Perché una donna bella, con una sensibilità artistica fuori dal comune, una musicista raffinata, geniale pianista, una sensibile intellettuale, ricca, ammirata e amata da tutti, a partire dal marito, vuole fortissimamente mettere termine alla sua vita? Perché nulla né l’arte, né l’amore, né la realizzazione personale, ma nemmeno il dolore di chi rimane, colmano la sua stanchezza di vivere?
Sono questi gli interrogativi che si pone Miriam Toews in questo bellissimo romanzo. Un romanzo, che lo dico subito, nonostante l’argomento trattato, non è triste, anzi. La grande capacità della scrittrice è proprio quello di riuscire a raccontare la vita di due sorelle, caratterialmente agli antipodi, cogliendo l’ironia anche nei momenti peggiori. Mettendo a confronto la vita dell’una, assolutamente eccezionale e realizzata in tutto, con l’altra scombinata e squilibrata in ogni aspetto. Tanto Elf è l’incarnazione della perfezione fatta donna, quanto Yoli è pasticciona e inconcludente: madre di due figli avuti da due uomini diversi, senza un lavoro stabile, scrittrice di storie per ragazzi, che ormai non le danno più soddisfazione, alla ricerca di una storia che possa cambiarle la vita, si accontenta di avventure di una notte.
E’ a lei, però, che, dopo aver tentato ripetutamente il suicidio, si rivolge Elf perché l’aiuti nella sua scelta di mettere fine alla sua vita, cercando di convincerla ad accompagnarla in una clinica svizzera, dove è possibile compiere il gesto definitivo, oppure in Messico, dove è facile procurarsi farmaci letali.
Tra loro la madre, una donna che nonostante tutto ha un ottimismo perenne, che le ha permesso di resistere al suicidio del marito prima e ora ai continui tentativi della figlia di togliersi la vita. Una donna che ha fatto della resilienza la sua cifra e affronta tutto con i suoi abiti sgargianti e i gialli da leggere sempre pronti nella borsa.
<<Erano mio padre e mia sorella che insistevano costantemente perché io e mia madre leggessimo di più, perché trovassimo conforto nei libri, perché placassimo brame e dolori con le parole e ancora parole. Scrivi tutto, diceva mio padre quando andavo da lui in lacrime, per dio sa quale piccola ingiustizia, e tieni, leggi questo, diceva mia sorella lanciandomi qualche tono quando le facevo domande tipo, La vita è una presa in giro?>>
Illuminante il colloquio tra le due sorelle – a circa metà libro – in cui Yoli si accanisce contro Elf, le mostra tutte le cose meravigliose di cui è costellata la sua vita, tutti i successi, tutto l’amore che la circonda e le paragona alla sua esistenza, molto più banale, piena di errori, di fragilità e debolezze: due pagine di un’intensità incredibile. Perché Yoli non capisce il malessere oscuro del cuore che imprigiona sua sorella, vuole scuoterla, vuole farle capire che la vita, nonostante tutto è bella e degna di essere vissuta. E dall’altra parte c’è Elf, che le dice che lei ha dovuto diventare così, una sorta di contraltare agli infiniti casini della sorella, che solo lei ha accolto la sofferenza del padre, la sua incapacità di vivere e la sua scelta di farla finita e le chiede di capirla, di aiutarla ad uscire da una tristezza insondabile che ormai non le dà più requie.
Un romanzo che affronta temi spesso considerati tabù, dal suicidio, all’eutanasia, dalla depressione ai legami familiari che ci mostra come la perfezione non sia sinonimo di felicità e lo fa raccontando il coraggio di chi va avanti nonostante tutto, di chi riesce a vedere il lato ironico della vita e l’affronta con determinazione. Un romanzo intriso di morte, ma mai triste o deprimente, che regala riflessioni assolutamente non scontate come il dilemma di una sorella che si trova combattuta tra il desiderio di costringere la sorella a vivere e quello di accettare invece che lei voglia solo morire: perché amare è anche capire i desideri dell’altro.
I miei piccoli dispiaceri, titolo, acronimo e frase che ricorre spesso nel romanzo, è ispirato dal verso di Samuel Taylor Coleridge, poeta amato tantissimo da una delle protagoniste, in “To a friend. With an unfinished poem”:
“I, too, a sister had, an only sister –
She loved me dearly, and I doted on her;
To her I pour’d forth all my puny sorrows”
Questo libro mi è stato regalato da un’amica per consolarmi un po’ del fatto che non fossi potuta andare al Salone del Libro di Torino lo scorso anno. Occasione a cui tenevo parecchio, non solo per l’evento in se’ ma perché mi avrebbe permesso di conoscerla di persona. Con Sabrina abbiamo rimediato alla grande e questo romanzo si è rivelato una lettura fenomenale, che mi ha permesso, oltretutto, di scoprire l’autrice canadese Miriam Toews, di cui avevo spesso sentito parlare ma che non avevo mai approcciato prima.
I miei piccoli dispiaceri di Miriam Toews – Marcos y Marcos (2015) – pag. 363