La difficoltà di perdonarsi

Penso che sia veramente arrivato il momento di parlare di L’estate che sciolse ogni cosa di Tiffany McDaniel. Romanzo letto la scorsa estate, dopo aver atteso in libreria non so per quanti anni. Un libro di cui avevo sentito parlare benissimo e che non vedevo l’ora di leggere, non sapendo, come spesso mi capita, cosa avrei trovato tra quelle pagine, che storia nascondesse quella copertina così particolare.

E all’inizio ho fatto fatica, una fatica boia, lo ammetto.

Ci sono stati momenti in cui non sapevo bene che cosa stessi leggendo e non perché il romanzo di Tiffany McDaniel sia scritto male, anzi. Però i salti temporali, i dialoghi, le singole storie raccontate che parevano slegate e incomprensibili, almeno lì per lì, rendevano la lettura ostica, faticosa.

Momento sbagliato? Può darsi. Fine luglio, caldo appiccicoso, umidità pazzesca, lavoro, famiglia, problemi vari, ansia a palla, insomma non il migliore momento per leggere qualsiasi cosa. Poi una volta entrata nella storia, ho capito, almeno credo, quale fosse il messaggio nascosto, mi sono goduta la lettura e soprattutto le ultime centocinquanta pagine mi hanno travolta e conquistata, anche perché nulla è lasciato al caso in questo romanzo.

Il caldo arrivò insieme al diavolo. Era l’estate del 1984 il diavolo era stato invitato. Quel caldo torrido, no. C’era da aspettarselo che arrivassero insieme. Dopo tutto, il caldo non è forse il volto del diavolo? E a chi è mai capitato di uscire di casa senza portarselo dietro?

Era un caldo che non si scioglieva soltanto le cose tangibili, come i cubetti di ghiaccio, il cioccolato, i gelati. Ma anche l’intangibile. La paura, la fede, l’ira, e ogni collaudato modello di buon senso. Scioglieva l’esistenza della gente, gettandone il futuro in cima al mucchio di terra sulla pala del becchino.

Avevo tredici anni quando è successo tutto. Un’età che mi vide sopraffatto e trasfigurato dalla vita come mai prima di allora. È passato molto tempo dai miei tredici anni. Se fossi uno che festeggia ancora il proprio compleanno, ci sarebbero ottantaquattro tremolanti candeline accese sulla mia torta, su questa vita e sul suo genio terrificante, la sua inevitabile tragedia, la sua estate di bocche spalancate ad addentare quel piccolo universo cui avevamo dato nome Breathed, Ohio.

Il protagonista, Fielding, ormai anziano, pieno di rimpianti e di sensi di colpa, ricorda il se stesso tredicenne, la sua famiglia, la sua città, e l’estate del 1984, l’estate indimenticabile che ha cambiato la sua vita per sempre e l’ha reso quello che è: un uomo tormentato che si punisce per qualcosa di terribile che è accaduto e di cui si sente responsabile. Un uomo che si impedisce ogni legame, perché non vuole che il veleno della sua esistenza infetti gli altri.

E così la narrazione segue due tempi, quello presente, dei rimorsi, di ciò che poteva essere e non è stato, e quello passato, che inizia con un un appello fatto dal padre del protagonista, Autopsy Bliss, pubblico ministero, tramite un articolo pubblicato sul giornale locale, a Satana, perché si presenti in città mostrando la vera faccia del male. Ad arrivare, in risposta all’annuncio, è uno strano ragazzino nero dalla salopette sporca e dagli occhi verdi che dice di essere Satana, il diavolo, Lucifero, Belzebù, l’angelo caduto, o comunque si preferisca chiamarlo. Il suo sguardo sembra contenere tutta la meraviglia e tutto il mistero del mondo, non ha niente di malvagio o di cattivo, nessuno degli aspetti o delle caratteristiche che il mondo tradizionalmente gli attribuisce. Sembra solo essere molto più vicino alla verità delle cose di quanto la gente sia disposta ad accettare. Le storie che racconta parlano di altri mondi, dell’inferno che non è come ce lo immaginiamo, un luogo di fiamme e demoni; di un Dio per certi versi indifferente, che non vuole intervenire laddove ce ne sarebbe bisogno, che assiste alle vicende umane con curiosità ed interesse solo perché vuole vedere che cosa farà l’uomo.

La gente chiede sempre perché Dio permette che ci sia tanta sofferenza nel mondo, Perché lascia che un bambino venga picchiato, che una donna pianga, che succeda una strage? Che un buon cane muoia soffrendo? La verità è che vuole vedere che cosa facciamo noi. E’ lui che ha tirato fuori la candela, ha messo il diavolo allo stoppino, e adesso vuole vedere se noi la spegniamo o aspettiamo che si consumi. Dio è il più grande spettatore della sofferenza.

