Se volete leggere un libro appassionante e scorrevole che però vi colpirà come un pugno nello stomaco, vi farà arrabbiare e vi costringerà a riflettere un bel po’ su che cosa significa, ancora oggi, nonostante i proclami, avere la pelle di un colore diverso dal bianco e subire quotidianamente la discriminazione questo potrebbe essere il libro adatto.
The Hate U Give. Il coraggio della verità di Angie Thomas, pubblicato nel 2017, da cui è stato tratto anche un film è uno di quei romanzi che non possono lasciare indifferenti.
Il titolo nasce dal titolo di una canzone del rapper Tupac, spesso citato durante la narrazione, dove l’acronimo THUG LIFE sta per The Hate You Give Little Infants F***ks Everyone: una denuncia nei confronti della esistenza che molti bambini devono vivere circondati da violenza ed odio per il semplice fatto di essere nati nel quartiere sbagliato. Una denuncia che permea l’intera storia e torna più volte nelle pagine del romanzo.
Starr è una sedicenne afroamericana che vive in bilico tra due mondi: quello del ghetto da cui proviene e quello della scuola prestigiosa che frequenta. La ragazza abita a Garden Heights, quartiere per neri con un alto tasso di criminalità, sparatorie frequenti e un intenso traffico di droga controllato da alcune gang in lotta perenne. Suo padre ha un piccolo negozio di alimentari, mentre la madre è infermiera. I suoi genitori hanno scelto per lei e il fratello maggiore un prestigioso istituto frequentato in prevalenza da bianchi, consapevole che solo con un’istruzione eccellente potranno uscire dal ghetto e realizzare una vita diversa, più ricca di possibilità. Starr, per questo, si sente divisa in due, ha due modi di parlare, divertirsi, atteggiarsi, vestirsi e persino le amicizia paiono divise come da un muro.
Ma la sua vita va in frantumi una sera di ritorno da una festa mentre è in macchina con l’amico di sempre Khalil. Fermati da un poliziotto per un controllo a breve tutto precipita. Starr sa, fin da piccola, che occorre sempre dimostrarsi collaborativi, non agitarsi, evitare battute e movimenti bruschi, ma un gesto di Khalil, oltretutto fatto per rassicurare lei, basta al poliziotto per sparare. Starr è l’unica testimone di quello che è accaduto: ha visto morire di fronte ai suoi occhi il suo amico e sa che non aveva fatto nulla, non aveva provocato l’agente, non aveva armi, nulla. Eppure è morto. Ucciso solo perché era nero.
Sotto choc, la prima reazione è quella di cercare di dimenticare prima possibile quello che è accaduto, di cancellare letteralmente dalla sua testa le immagini che invece continuano a vorticare e farle male.
Per Starr inizia un lungo e faticoso processo di consapevolezza. Può far finta di nulla, andando a scuola, e sentendo i commenti dei compagni sull’ennesimo spacciatore ucciso, che infondo se l’è cercata? Può leggere sui giornali o vedere in tv le interviste all’agente che viene dipinto come vittima? Può continuare a vivere senza fare la cosa giusta, senza cercare, almeno, di restituire un po’ di verità e giustizia al suo amico Khalid?
E su questi interrogativi prima e sulla necessità che giustizia venga fatta in tutti i casi, anche quando il ragazzo ucciso faceva parte di una gang e spacciava, poi si concentra la narrazione.
«… Era molto di più delle sue decisioni sbagliate, per quanto gravi potessero essere» dice. «Mi dispiace di essere ricaduto nella mentalità di chi cerca di razionalizzare un assassinio. Alla resa dei conti, non spari a qualcuno solo perché ha aperto la portiera. Se lo fai, non dovresti essere un poliziotto.»
Perché spesso la mancanza di opportunità e la necessità comunque di sopravvivere porta allo spaccio: non una scelta ma una necessità.
Intanto nel quartiere le proteste dilagano e con esse la violenza sottesa, le strade sono messo a ferro e fuoco, perché l’ingiustizia non può avere che un’unica conseguenza una rabbia furiosa e devastante. E Starr e la sua famiglia sono perfettamente consapevoli che ottenere giustizia non è così semplice, che mettersi contro un poliziotto bianco, testimoniare contro di lui, oltre che emotivamente e psicologicamente difficile, potrebbe essere anche perfettamente inutile.
“A volte si fa tutto nel modo giusto e va male lo stesso. L’importante è non smettere mai di fare la cosa giusta”.
Angie Thomas ricostruisce gli eventi con lucidità, incalzando al contempo il lettore a riflettere su temi attuali. Allo stesso tempo fa emergere tutta la complessità di una situazione in cui una ragazzina è alle prese con un avvenimento enorme e sovrastante unito le difficoltà del far parte di un gruppo, la delusione nel rapporto con le amiche, il peso delle differenze di classe e soprattutto di pelle. Riesce a dar voce alle fragilità di Starr e alla sua necessità di far sentire la sua voce, di non lasciare che la morte di Khalil sia l’ennesimo “errore” messo sotto silenzio. Il tutto senza mai scadere nel banale.
The Hate U Give mostra i pregiudizi collegati al razzismo e le conseguenze terribili che ne derivano. Una storia come tante, purtroppo, negli Stati Uniti, uno dei tanti episodi di violenza portata all’estremo dalla polizia, che ha dato origine al movimento Black Lives Matter, perché non si può rimanere in silenzio di fronte alle ingiustizie. Non ci si può girare dall’altra parte e far finta che non esistano.
Una delle particolarità del romanzo che lo rendono estremamente originale è l’uso dello slang (l’autrice utilizza in parte l’Inglese standard e in parte l’AAVE (African American Vernacular Englis). Una peculiarità che purtroppo si perde in traduzione ma che riflette la doppia vita condotta da Starr, la sua anima sdoppiata.
The Hate U Give è un romanzo scorrevole, ricchissimo di dialoghi, assolutamente da leggere per indignarsi e cominciare ad aprire gli occhi su un fenomeno odioso e persistente.
The Hate U Give. Il coraggio della verità di Angie Thomas (2017) – Giunti (2020) – Traduzione di Stefano Bertolussi – pag. 410