Ci sono libri che per motivi diversi raccontano pezzi della nostra vita. Uno di questi è proprio La storia di Elsa Morante.
All’esame di maturità, nel lontano 1988, per il tema di letteratura, uscì la seguente traccia: “La «condizione femminile» nella narrativa italiana degli ultimi cento anni” e trovandomi in difficoltà con le altre tracce, decisi di lasciarmi prendere dall’ispirazione e cercare di delineare il cambiamento della figura femminile e soprattutto della sua condizione tramite alcuni romanzi che avevo letto e studiato quell’anno. Ricordo ancora che partii dalle donne descritte ne Il Piacere di Gabriele D’Annunzio, frivole, mondane, senza un’occupazione che non fosse quella di essere belle e dare piacere all’uomo. Proseguii, credo con Svevo, ma avevo bisogno di una figura diversa, che lavorasse e fosse totalmente diversa da quelle descritte precedentemente. Peccato che di figure femminili di questo genere su cui concentrare la mia dissertazione all’epoca ne conoscessi ben poche. Avevo però visto alla televisione uno sceneggiato diretto da Luigi Comencini ed interpretato da una dolente ed intensa Claudia Cardinale che mi aveva colpito: La Storia. Pregando tutti i santi che lo sceneggiato non si fosse preso troppe libertà e avesse mantenuto intatto lo spirito del romanzo di Elsa Morante, mi buttai, facendo però un voto: se il tema fosse andato bene avrei letto il romanzo. L’elaborato ebbe un buon voto e io tenni fede al mio voto.
Ho riletto La storia ben 25 anni dopo e, mi rendo conto che, di quel romanzo mi erano rimaste impresse solo alcune immagini: il ghetto vuoto, la figura di Ida e quella di Useppe.
Ma l’idea che ho ricavato oggi è molto diversa da quella di trent’anni fa e oggi sarei davvero curiosa di rileggere quel famoso tema. Di Ida, soprattutto, avevo colto un lato eroico di sopravvivenza contro tutto e tutti, e non avevo percepito quella rassegnazione passiva, quel nascondersi, quell’allontanarsi da tutti. La figura dolente e fondamentalmente perdente di Ida era sfuggita all’entusiasmo di me diciottenne. Perché Ida è una figura eroica suo malgrado. Una perdente, una che la vita ha calpestato. Incapace di affrontate il carattere di Nino, ma soprattutto incapace di affrontare la malattia di Useppe: la malattia, per lei, è uno stigma sociale da nascondere, da coprire, di cui vergognarsi.
Il romanzo di Elsa Morante mette al centro della scena una piccola famiglia composta da una madre e due figli, alle prese con la guerra prima e con le macerie che questa si lascia dietro poi.
Ida, una modesta maestra, così rassegnata, così anonima, persa nei suoi incubi, nel terrore che il suo quarto di sangue ebraico possa condurla direttamente nella fauci della belva nazista e poi affannata nella costante ricerca di sopravvivere e dare un futuro ai suoi figli. Una donna precocemente segnata dalla vita. Una vita dura e dolorosa che le ha riservato infiniti lutti e pochissima gioia.
Nino, il figlio più grande, così spensierato ed egoista, preso dagli amici, dai soldi, dapprima fascista per quell’idea vincente che gli ispira, poi partigiano più per voglia di avventura che per ideali, perennemente affamato di vita, di esperienze.
E Useppe, così piccolo e così aperto alla vita. Nato dalla violenza ma simbolo di tutto ciò che di puro e bello la vita può offrire. Un uccellino implume che guarda al mondo con gli occhi spalancati. Quegli occhi che paiono aver rubato il colore alle profondità del mare e del cielo. Quello sguardo di stupore entusiasta sul mondo che non perde mai, curioso e giocoso verso tutto e tutti.
Accanto a loro i due cani Blitz e soprattutto Bella: simbolo di quell’amore incondizionato e totale che solo gli animali sanno dare. Bella che si fa custode, protettrice e vice mamma di Useppe.
E poi tantissimi altri personaggi minori, i Mille dello stanzone di Pietralata, Giuseppe Secondo, l’oste, la famiglia Marrocco e soprattutto Davide Segre, che nella sua continua ricerca di un senso, di un’ideale per cui vivere, deve combattere con i suoi incubi, con i sensi di colpa che lo tormentano e non gli danno pace.
Ricco di digressioni, racconta la vita stroncata di tanti uomini e donne: ebrei, partigiani ma anche soldati partiti in Russia, con divise e scarpe inadatte, senza l’equipaggiamento necessario a sopravvivere e morti di freddo e di fame o tornati senza arti e senza futuro.
La Storia non narra solo le vicende di Ida, Nino e Useppe o di tutti gli altri protagonisti più o meno importanti di cui è disseminato il romanzo. Non è neanche un bellissimo romanzo sull’occupazione tedesca di Roma, sullo strazio di “Roma città aperta”, sui bombardamenti, la devastazione, gli sfollati, la fame, i rastrellamenti, il ghetto svuotato, il racconto di una delle pagine più drammatiche e dolorose della nostra storia recente. La Storia interseca la visione d’insieme degli avvenimenti mondiali con il piccolo microcosmo che viene stravolto e sconvolto da questi avvenimenti. Elsa Morante, nel corso della narrazione, allarga e rimpicciolisce il punto di vista, per far comprendere al lettore gli ingranaggi della Storia: nuove forme di governo, nuove idee, regimi che si sfaldano e altri che ne prendono il posto, ma il potere, che pare essere ciò che muove e presiede il mondo, schiaccia tutte le possibilità del genere umano, incurante dell’umanità chiede il suo contribuito di sangue, impone l’alienazione e la schiavitù come controllo e sottomissione. Perché la Storia, matrigna ed indifferente, si ripete, sempre e comunque.
Ma alla fine questo romanzo è ancora molto di più.
La Storia è soprattutto una domanda, quella che ad un certo punto, quasi alla fine, fa Useppe a sua madre: «A mà… pecché?»
Perché i bambini devono soffrire
Perché esiste la malattia, la morte
Perché le persone che amiamo si allontanano, se ne vanno
Perché deve esserci la guerra
Perché la violenza è sempre la forza dominante dell’umanità
Perché esistono le persecuzioni, gli odi…
E potrei continuare all’infinito
E in questa domanda senza risposta ci sta tutto il senso del romanzo. Quel perché senza risposta che ci muove le labbra ogni volta che assistiamo ad ingiustizie, violenze, morti inique e senza senso.
La Storia è il ritratto di un’umanità dolente già sconfitta in partenza. Quell’umanità che si affanna a vivere, a dare ai propri figli un avvenire, ma che si scontra con forze incommensurabili, che la manovrano, spesso in modo addirittura inconsapevole. Un’umanità che altro non è che marionette mosse da fili nascosti. Un romanzo di un’amarezza e pessimismo unico. Non c’è speranza tra queste pagine, non c’è redenzione. I più piccoli, i più puri, i più innocenti, i più fragili sono destinati a soccombere, sono le vittime inconsapevoli ed inevitabili della Storia.
Un romanzo che mi ha straziato e a cui continuo a pensare anche a distanza di mesi, assolutamente da leggere pur consapevole che vi ritroverete con il cuore a pezzi.
La storia di Elsa Morante – Einaudi (1995) – pag. 668