L’invasione

Incuriosita dalla presentazione tenuta a Testo Firenze, in cui l’autore dialogava con Peppe Fiore di letteratura, cinema, serie tv, uniti dal comune lavoro di sceneggiatori oltre che scrittori, non sapevo bene cosa aspettarmi da questo libro.

Mi sono trovata tra le mani un romanzo dalla scrittura cinematografica, vivida e brillante, per la capacità dell’autore di rappresentare la scena come se il racconto balzasse fuori dalla pagina, unita ad un linguaggio scarno, ma fatto di immagini evocative e potenti.

Una trama che unisce alla descrizione di un microcosmo reale dove prolifica violenza e bruttura ad un che di surreale, in un crescendo serrato che inchioda alla pagina e un finale spiazzante e indimenticabile.

Vendetta, rivalità, vecchi rancori, la spirale di violenza che non trova mai fine, l’ambiente devastato che presenta il conto, il destino che ci mette lo zampino.

Inizia come un giallo, con un cadavere abbandonato sul greto di un fiume, ma vira verso qualcosa di totalmente diverso e molto più potente.

Due paesi divisi da un fiume e da antiche rivalità.

Una terra bellissima devastata dall’incuria, dalla speculazione senza limiti, dallo sprezzo verso le leggi, dove immondizia e inquinamento ammorbano l’aria e la rendono irrespirabile.

Due paesi, la ricca Sant’Elpidio guidata dal temuto Tiziano Bianco e la povera Ferrizzano il cui capo Nicola Fortore è detto il Barracuda, uomo gravato da problemi familiari, da voglia di fuga e da un prestigio scemante anche a causa del fatto che lavora per il suo rivale.

Tiziano e Nicola non hanno mai ucciso qualcuno. Non hanno mai rubato, né incendiato la casa di nessuno. Il sindaco di Sant’Elpidio è il figlio semianalfabeta di un affiliato dei casalesi, ma Tiziano con la camorra ci fa solo affari per via delle mozzarelle, niente più di questo. Nicola invece non parla né con i politici né con i mafiosi. Tiziano è ricco, Nicola no. Eppure entrambi sono i capi delle due comunità, nessuno si è mai domandato perché e in base a cosa. Ma lo sono e interagiscono come tali.

C’è solo un momento in cui questi ruoli decadono: quando Tiziano, come proprietario di sei caseifici della zona, parla con Nicola, uno dei suoi più vecchi dipendenti, quello che gli cura le bufale. Il tono delle loro voci, dei capi parigrado può cambiare in un secondo. Il tempo di un punto e a capo.

Perentorio diventa quello di Tiziano; ossequioso, servile, preoccupato quello di Nicola. Perché senza di soldi del capo, Il Barracuda non saprebbe come dare da mangiare a Valentina e Katia.

L’arrivo in paese di un amico di vecchia data, oltre a far riemergere ricordi e occasioni perdute, sembra offrire a Nicola la possibilità di un affare che può cambiare e per sempre la sua vita: catturare enormi vespe provenienti dal sud est asiatico e venderle. Un piano folle, un’organizzazione perfetta che si scontra con l’inesattezza delle informazioni raccolte e con la sete di vendetta mai sopita.

Ma la vendetta è una catena pesantissima che non conduce a niente, solo ad una spirale infinita di lutti, in cui come sempre sono solo gli innocenti a pagare.

Un romanzo sulle opportunità mancate, i tradimenti dolorosi, i sogni irrealizzabili, la vita che non lascia speranza in una sorta di scontro all’ultimo sangue che mi ha ricordato le atmosfere dei film western con le sfide tra due pistoleri nell’assolato spiazzo deserto di un villaggio. L’invasione è un romanzo amaro che mi ha lasciato sbigottita a fissare le ultime righe, incredula di quel finale spiazzante e doloroso.

L’invasione di Paolo Piccirillo – Fandango Libri (2024) – pag. 175

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