Dopo aver letto La vera storia di Capitan Uncino di P.D. Baccalario, il richiamo di Peter Pan si è presentato fortissimo. In più avevo in casa la versione super illustrata e decisamente strepitosa di @minalima, quindi come resistere alla storia del bambino che non vuole crescere? Al suo chicchiricchì che usa come richiamo di guerra e di esultanza per dimostrare il giubilo al termine di una delle sue tante avventure?
Credo che non ci sia nessuno che non conosca, almeno a grandi linee, la storia. Un bambino dimenticato dalla madre che approda sull’Isola che non c’è e lì rimane intenzionato a non subire mai l’onta del tempo, a rimanere per sempre un bambino scapestrato e senza regole, che non frequenterà mai la scuola, non troverà mai un lavoro e non perderà mai i suoi denti di latte. Un ragazzino che non crescendo manterrà intatto tutto quel bagaglio di stupore, innocenza e furore tipico dell’infanzia.
La storia di Peter si fonda con quella dei fratelli Darling, tre bambini di Londra, di cui Peter ascolta dalla finestra le storie e che decideranno, per una serie di particolari coincidenze, di volare con Lui verso l’Isola che non c’è. Capitanati da Wendy, la sorella maggiore, Micheal e John andranno alla scoperta dell’isola e dei suoi abitanti. E i bambini sperduti, compagni di scorrerie di Peter per un periodo, potranno godere della presenza di una “mamma”. Colei che racconta le fiabe, rimbocca le coperte, dà la medicina la sera prima di andare a letto. Colei che, allo stesso tempo, ancora i bambini ad una realtà che hanno dimenticato, perché sapere che cos’è una mamma, cos’è una famiglia argina quello spirito anarchico e libertario che spazza via qualunque ricordo e richiamo alla vita passata.
Peter Pan è uno di quei personaggi talmente ben caratterizzati da far parte ormai dell’immaginario collettivo. Un bambino traumatizzato che vede nel mondo degli adulti il peggio del peggio, che non ha nessuna intenzione di crescere, di abbandonare quel mondo fatto di giochi, di scherzi, di immaginazione, in cui la vita e la morte non hanno alcun senso perché quello che conta è quello che accade nel mezzo. Peter è l’incarnazione del momento presente, dell’attimo fuggente, non per niente dimentica tutto quello che gli accade, nulla rimane nella sua memoria nemmeno gli affetti.
Peter non è un personaggio simpatico, è dispettoso, caustico, vendicativo, egoista, anche se aleggia in lui la sofferenza dell’abbandono e dell’essere stato dimenticato che lo hanno reso quello che è.
E tutte queste caratteristiche lo hanno fatto diventare un simbolo psicologico, di quelle persone, specialmente uomini, che non vogliono crescere, che scelgono di non assumersi responsabilità, di rimanere in una sorta di limbo fatto di divertimenti e di esperienze che li fanno sentire vivi.
Detto questo, però, chi non ha mai sognato di visitare quell’isola raggiungibile procedendo verso la seconda stella a destra e poi dritti fino al mattino e vedere con i propri occhi la laguna delle sirene, l’accampamento dei pellirossa e soprattutto il vascello di Capitan Uncino, di conoscere Campanellino, la piccola impertinente fatina e vivere almeno per una notte un’esperienza indimenticabile?
Nel leggere questo libro, il cui titolo originale è Peter e Wendy o Peter Pan, il ragazzo che non voleva crescere, uscita in forma di piece teatrale nel 1904 e poi di romanzo nel 1911, una delle maggiori sorprese è stata la fedeltà quasi assoluta con cui la Disney ha ricavato il suo capolavoro d’animazione nel 1953. La prima parte del cartone è totalmente fedele al romanzo, compresa la sorprendente bambinaia canina di nome Nana.
Peter Pan di J. M. Barrie – L’Ippocampo (2020) – Illustrazioni di Minalima – pag. 251