La famiglia di Fielding, che vede nel ragazzo la violenza non detta e il bisogno d’amore che lo accompagna, lo accetta immediatamente. Ma tra le vie di Breathed, piccola cittadina rurale dell’Ohio, la venuta di Sal, come chiede di essere chiamato (dalle iniziali di Satana e Lucifero), che coincide con l’arrivo del caldo torrido, scatena, invece, gli istinti e le paure ataviche, la ferocia di fronte al diverso che non si riesce a inquadrare e si preferisce rifiutare. E la febbre dilaga, annientando ogni pensiero, ogni remora, ogni capacità di giudizio. Quando cominciano ad accadere piccoli fatti, incidenti, avvenimenti apparentemente inspiegabili, il colpevole non può che essere quel ragazzo apparso dal nulla.

«Sai da dove viene il nome inferno?». Sal incrociò le mani sulle gambe. «Dopo la caduta, ho continuato a dire a me stesso, Dio mi perdonerà. Dio mi perdonerà. L’ho ripetuto per secoli: a un certo punto Mi perdonerà è diventato Mi perd… Miper… E infine un balbettio senza capo né coda Mifer… Infer… E alla fine è venuto fuori inferno. Ma dentro quella parola c’è Dio mi perdonerà. Dio mi perdonerà. E’ questo che c’è dietro la mia porta, capisci? Un mondo di balbettii senza capo né coda, e senza nessuna speranza».

Nel mezzo, mentre attendiamo che la tragedia si scateni, – perché si sa fin dalla prima pagina che qualcosa di terribile e definitivo avverrà – assistiamo a squarci di vita: Fielding e suo fratello Grand, promessa del basket; la loro madre, che teme la pioggia, esce raramente di casa e ha portato il mondo in ogni stanza della sua abitazione; il loro padre integerrimo e convinto di saper distinguere il bene dal male; Dresden, la ragazzina con una gamba artificiale e il suo rapporto con la madre; Elohim (non per niente nome ebraico di Dio), il nano che da scorbutico e solitario artigiano, si trasforma in predicatore esaltato, e poi il resto dei cittadini, persone normali, civili, educate, che dietro la facciata di rispettabilità, nascondono un’anima profondamente intrisa di violenza, razzismo, omofobia e perbenismo che non esitano a scatenare sul diverso. Infine Sal un ragazzino così profondo, generoso e stupefacente da risaltare sopra ogni altra cosa, che però diventa la proiezione di ogni male individuale e collettivo, di ogni torto compiuto, il capro espiatorio perfetto.

Essere il diavolo significava diventare un bersaglio, ma anche possedere qualcosa che un semplice ragazzo non ha. La gente lo guardava, ascoltava quello che diceva. Essere il diavolo lo rendeva importante. Visibile. Non è questa la tragedia più grande? Quando un ragazzo è costretto a essere il diavolo per contare qualcosa?

Con un linguaggio ricco, immaginifico, a tratti filosofico, Tiffany McDaniel racconta una storia brutale, che indaga le profondità oscure dell’umano e non è disposta a concedere facili redenzioni. Chi è davvero il diavolo? Siamo davvero sicuri che sia un essere con le corna che ci fa cadere in tentazione e ci fa commettere le azioni più riprovevoli? Non siamo forse noi, quando ci dimentichiamo dell’empatia, dell’amore, della compassione a cadere negli abissi nascosti della nostra natura più profonda intrisa di meschinità, invidia, cattiveria?

Una storia straziante, impegnativa, carica di significato, sui temi del dolore, della perdita, della barbarie connaturata all’essere umano pronta a esplodere e a devastare, sui meccanismi dei sensi di colpa e sulla difficoltà a perdonarsi.

Tiffany McDaniel pesa ogni parola e rende al lettore la percezione vivida di quello che è successo, in una narrazione quasi tangibile, ricca di frasi portatrici di un senso così profondo che spesso bisogna ritornarci sopra e rileggerle.

E alla fine la fatica iniziale è ripagata: ogni singolo tassello va magicamente al proprio posto e anche il motivo per cui il libro è ambientato nel 1984 – non a caso anche titolo del capolavoro di George Orwell – l’anno del caldo anomalo, nonché quello della scoperta dell’esistenza dell’HIV. E tutto quello che all’inizio non aveva senso, pareva spiazzante e incomprensibile, trova finalmente un significato, come un percorso circolare che per avere senso compiuto deve essere integramente compiuto. E si insinua anche una domanda, un dubbio, un tarlo: se Sal fosse stato bianco anziché nero, la storia sarebbe potuta essere diversa?

E poi c’è il capitolo, il 19, un capitolo di pura poesia in cui perdersi…

L’estate che sciolse ogni cosa di Tiffany McDaniel [The Summer That Melted Everything] Blu Atlantide (2020) Traduzione di Lucia Olivieri – pag. 379

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