Perdere la propria identità

Nel centro della Louisiana esiste un paese chiamato Mallard, un luogo dove vivono neri dalla pelle chiara, un posto terzo per chi ha la pelle chiara ma il sangue nero. Un luogo dove gli abitanti sono considerati neri dai bianchi, ma dove i neri non sono ben accetti.

Mallard, così chiamato per via delle anatre dal collare che vivevano nelle risaie e nelle paludi dei dintorni. Un paese che, come qualunque altro, era più un’idea che un luogo. L’idea venne ad Alphonse Decuir nel 1848, mentre se ne stava in mezzo ai campi di canna da zucchero ereditati dal padre, che un tempo era stato il suo padrone. Morto il padre, il figlio ormai libero volle costruire su quegli ettari di terreno qualcosa che durasse per secoli a venire. Un posto per quelli come lui, che non sarebbero mai stati accettati come bianchi ma rifiutavano di farsi trattare come neri. Un posto terzo.

In questo luogo apparentemente idilliaco sono nate le gemelle Vignes, identiche di aspetto ma diversissime di carattere, Desiree è piena di vita, intraprendente e decisa, mentre Stella è più riflessiva, ama studiare e vorrebbe non essere costretta ad interrompere gli studi per iniziare a lavorare. La loro infanzia è stata segnata dalla morte del padre, che pur avendo la pelle chiara viene violentemente ucciso da una banda di bianchi che irrompe in casa sua. Un episodio che segna profondamente la vita delle due bambine, seppur in modo diverso: per Desiree l’attrazione verso chi ha una pelle molto più scura della sua, per Stella la voglia di fare incursioni – lunghe o brevi – nel mondo dei bianchi.

«Perdere una gemella. Dev’essere come perdere metà di sé stessi.»

Un giorno scompaiono e nessuno sa più niente di loro fino a quando Desiree decide di tornare a casa…

Inizia così un libro che nella scorrevolezza della narrazione nasconde un gioco di piani temporali e soprattutto un’analisi sull’identità.

E’ un romanzo sul razzismo? Sicuramente sì, perché è affrontato il problema della linea del colore da più punti di vista e a seconda della gradazione di pelle. Una persona dalla pelle chiara con una goccia di sangue nero era definita per la legge, in vigore fino alla fine degli anni sessanta, nera e come tale non poteva definirsi né comportarsi in altro modo, se non frequentando ambienti neri. E chi faceva il passing (l’atto di farsi passare per bianco pur essendo nero per la legge) doveva cancellare tutto il suo passato, dimenticarsi origini, famiglia, cancellare i ricordi e vivere con il costante terrore che qualcuno se ne accorgesse, con conseguenze terribili. E chi era nera come la notte, in determinati ambienti, veniva vista con sospetto se non addirittura con odio.

Però tra queste pagine c’è tanto altro, ecco perché mi sento di definirlo soprattutto un romanzo sull’identità. Su quella necessità che ciascun essere umano ha di capire chi è, che ruolo ha, quale posto gli spetta. Tutti i protagonisti a partire dalle due sorelle sono alle prese con cosa sono o cosa vorrebbero essere.

Non è che uno trova se stesso pronto ad aspettarlo da qualche parte: bisogna costruirselo. La persona che si vuole essere bisogna crearsela.

Desiree appare la sorella più determinata, che cerca una vita diversa da quella che può garantirgli la piccola contea in cui vivono, ma che dovrà tornare con la coda tra le gambe per sfuggire alla violenza del marito, mettendo da parte sogni e desideri per vivere la vita da cui era fuggita anni prima.

Sua figlia Jude, più nera della notte, che subisce la decisione della madre e il ritorno a Maillard dove è costantemente additata e messa ai margini a causa del colore della sua pelle e che, appena possibile, se ne andrà in California a studiare.

La chiamavano Pupazzo di Pece.

Mezzanotte. Buco nero. Pecora nera. Le dicevano: Sorridi, che senza il bianco dei denti non ti vediamo. Le dicevano: Sei così nera che ti confondi con la lavagna. Le dicevano: Scommetto che ad un funerale potresti presentarti nuda. Scommetto che di giorno ti seguono le lucciole. Scommetto che quando vai a fare il bagno al mare sembri una chiazza di petrolio. Inventavano battute di ogni tipo e una volta, a quarant’anni e passa, durante una cena a San Francisco, Jude ne avrebbe snocciolate un’intera litania. Scommetto che gli scarafaggi ti chiamano cuginetta. Scommetto che non riesci a distinguerti dalla tua ombra. Era sorpresa da quanto se le ricordava bene, dalla cura con cui stava conservando un’enciclopedia della propria umiliazione.

Alla cena si era sforzata di riderci su – tremenda la crudeltà dei bambini, eh? – anche se all’epoca non ci aveva trovato nulla di spiritoso. Le battute erano vere. Lei era nera. Nera come il petrolio. Anzi, così nera, da sembrare viola. Nera come la notte, l’asfalto, lo spazio interstellare, nera come l’inizio e la fine del mondo.

Stella, la metà scomparsa, la gemella di cui la sua stessa sorella ha perso le tracce, svanita senza lasciare alcun indizio. Il personaggio più enigmatico, ha fatto il passing si è creata una nuova identità nel mondo dei bianchi, eppure la sua vita sembra sempre a metà, costantemente in bilico tra il suo aspetto e la sua interiorità.

Sua figlia Kennedy, inquieta, una sorta di mina vagante sempre e costantemente alla ricerca di se stessa; in perenne movimento o forse in continua fuga da se stessa, anche a causa della trasparenza di sua madre, della sua mancanza di notizie sulle sue origini, su tutto il non detto che aleggia nella sua famiglia.

Ma anche Reese, il fidanzato di Jude, che ha lasciato la sua casa e la sua famiglia perché non accettavano il suo sentirsi uomo in un corpo di donna.

E Barry che alcune sere a settimana si esibisce come Drag Queen.

«A volte essere una persona e non un’altra dipendeva dalle piccole cose.»

Nel romanzo di Britt Bennett si intersecano tante storie e tanti personaggi, e soprattutto tante questioni che restano irrisolte. Quanto ha inciso il linciaggio del padre e l’avervi assistito da uno spiraglio della porta, su Stella? Quanto coraggio ha dovuto avere Desiree per tornare a fare la cameriera per anni e anni nella sua vecchia città? Quanta determinazione ha avuto Reese ad affrontare tutti i passaggi, psicologici, ormonali e chirurgici per diventare uomo? Quanta ostinazione muove Jude nel cercare l’altra metà della madre, quella zia che aleggia come spettro sulla famiglia? Quanto dolore c’è in Kennedy nella sua sfida sfacciata e ribelle verso la madre?

Un romanzo estremamente scorrevole, che però nell’affrontare e mettere in discussione tanti argomenti, anche estremamente spinosi, manca di approfondimento, di profondità. Tante domande e tante questioni che avrebbero dovuto essere scavate di più, restano in superficie, come appese. E alla fine il romanzo non soddisfa, perché il materiale era tanto, forse troppo, ma l’autrice ha scelto la via più semplice, di una storia che rimane sul pelo dell’acqua senza tuffarsi mai nei misteri che nasconde.

La metà scomparsa di Britt Bennett – Bompiani (2021) – Pag. 393

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