Guadalupe Nettel ha una scrittura nitida, definita, nel descrivere oggetti e situazioni, sa analizzare i cambiamenti e gli spostamenti interiori, quelle situazioni che stravolgono l’esistenza a volte in modo persino inconsapevole.
Di lei avevo letto e amato profondamente La figlia unica ed ero curiosa di rincontrarla in questa raccolta di racconti, scelta come lettura di giugno per il gruppo Babele di Elena @lettricegeniale consapevole però che i racconti non sono il mio genere preferito e che per scriverne di potenti occorre una maestria non da tutti.
Mi sono trovata davanti otto storie fulminanti, a tratti disturbanti, in cui nostalgia per il tempo passato, infelicità di varia natura, senso di soffocamento si fondano con un senso di inquietudine, resa ancora più densa dall’incomunicabilità, dai desideri smarriti, dalla vita senza senso. Racconti i cui protagonisti sono tutti alla ricerca di qualcosa, accomunati da altrove, casualità, destino.
C’è chi dopo anni ritrova un’intimità parentale perduta, anche se qualcosa di ambiguo e strisciante corre sotto traccia; chi pensa di riconoscere in altri la propria condizione di orfano; chi vuole preservare un improbabile equilibrio familiare, anche andando contro coscienza; chi cerca di riacchiappare il tempo passato; chi trova in una pianta le radici più profonde della propria infanzia; chi cerca di appropriarsi del nido altrui, come il cuculo; chi scopre nell’imponenza degli albatri lo specchio di un difficile ritorno alle origini; chi vive nel sogno e chi da quel sogno vuole uscirne.
L’infanzia non finisce tutta in una volta come avremmo voluto da bambini. Rimane lì, rintanata e silenziosa nei nostri corpi maturi, poi appassiti, finché un bel giorno, dopo molti anni, quando crediamo che il carico di amarezza e di disperazione che portiamo sulle spalle ci abbia irrimediabilmente trasformati in adulti, ricompare con la rapidità e la potenza di un lampo, ferendoci con la sua freschezza, con la sua innocenza, con la sua dose infallibile di ingenuità, ma soprattutto con la certezza che quello sia stato l’ultimo, davvero, l’ultimo barlume che ne abbiamo avuto.
Guadalupe Nettel mescola il fantastico al quotidiano, penetrando quel senso nebuloso che ci circonda, mostrandoci il disagio nascosto, venuto più che mai alla luce dopo il periodo pandemico, che ricorre qui più volte tra queste pagine come presente distopico o possibile inquietante futuro.
Sinceramente sono rimasta perplessa da questi racconti non so se li ho apprezzati fino in fondo. In questo caso confrontarmi con le altre del gruppo mi è servito molto a ragionare sul vero senso di queste storie. Temo di averli letti troppo superficialmente e fermandomi troppo poco a riflettere sulla loro essenza. La differenza tra leggere un romanzo e leggere racconti forse sta proprio nel modo in cui si leggono. Un romanzo ti spinge nella sua storia, ti inghiotte, il tempo necessario a leggerlo ti spinge a ragionarci anche nelle pause di lettura. Il racconto rischia di essere come le ciliegie, una dietro l’altra, quasi senza gustarne il sapore, mentre, forse, l’approccio giusto è quello di assaporarli, centellinarli lentamente, in una lettura non consecutiva, ma casuale, scegliendo di volta un nuovo racconto, intervallandolo con altre letture. Mi riprometto di riprovarci presto con questo approccio…
La vita altrove di Guadalupe Nettel [Los divagantes 2023] – La nuova frontiera (2023) – traduzione di Federica Niola pag.154