Vado in montagna d’estate da quando avevo otto mesi. La gran parte delle foto di me bambine hanno sullo sfondo una cima, un prato con qualche mucca che bruca o un laghetto di montagna. Ci sono io che sgambetto con i pantaloni alla zuava e il bastoncino di legno e via via crescendo che mi inerpico su una vetta o faccio qualche ferrata più o meno complicata. Intorno ai diciott’anni ho anche accarezzato l’idea di fare scuola di roccia.
La montagna mi ha sempre messo di fronte i miei limiti e la mia finitezza. Credo non esista una scuola più potente ed efficace di quella. La montagna ti insegna il valore della fatica, della rinuncia e della sua insita pericolosità. Con la natura non si scherza, ricorda ad ogni istante. Un insegnamento che oggi mi pare totalmente dimenticato, basta vedere chi sale in montagna con scarpe inadatte o addirittura infradito. Chi parte per un’escursione nonostante il bollettino meteo ostile. Chi va fuori sentiero, perché cosa capiterà mai. Chi dimentica bottiglie e cartacce in un luogo che andrebbe invece preservato e mantenuto intatto per i posteri.
Insomma ho fatto questa premessa lunga e tutto sommato inutile per dire che a me la montagna piace e tanto. E proprio perché la amo, la rispetto. Se penso ad un luogo per calmare la mente penso ad una baita in mezzo ad un prato al limitare di un bosco e contornata da vette. Ciò nonostante non mi trasferirei mai in montagna. Mi conosco abbastanza da sapere che non sarei preparata alle giornate di pioggia, al freddo intenso, all’isolamento completo dal mondo. La montagna è essenziale detta i tempi, le necessità, i ritmi o l’accetti o soccombi.
«Mai sottovalutare la montagna anche in ciò che appare semplice si nascondono le insidie.»
Tutto questo emerge dalle pagine de La strangera di Marta Aidala, esordio letterario potentissimo e davvero coinvolgente.
Bea è una giovane donna, che ancora non sa chi è e cosa vuole dalla vita. Torinese, ama la montagna da sempre, ha abbandonato l’università ad un passo dalla laurea e contro il parere di tutti ha lasciato casa per andare a fare la stagione in un rifugio in montagna ai piedi della Becca. E lì la incontriamo per la prima volta, a servire ai tavoli, a segnare le prenotazioni su un’agenda, ad eseguire le incombenze che via via le impone il Barba, proprietario del rifugio, ruvido, scontroso e di poche parole. Accanto a loro il cuoco Daniele, i due amici Gioele e Berto e Carlo. Una vita dura scandita dai ritmi intensi del rifugio, poco tempo per pensare, poche chiacchiere se non dopo cena. Unico pepe l’incontro con Elbio, il pastore-malgaro impacciato e silenzioso. Un incontro tra opposti: lui dal destino già scritto prima ancora di nascere, lei irrisolta ed inquieta che non sa quale sia il suo posto nel mondo. Lui montanaro lei strangera. Nasce un’amicizia che forse è qualcosa di più, fatta di incontri fugaci, la sera al bar del rifugio davanti ad un caffè, sguardi di traverso e qualche passeggiata.
Bea si sente a casa, sente di aver trovato un centro in quel piccolo microcosmo, nella camerata da condividere con gli altri, nella doccia fatta solo una volta la settimana, in quella vita ai confini del mondo, dove il cellulare non prende, la vita di prima sembra sempre più lontana e i legami seppur appena nati sembrano esistere da sempre. Ma l’estate finisce e con essa anche la vita comune. Gli altri, a differenza sua, sanno tutti cosa vogliono dal futuro: Daniele vuole un lavoro vicino alla donna che ama, Gioele e Berto provare a diventare guide alpine, Carlo aprire un’attività sua. Ma lei decide di rimanere, di passare l’inverno lassù da sola con il Barba. Inizia un periodo di attesa, le foglie dei larici che si incendiano, le giornate corte, i temporali improvvisi e lunghi, le difficoltà di approvvigionamento, il freddo e la mancanza di neve. Finché tutto precipita, un fatto improvviso, un incidente che sovverte tutto e fa sentire quel luogo rifugio, una gabbia, una prigione, da cui si vuole evadere ed uscire prima possibile.
La strangera è un romanzo in cui non accade nulla, eppure accade tutto: lo scandire delle stagioni, il ritmo della natura, l’ineluttabile senso della vita.
Una storia con una protagonista che non si capisce mai fino in fondo. Niente è detto della sua vita, non emerge nulla del suo passato, del motivo per cui abbia mollato l’università, né perché dopo aver imparato a scalare ha lasciato anche quella attività. C’è tanto di irrisolto in lei, una sorta di noia esistenziale che l’ha fatta allontanare dalla sua vita precedente ma che non le permette di trovare requie nemmeno nel posto che ha scelto.
[…] mi era tornato in mente il principio della rana bollita […]
Una rana nuota tranquilla in una pentola d’acqua fredda. Sotto la pentola c’è un fornello con il fuoco acceso e l’acqua comincia a intiepidirsi. La rana rimane lì, a godersi quel piacevole tepore. Ma la fiamma continua a scaldare l’acqua, la temperatura sale ancora e la rana, seppure stia iniziando a soffrire il caldo, non si muove, non scappa. Quando la temperatura è ormai diventata insostenibile la rana non ha più le forze per saltare via, salvarsi, ed è destinata a morire bollita.
Le ultime forze per saltare via io le avevo trovate, nascoste tra muscoli e legamenti, però di ustioni ne avevo riportate parecchie. Sapevo che si stavano rimarginando ma quella pentola, oltre alle ferite, aveva fatto esplodere in me la rabbia. Una rabbia senza colpevoli e senza carnefici, che non aveva bersagli contro cui scagliarsi e si riversava addosso a chiunque.
La montagna però mi aveva domata. Incanalava la mia furia tra i valichi e le vette, nelle tane degli animali, nelle anse del fiume, tra gli aghi degli alberi, in quel cielo che era una bocca immensa e se la ingoiava tutta anche se non glielo avevo mai chiesto.A volte con la rabbia ci nasci dentro, e non lo sai nemmeno perché sei così arrabbiato.
Un libro di sensazioni, di sentimenti, di paesaggi, dove la natura ha una parte fondamentale, dove l’uomo è solo un elemento e neanche il più essenziale.
Marta Aidala ci immerge nella natura e nella vita di montagna senza false edulcorazioni e ci consegna un grande esordio dallo stile maturo.
La strangera di Marta Aidala Guanda 2024 pag. 330