Salvare le ossa di Jasmyn Ward è un romanzo potente. Una storia di amore e dolore.
La storia di una famiglia composta da quattro fratelli e un padre. Un padre devastato dalla morte della moglie, che combatte con l’alcool il senso di abbandono che prova e che lo porta a disinteressarsi dei suoi stessi figli. E quattro fratelli che si sostengono a vicenda, si appoggiano, seppur nelle differenze di ognuno. Randall il protettivo fratello maggiore, il più solido, che sogna un futuro di giocatore di basket, per avere una possibilità. Skeetah che vive in funzione dei bisogni della sua amatissima cagna China, che accudisce e cura come e più di un madre. Esch, la voce narrante, una ragazzina cresciuta troppo in fretta, unica femmina in mezzo a tanti maschi. E infine Junior cresciuto nell’indifferenza, con la rabbia di non avere nemmeno un ricordo, un immagine, un momento con la madre.
“Quando eravamo piccoli e mamma doveva farci alzare per andare a scuola, per prima cosa ci toccava sulla schiena. E quando ci sentiva contrarre sotto le sue mani e capiva che ci stavamo muovendo, ci diceva sottovoce di svegliarci: era ora di andare a scuola. Quando è morta ha dovuto cominciare a svegliarci papà, e lui non ci toccava mai. Picchiava sul muro di fianco alla nostra porta, forte. Sveglia, gridava.”
Ognuno di loro ha un disperato bisogno d’amore, anela considerazione e affetto e lo cerca in qualcosa di diverso: sia la bottiglia in cui annega i ricordi il padre,
o la cagna in cui ha trovato tutto l’amore di cui ha bisogno Skeetah; siano gli amici, una sorta di famiglia allargata che sostiene Randall, o gli incontri sessuali con gli amici dei fratelli, per Esch, che in quelle attenzioni, a cui lei si dà con incoscienza e noncuranza, cerca la moneta di scambio per sentirsi viva.
Vivono in una casupola in mezzo alla Fossa, una sorta di depressione naturale circondata di immondizie, rottami, sporcizia, carcasse di lavatrici e macchine. Un tratto di terra immersa nei boschi dove regnano la desolazione e il degrado.
Salvare le ossa inizia con un parto quello della cagna di Skeetah, China, un pitbull da combattimento, bianca e feroce. Un parto che richiama immediatamente nella voce narrante quello della madre, morta nel dare alla luce l’ultimo figlio, il più piccolo Junior. E quella madre, così poco incline alla maternità, che arriva ad uccidere incurante uno dei suoi cuccioli, ritorna più volte nella narrazione, spesso allineata a Medea, la maga di cui Esch sta leggendo la storia.
Esch che si prende cura come può dei fratelli e del padre, è innamorata di Manny uno dei ragazzi che le girano intorno. Uno che la usa solo per il suo capriccio e piacere, che ha una ragazza ufficiale e nessuna intenzione di cambiare le cose, nemmeno per un figlio in arrivo. Esch che sa che il suo corpo sta cambiando, che accetta, quasi inconsapevolmente, di essere incinta, che legge gli Argonauti cercando di trarre insegnamenti ed esempi dal mito.
Intanto una tempesta si prepara al largo delle coste e la storia della famiglia si intreccia inesorabilmente con un evento che mano a mano diventerà centrale e cambierà in modo radicale tutto.
Il padre moderna Cassandra per tutta la prima parte del romanzo, avverte e si prepara all’arrivo dell’uragano. Ascolta la radio, cerca di fare provviste, prepara le scorte d’acqua, accatasta legna con cui sbarrare le finestre e rinforzare la casa. I figli minimizzano, pensano stia esagerando: infondo è solo Forza 1, cambierà sicuramente direzione, è troppo lontano da loro, si abbatterà sulla Florida.
L’immenso bisogno d’amore e la disperazione di fondo dei protagonisti diventerà lotta per la sopravvivenza nel momento in cui l’uragano Katrina compirà la sua devastazione.
“Legherò i pezzi di vetro e mattone con lo spago e appenderò i frammenti sopra il letto, in modo che brillino nel buio e raccontino la storia di Katrina, la madre che è entrata nel golfo come una regina per portare la morte. Il suo carro era una tempesta terribile e nera, e i greci avrebbero detto che era trainato dai draghi. La madre assassina che ci ha feriti a morte e tuttavia ci ha lasciati vivi, nudi, stupefatti e raggrinziti come bimbi appena nati, come cuccioli ciechi, come serpentelli appena usciti dal guscio, affamati di sole. Ci ha lasciato un mare buio e una terra bruciata dal sole. Ci ha lasciati qui perché impariamo a camminare da soli.”
Jesmyn Ward, con una scrittura cruda ed evocativa, dipana una storia drammatica e potente che ho trovato affine alla tragedia greca. Non per niente è la stessa autrice a richiamare in modo esplicito Medea, una figura di donna e madre complessa, sfaccettata, carnale, violenta che la protagonista usa come modello, come esempio, per darsi forza, per cercare di comprendere quello che sta accadendo e quello che l’aspetta.
I temi che erano già presenti in La linea del sangue, famiglia disfunzionale, povertà, abbandono, comunità che vive ai margini, senso dell’attesa, natura matrigna, ma anche solidarietà, protezione, affetto, sono qui sviluppati e resi ad un livello superiore. Vi è una grande e decisa maturazione di scrittura e di struttura rispetto a La linea del sangue.
Salvare le ossa è un romanzo denso, intenso, in cui è fortissimo il contrasto tra la vita e la morte, con un continuo rinvio tra l’una e l’altra mediante l’utilizzo di immagini che l’abile penna della Ward riesce a creare. Salvare le ossa regala emozioni forti, a tratti è un pugno nello stomaco per le descrizioni che non risparmiano particolari crudi, a volte pare una carezza per la poesia di alcune scene. Assolutamente da leggere
Salvare le ossa di Jesmyn Ward [Salvage the Bones 2011] – NNEDITORE (2018) – tradizione di Monica Pareschi pag. 320