Le varie sfaccettature di essere donna

Un memoir sullo stile di quelli a cui ci ha abitati la penna chirurgica di Annie Ernaux.
Il racconto della propria esperienza personale che diventa racconto in cui anche altre donne possono riconoscersi e rispecchiarsi.

In Parti femminili di Leslie Jamison, l’autrice americana ci porta dentro la sua mente, in un flusso di coscienza che la vede raccontare tutta la complessità e le varie sfaccettature di essere donna, madre, scrittrice. Sarà un luogo comune ma l’identità femminile si trova molto più di quella maschile a fare i conti con mille anime diverse. Una donna che sia anche compagna, madre, artista, più volte, anche nell’arco della stessa giornata, si troverà a dover abbandonare un’attività perché richiamata da un’altra. A dover far spazio e trovare tempo per dedicarsi ai suoi figli, al proprio compagno senza rinunciare alla propria attività. E il tutto sentendosi sempre frammentata ed in colpa. Ad un uomo tutto questo non viene chiesto, è considerato naturale che si dedichi al proprio lavoro, alla propria carriera, alla propria arte o ispirazione, senza distrazioni.

A tal proposito è esemplare il racconto che l’autrice fa del momento in cui prepara la borsa, prima di andare a partorire in ospedale, dove infila anche il computer. E la sensazione di vuoto provata quando avevano portato la bambina nella nursery, ma anche la confessione di aver tirato fuori il computer ed essersi messa a lavorare.

«Erano le tre di notte. Avevo la sensazione di aver già fatto qualcosa di sbagliato. Chi si porta dietro il computer quando va in ospedale a partorire?».

L’autrice ci trasmette perfettamente questo stato di cose attraverso il racconto di episodi autobiografici in cui mette a nudo la sua esperienza di maternità, il fallimento del matrimonio, il dolore della separazione, il desiderio di sentirsi completa come donna, cercando anche il soddisfacimento fisico, ma anche l’esigenza di proseguire la sua esperienza di docente e scrittrice, di poter andare da un punto all’altro degli Stati Uniti a tenere conferenze o lezioni, anche se questo vuol dire allontanarla dalla figlia o costringere la bambina a prendere aerei e dormire in luoghi estranei.

Centrale è poi la riflessione sulla maternità, che viene raccontata sia nel suo cercare il contatto, l’aiuto con la propria madre, con cui ha un forte legame affettuoso, sia nel rapporto simbiotico con la figlia, la necessità di accogliere quel fagottino, di sentire l’odore della sua testolina, l’ansia e il senso di perdita che la coglie ogni volta che la bambina passa del tempo con il padre, a causa dell’affidamento condiviso, come se all’improvviso si trovasse priva di una parte fondamentale di sé, di un’estensione del proprio corpo e della propria mente. E allo stesso tempo la sensazione di leggerezza, il sentirsi di nuovo pienamente donna, pronta a cogliere al volo le occasioni che le capitano. Una dicotomia dolorosa e per certi versi spiazzante.

Leslie Jamison riflette anche sul dolore dell’uomo da cui si è separata, che ha già dovuto affrontare la perdita della prima moglie e verso cui si sente in colpa per non essere riuscita a rispettare l’impegno preso. Consapevole al contempo che rimanere con lui avrebbe significato tradire se stessa, tradire la possibilità di essere felice, perché lei in quel rapporto si sentiva intrappolata. Il divorzio è oltretutto un modo per riportare alla luce la sua sofferenza di bambina cresciuta tra due case, due genitori, con un padre amatissimo ma non compreso fino in fondo.

“Da piccolissima credevo che il divorzio prevedesse una cerimonia: i due ripercorrevano all’indietro la coreografia del proprio matrimonio, partendo dall’altare; si lasciavano le mani e poi procedevano separatamente lungo la navata. Una volta chiesi a un’amica dei miei genitori: «È stato bello il tuo divorzio?».

E racconta delle relazioni successive con un musicista che chiama «cespuglio», e con il vicepresidente di un fondo speculativo, che definisce «l’ex filosofo». Uomini diversi, ma accomunati dal fatto che la scrittrice era più innamorata dell’idea che si era fatta sulla relazione con loro, più che di loro stessi.

Il memoir affronta anche la sua dipendenza dall’alcol e il percorso di recupero con gli Alcolisti Anonimi, la paura costante di ricadere in una dipendenza e la fatica immane ad esserci riuscita, nonché il periodo assolutamente spiazzante del lockdown, trascorso oltretutto da sola in compagnia di una bambina piccola.

Il titolo originale di Parti femminili è Splinters, ossia schegge, e rende perfettamente più della traduzione in italiano, la frammentarietà del racconto, episodi e riflessioni sulla maternità, i legami e l’estro artistico che si intrecciano alle contraddizioni che ci animano: la felicità e la tristezza di diventare madri; la trasformazione che questa esperienza comporta e il desiderio fortissimo di continuare a creare; il senso di vuoto e al contempo il sollievo di quando abbiamo finalmente del tempo per noi; il desiderio di rapporti più stimolanti e il sogno di una relazione duratura; il dolore e la liberazione di un divorzio.

Leslie Jamison, firma del New Yorker, scrive un memoir che colpisce per la sua capacità di raccontare senza filtri le ambivalenze dell’essere donna e madre nel mondo contemporaneo, con tutto il suo carico di vulnerabilità e lucidità.

Parti femminili è una lunga seduta di autoanalisi a cui il lettore assiste e partecipa, perché l’esperienza di Leslie Jamison porta a galla ricordi ed emozioni, e fa riflettere su elementi personali. Credo che letture di questo genere abbiano lo scopo di generare una reazione nel lettore, una partecipazione emotiva. Ed è per questo che o piacciono o lasciano del tutto indifferenti.

Parti Femminili di Leslie Jamison [Splinters] Edizioni NN Editore Collana Le Fuggitive (2025) – pag. 272

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *