Come l’arancio amaro di Milena Palminteri è un romanzo di rara intensità, un intreccio di destini e di storie stupendamente narrato. Un romanzo in cui profumi del mare, della terra, degli ulivi paiono esalare dalle pagine e su cui domina prepotente quello della zàgara il delicato fiore dell’arancio, che qui è però rappresentato nella varietà dell’arancio amaro che dà nome al titolo e che rappresenta metafora e fulcro intorno a cui la storia ruota.
Alzo gli occhi alle piccole rose che ha scelto, ma non sono sole, s’intrecciano ai rami spinosi e ai petali bianchi da cui proviene il profumo di nèroli che mi ha stordita. I fiori dell’arancio amaro hanno un’essenza rara e preziosa, che la zàgara, loro sorella nobile, ignora. E io sento, finalmente, che la vita è ora.
Come spiega la stessa autrice nella nota a termine del libro, l’arancio amaro è una pianta alta dalla chioma rotonda e dalle foglie verdissime che danno frutti dalla polpa acida ma da cui si produce una delle marmellate più amate e pregiate, e fiori bianchi da cui si ricava l’olio essenziale, “nèroli”, uno dei profumi più intesi, agrumato ma avvolgente. Insomma una pianta spinosa ma preziosa, utilizzata anche per creare innesti con piante meno resistenti e per questo detta “pianta madre”.
E le tre protagoniste del romanzo paiono proprio ispirate a questa pianta. Sabbedda, selvatica e fiera, desiderosa di decidere il proprio futuro, ma a cui la povertà preclude opportunità; Nardina, dolce e paziente, che coltiva il sogno di laurearsi, ma si trova intrappolata nel ruolo di moglie e infine Carlotta orgogliosa e determinata, che ambisce a diventare avvocato in un mondo che ancora riserva tale professione solo agli uomini.
Le loro storie le scopriremo in un alternarsi tra passato e presente, in una narrazione che intreccia due piani narrativi: 1924 e 1960, svelando poco a poco il segreto che le vede protagoniste.
Un libro prevalentemente al femminile che relega gli uomini al ruolo di comprimari ma decisi ad imporre la propria volontà e a disegnare il destino delle donne che hanno affianco.
In mezzo la descrizione di una terra in bilico tra il vecchio e il nuovo, tra le baronie ottocentesche e le rivalse dei primi del novecento. Una terra che come dice perfettamente l’avvocato Calascibetta, è stata annessa al regno d’Italia per interesse ma di cui il continente ben presto si è dimenticato. E gli anni venti del novecento sono anche sono quelli che meglio inquadrano una Sicilia, tanto assuefatta da millenaria storia di invasioni, da vivere anche il fascismo, che arriva in Italia come un terremoto, con il suo solito e singolare fatalismo. Un regime però che si scontra con chi dietro le quinte manovra e dirige, quella mafia fatta di campieri, che sorvegliano terre, coloni, massari e mezzadri per conto di nobili e borghesi ed intessono alleanze, conoscono segreti, garantiscono da abusi ed angherie, da estorsioni e vendette; sempre presenti, sempre pronti a rendersi utile, perché nella Sicilia dell’epoca ci si fida della vecchia mafia assai più dei nuovi governanti.
Perché la mafia in Sicilia non è mai scomparsa. Dopo Mussolini e le sue guerre si è trasformata. E ora non la trovi più in campagna, vive in città mimetizzandosi tra borghesi e imprenditoria ma ha conservato metodi e viltà. E se, ai suoi inizi, i sarracesi la ignoravano a parole e in silenzio la rispettavano, ora la cercano, la incensano e la sostengono vantandosene.
Tra le pagine del libro scorrono tantissimi personaggi tutti eccezionalmente descritti anche con poche pennellate: l’egoista Bartolo che cerca di ricavare il meglio dalla bellezza e disgrazia della figlia; l’irresponsabile barone Damelio che spolpa il patrimonio dei figli senza ritegno; Stefano che non ha scrupoli a soddisfare voglie, ambizioni e desideri senza guardare in faccia nessuno; Carlo apparentemente il personaggio maschile migliore, ma anche lui incapace di capire i desideri e le pene della moglie; Don Calogero Licata il campiere sempre accorto e disponibile, figura sfuggente ma centrale e infine l’avvocato Calascibetta personaggio di raccordo tra le due parti della narrazione, custode di segreti, o meglio sarebbe dire di sensazioni, acuto osservatore e conoscitore del mondo, che conserva gelosamente il ricordo di un amore impossibile.
E ancora Caterina, morta troppo giovane, la curriera Bastiana abile faccendiera senza scrupoli nel manovrare a suo vantaggio le situazioni, la baronessa Rosetta pronta a mettere nel letto del figlio la prima venuta pur di allontanarlo dalla moglie da lei reputata non all’altezza; la perpetua Cursidda, fedele governante, sempre al fianco dell’avvocato Calascibetta.
Interessante come l’autrice, che esordisce alla veneranda età di 75 anni, battendo anche il conterraneo Andrea Camilleri, abbia preso ispirazione da un atto d’archivio di un centinaio di pagine, trovato per caso mentre scartabellava antichi incartamenti durante il suo lavoro all’Archivio di Stato di Salerno.
Un verbale richiesto dal procuratore del Re che cela una storia torbida: la moglie, temendo di concorrere all’eredità del marito insieme ai suoi parenti, decide di simulare una gravidanza e poi di comprare un bambino, facendo credere che fosse figlio suo. Un seme che a distanza di anni ha generato la storia di Come l’arancio amaro.
Milena Palminteri esordisce con un romanzo maturo e travolgente, scritto con una lingua ricca di sfumature, con un mix riuscitissimo di italiano e siciliano, che a me ha riportato alla memoria la lingua mai dimenticata proprio di Camilleri, regalando, al contempo, personaggi indimenticabili, intreccio riuscito e richiami alla contemporaneità, la sfida ancora aperta di essere donna tra norme patriarcali e rigidi vincoli sociali.
Carlotta mia, figlia mia, non c’è amore di uomo che possa essere più importante di te stessa. Tùppati le orecchie se le campane ti suonano dentro al cuore ma il naso sente puzza di carne bruciata. Quella carne è la tua. Solo questo ti dico e ti lascio che te lo devi ricordare per sempre: non c’è sentimento senza rispetto e se tu per paura ti fai pecora si scancella pure la tua dignità. Abbi coraggio tutta la vita.
Come l’arancio amaro di Milena Palminteri – Bompiani (2024) – pag. 444