I canti d’amore e di dolore

I canti d’amore di Wood Place è un romanzo complesso e composito, con una struttura narrativa decisamente impegnativa. L’autrice non sceglie un racconto lineare e temporalmente rettilineo, ma alterna il passato remoto della protagonista, le origini della sua famiglia, che si perdono in antenati africani e indiani creek, con gli avvenimenti più recenti legati alla storia della madre e della sorella Lydia. Riprendendo poi via via la storia di Ailey la vera protagonista e anche colei che, scegliendo, dopo svariate vicissitudini, di laurearsi in storia, con una tesi sulla sua famiglia, riannoderà tutte le narrazioni, ricostruendo le origini e offrendo una sorta di risarcimento alle sofferenze dei suoi antenati schiavi. Una storia di grande sofferenza, collegata come da un fil rouge dagli abusi perpetrati a danno di bambine.

I canti d’amore di Wood Place racchiude tantissimi temi dalla schiavitù al “color struck” – il razzismo dei più chiari verso i più scuri – passando attraverso le infinite sfumature della “linea del colore” e del “passing”, richiamando i pilastri della letteratura nera da Il colore viola al famigerato La capanna dello Zio Tom, ricordando l’orrore della segregazione, le leggi Jim Crow, Ruby Bridges, la figura e le lotte di Martin Luther King.

E’ anche un romanzo sul ruolo delle donne, sull’importanza e la difficoltà del femminismo in una società in cui i problemi etnici e di accettazione sono prioritari. Donne che nella società e in quella nera in particolare sono fondanti e fondamentali, il vero fulcro della società, ma che, nonostante questo, subiscono ogni sorta di violenza fisica e psicologica.

« So che alcuni di voi giovanotti in sala pensano che l’uomo negro deve guadagnare per la sua famiglia. Se indossa giacca e cravatta, esce di casa per andare al lavoro. Se è un contadino, si mette la tuta e lavora nei campi. Se a casa sua arriva il Ku Klux Clan, si mette sulla soglia per proteggere la sua famiglia e se necessario, sarà lui a pendere da una corda. E pensate che, per tutti questi motivi, all’uomo nero spetti la gloria.» …

«Ma quando l’uomo negro esce di casa, non capisce che lascia sua moglie da sola. E’ Lei che fa il lavoro estenuante di tenergli la casa pulita. E’ lei che tira su i figli. E questo solo se lui guadagna abbastanza per garantire che lei non debba lavorare. Altrimenti lei lascerà i bambini da sua madre o sua nonna, e anche lei si vestirà bene per guadagnare come maestra. O, più probabilmente, lavorerà come domestica nella cucina dei bianchi, oppure andrà nei campi accanto al marito aiutandolo ad arare, ma comunque deve far sì che i figli stiano bene, dar da mangiare a loro e anche a lui. E di nuovo tenere la casa pulita.»

Un romanzo forte e potente che purtroppo perde un po’ del suo impatto in una narrazione che soprattutto fino ai due terzi del libro appare un po’ sfilacciata, il continuo avanti ed indietro temporale, il soprapporre storie ed esperienze delle donne Garfield, rende faticoso seguire le vicende di una famiglia che si perde in generazioni indietro, anche perché i temi trattati sono veramente tanti, alcuni più legati al razzismo altri meno. Personalmente avrei preferito una narrazione lineare che iniziando dal passato arrivasse al presente o un racconto che partendo dagli studi di Ailey arrivasse ad abbracciare tutte le generazioni passate.

Una storia che però ricorda l’importanza della memoria, del non perdere mai di vista che cosa è successo, cosa hanno passato gli schiavi, che cosa erano per i loro padroni, denunciando l’atteggiamento di molti bianchi che tendono a sminuire le brutalità dello schiavismo e il trauma subito dagli afroamericani che hanno subito sulla loro pelle o su quella dei propri avi la schiavitù. Non si può correggere la storia, riscrivendola a proprio piacimento. Non è giusto sottolineare continuamente come i padroni potevano essere stati buoni e aver trattato bene i propri schiavi, o evidenziare la “liberazione” degli schiavi, avvenuta in fondo solo in seguito alla guerra di secessione, senza mettere in evidenza come questi ultimi, una volta liberati erano diventati mezzadri dipendenti in tutto e per tutto da coloro che erano stati i loro padroni fino a prima.

Un altro tassello necessario e doloroso verso la conoscenza e la consapevolezza. Come detto altre volte il percorso effettuato grazie al #ilrazzismonellaletteratura mi ha dato maggiore consapevolezza, maggiore attenzione e sensibilità verso tutte le discriminazioni legate in questo caso al colore della pelle. Non possiamo definirci attenti ai diritti, coscienti e democratici se non ci indigniamo verso questi orrori e soprattutto se non cerchiamo nel nostro piccolo di cambiare le cose.

I canti d’amore di Wood Place di Honorée Faronne Jeffers – traduzione di Alba Bariffi – Guanda editore (2022) – pag. 843

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