Quando si legge un libro molto bello, che ci ha accompagnato per settimane, i cui personaggi sono diventati amici con cui riprendere il dialogo ogni volta che si riaprono le pagine, diventa difficile dirgli addio e ancor più difficile parlarne come merita. Se questo poi è un tomone di 1130 pagine, riuscire a raccontare tutto quello che c’è all’interno diventa un’impresa assolutamente impossibile e rendere la commozione, il dolore, lo stupore per le tante pagine meravigliose che contiene è addirittura un’utopia.
Come dicevo, un romanzo impossibile da raccontare per la quantità di storie, intrecciate a filo doppio alla Storia quella con la S maiuscola, quella che si legge nei libri di scuola, ma che è comunque stata vissuta e subita dai singoli individui. Sotto i nostri occhi scorrono un secolo di storia dell’Unione Sovietica, dalla caduta dello zar alla “Perestrojka” di Gorbačëv, passando attraverso la rivoluzione d’ottobre, la prima guerra mondiale, lo scontro tra bianchi e rossi, la seconda guerra mondiale e l’assedio di Stalingrado, Stalin e le sue terribili purghe, Khruscev, il tentativo di destalinizzare il paese, Breznev, la stagnazione economica, la corruzione, la povertà, passando dalla Primavera di Praga alla caduta del Muro di Berlino, fino all’apertura verso l’occidente, il disastro di Černobyl’, ma anche i nazionalismi, le lotte civili, e su tutto il sogno di un paese libero e democratico.
Le storie che mi piaceva tanto strappare a Stasia non erano favole che portavano in un altro tempo; quelle storie erano la vera sostanza della mia vita… Volevo ricomporre quello che era andato in pezzi, volevo rimettere insieme i ricordi degli altri, che rivelano ciò che li unisce solo quando da molti diversi elementi nasce un unico quadro entro la cui cornice tutti noi, consciamente o inconsciamente, seguiamo una misteriosa coreografia e danziamo.
Niza, la voce narrante di questa lunga epopea familiare che attraversa cento anni, ha sentito raccontare la storia della sua complessa e affascinante famiglia direttamente dalla voce di Stasia, la sua bisnonna, e ha deciso di raccogliere quella preziosa eredità per farne dono alla nipote Brilka.
Stasia cominciava a raccontare storie del passato. Solitamente così parca di parole, si trasformava in Shéhérazade, mi introduceva in un mondo segreto dai colori incredibili e lì, con il suo stile fiorito fatto di picchi e svolte carichi di tensione, di ruoli e voci diversi, riportava il passato al presente. Davanti ai miei occhi ricostruiva la casa della sua infanzia, descriveva suo padre e il profumo di cioccolato, onnipresente, che avvolgeva ogni cosa e attirava i visitatori. Raccontava degli indomabili Kabardin e della steppa… Potevo quasi toccare gli abiti di Christine, l’uniforme di Simon, vedere i gioielli scintillanti della sua matrigna… Raccontava delle cupole dorate della cattedrale di San Pietroburgo. Raccontava del Palazzo d’Estate e della cantina di Thekla. Recitava le poesie di Sopio, che ricordava a memoria, tutte, e descriveva i riccioli biondo paglia di suo figlio. Per me le sue parole erano formule magiche: mi immergevano in un mondo che non conoscevo, in un tempo, tanto, tanto lontano di cui solo lei possedeva la chiave.
Per Niza bambina le storie della bisnonna un po’ bislacca erano come favole che la trasportavano in un’altra epoca e le facevano conoscere tanti personaggi straordinari. Soltanto da adulta, dopo essersi allontanata dalla famiglia, e aver cercato di rimuovere, quasi chirurgicamente tutte le sensazioni e le emozioni che quelle storie le procuravano, le rivede sotto la lente più distaccata della storica, capisce come ogni storia rappresenti il filo di un disegno più grande che solo il tempo e la distanza permettono di cogliere interamente.
Con i ricordi di Stasia passai tutta la mia infanzia, nella Casa Verde, il tempo prima di cominciare di fare domande, prima di accumulare rabbia e lutto, prima di scomporre il mosaico che mi avevano presentato come la storia della nostra famiglia, prima di spiare dietro le tende che mi tiravano davanti al naso. La mia vita, dunque, comincia esattamente nell’anno 1900, quando Stasia venne al mondo in uno degli inverni più freddi.
L’ottava vita è una spirale di storie e destini che si intrecciano e si dipano, come un tappeto che solo grazie all’ordito e alla trama, alla tessitura dei fili, nodi e colori alla fine rivela il suo disegno.
«Un tappeto è una storia. In quella storia si nascondono innumerevoli altre storie. Vieni qui… Stai molto attenta, dammi la mano, sì, così… Adesso guarda, lo vedi il motivo?»
