figlio per capirlo: sul suo viso si sovrappongono il neonato che è stato, il bambino che è diventato e l’adulto in cui si trasformerà, e si vedono tutti simultaneamente, come un’immagine tridimensionale. Una cosa da far girare la testa. È un luogo in cui trovare rifugio, a patto di sapere come entrarci. E ogni volta che lo lasci, ogni volta che tuo figlio esce dal tuo campo visivo, hai paura di non potervi più fare ritorno.
Un romanzo costruito come un thriller, dall’incendio iniziale alle rivelazioni che mano a mano il lettore scoprirà, con un intreccio serrato e tanti flashback che nel raccontare due donne diverse e far intravedere una possibile resa dei conti tra le due, finisce per parlare di altro. In realtà lo scontro tra Mrs Richardson, che pare essere nata per fare sempre “quello che è giusto”, seguendo una serie di regole di condotta immutabili e predefinite, e Mia, l’anima irrequieta e un po’ hippy che segue la sua arte e l’ispirazione del momento, non si concretizza mai, resta latente per tutto il libro. È più uno scontro di visioni, di modi di vivere, di atteggiamenti, anche se mentre Mrs Richardson crede di essere nel giusto e non si mette mai in discussione, Mia sa che il suo modo di essere e vivere può non essere compreso o accettato da chi la pensa diversamente da lei.
E centrale nel romanzo sono i figli delle due donne, l’amicizia che nasce tra loro e il fascino incrociato che subiscono nei confronti delle rispettive madri. Pearl, figlia di Mia, che per la prima volta vede la reale possibilità di mettere radici, di farsi degli amici, di non continuare a cambiare residenza, scuola, certezze, ogni volta che la madre vuole ripartire, è affascinata dalla precisione, dalle regole, dalle certezze che incarna Mrs Richardson. Mentre i quattro Richardson, Lexie, Moody, Trip e Izzy ammirano la libertà, il non conformismo, il fascino di una vita nomade rappresentato da Mia.
Mia non poteva non accorgersi dell’infatuazione della figlia per i Richardson. […] Per troppo tempo, ora se ne rendeva conto, aveva costretto la figlia a vivere seguendo i suoi capricci: trasferendosi ogni volta che le servivano nuove idee, ogni volta che si sentiva bloccata o a disagio.
L’elemento che però mi ha colpito di più di questo romanzo è il raccontare le zone d’ombra: vi sono varie situazioni nel libro che spingono il lettore a dare un giudizio morale, a domandarsi chi sia nel giusto tra le due parti in causa. Eppure l’autrice non prende posizione, pone l’accento su come vi siano materie in cui il positivo e il negativo, il giusto e l’ingiusto, sono estremamente relativi, e soprattutto entrambe le parti coinvolte non sono completamente buone o completamente cattive. E questo spinge il lettore a riflettere, a non dare nulla per scontato, e ad immedesimarsi maggiormente nella storia.
Una storia che ci lascia anche la consapevolezza che nella vita si può sempre ripartire, trovare un modo per ricominciare da zero, anche quando sembra che non ci sia altra possibilità e che tutto sia andato in mille pezzi.
Ricorda, aveva detto Mia. A volte bisogna bruciare tutto e ricominciare da capo. Dopo un incendio il terreno diventa più ricco, e possono crescere cose nuove. Anche le persone sono fatte così. Ricominciano da capo. Trovano un modo.
Da questo romanzo è stata tratta una serie TV con Reese Whiterspoon e Kerry Washington, centrata maggiormente sullo scontro tra le due donne.
Tanti Piccoli Fuochi di Celeste Ng [Little fires everywhere 2017] – Bollati Boringhieri (2020) – traduzione di Manuela Faimali – pag. 372