Io fissai i disegni variopinti sulla superficie rossa.«Tutti questi sono singoli fili. E anche ogni singolo filo è a sua volta una storia, capisci?»
Io annuì solennemente, anche se non ero sicura di aver capito.
«Tu sei un filo, io sono un filo, insieme formiamo un piccolo ornamento, e insieme a molti altri fili formiamo un motivo. I fili sono tutti diversi, diversamente grossi o sottili, tinti con diversi colori. Se li prendi singolarmente i motivi sono difficili da distinguere, ma se li osservi legati l’uno all’altro rivelano storie fantastiche.»
E così sotto i nostri occhi sfilano il Fabbricante di Cioccolata, il patriarca, che aveva imparato a Vienna la ricetta di una cioccolata speciale, una sorta di ambrosia divina, che però nella sua incommensurabile squisitezza celava anche una sorta di maledizione.
Si trattava di una ricetta per una semplice cioccolata calda al modo viennese. Basata non sul cacao ma sul cioccolato. Si faceva il cioccolato, poi lo si fondeva e lo si mescolava ad altri ingredienti.
Ma in questa miscela e preparazione c’era qualcosa che rendeva la cioccolata speciale, unica, irresistibile, sconvolgente. Già il suo profumo era così allettante e intenso che non si poteva fare altro che precipitarsi alla fonte. La cioccolata era densa e compatta, scura come la notte prima di un grande temporale, e andava consumata a piccole dosi, calda ma non troppo, in tazze piccole e in condizioni ottimali, utilizzando cucchiai d’argento. Il sapore era unico, il piacere simile a un’estasi spirituale, a un’esperienza ultraterrena. Ci si fondeva con la dolce massa, si diventava tutt’uno con questa squisita scoperta e, dimentichi del mondo, si provava un senso di felicità straordinario. Finché si assaporava questa cioccolata tutto era come doveva essere.
E Stasia, la figlia a cui il padre trasmette la ricetta di famiglia, che voleva diventare una ballerina e inseguiva anche a distanza di anni quel sogno impossibile di volteggiare sulle punte; suo marito il tenente bianco-rosso; la bellissima sorella Christine con il volto a metà; i suoi figli l’inappuntabile Kostja e la tormentata Kitty; la nipote Elene, travolta dalla guerra sotterranea dei genitori; le di lei figlie Darja, con i suoi occhi di due colori e Niza… E ancora il mite Giorgi che sembra essere lo spettatore dei destini della famiglia Jashi… Ma anche personaggi minori, che hanno un ruolo e uno spessore in questa incredibile epopea: Thekla che non sa accettare la fine di un’epoca; Sopio dalla lingua tagliente che scrive poesie; Mariam coraggiosa e vendicativa; Andro che scolpisce angeli e il suo ostinato figlio Miqa; Miro e la sua poca audacia; Ida piena di vita e di coraggio; Fred inaffidabile e tormentata artista…
Le storie si sovrappongono, s’intrecciano, si fondono – e io cerco di districarle, perché le cose bisogna raccontarle una dopo l’altra, non è possibile esprimere a parole la simultaneità del mondo. Quando avevo la tua età, Brilka, mi chiedevo spesso cosa sarebbe successo se la memoria collettiva avesse trattenuto cose differenti. Se avessimo dimenticato tutte queste guerre e questi innumerevoli re, sovrani, comandanti e mercenari e nei libri avessimo letto solo di uomini che hanno costruito una casa, curato un giardino, scoperto una giraffa, descritto una nuvola, cantato la nuca di una donna. Mi chiedevo se quelli di cui era sopravvissuto il nome dovessero essere considerati migliori, i più intelligenti, i più interessanti, solo perché avevano resistito al tempo. Che ne è di quelli dimenticati?
Noi decidiamo cosa vogliamo o non vogliamo ricordare. Il tempo non ha niente a che fare con questo. Al tempo questo non interessa… Io combatto contro la mia memoria personale, totalmente soggettiva.
Nino Haratischwili scrive un romanzo potente, con personaggi tridimensionali, talmente reali e vividi che te li vedi sfilare davanti, con i loro sogni, le loro miserie, la loro voglia di riscatto, i dolori e i fallimenti che ogni vita si porta dietro.
Più di mille pagine che trascinano nella storia, che ammaliano, al punto da far fatica ad uscirne. Si vorrebbe che la storia della famiglia Jashi non finisse mai, durasse ancora e ancora… perché le pagine e le storie di questo libro sono come la cioccolata di Stasia: pura magia.
Unica avvertenza, questo è un romanzo talmente totalizzante, coinvolgente, assorbente che tutto il resto sembra noia
L’ottava vita (per Brilka) di Nino Haratischwili – Marsilio (2020) – pag. 1129