Judith Kerr sceglie di raccontare la storia degli ebrei, partendo dall’inizio, cioè dal 1933, l’anno in cui Hitler vinse le elezioni e per il popolo d’Israele iniziò l’inferno. A poco a poco, furono depauperati dei propri beni, senza poter esercitare il mestiere che avevano scelto o per cui avevano studiato, depredati dei propri beni, costretti ad abbandonare le proprie case, rinchiusi nei ghetti, in un crescendo sempre più drammatico, fino alla deportazione nei campi, la selezione e per molti, troppi, la morte nelle camere a gas.
I protagonisti di questa storia, una famiglia composta da padre, madre e due figli, riescono invece a scappare dalla Germania, prima ancora che Hitler vinca le elezioni. Il padre famoso giornalista e contrario alle idee naziste e quindi già inviso al regime, sa che se Hitler diventasse cancelliere per lui e per la sua famiglia non ci sarebbe più futuro né possibilità. Decide quindi di partire per Zurigo prima che possano ritirargli il passaporto. La sua scelta si rivelerà terribilmente giusta e la sua profezia tragicamente azzeccata.
Non è facile però adattarsi ad una vita tanto diversa dalla precedente. Abbandonare le tante certezze di una vita agiata e ripartire da zero, senza lavoro e in un paese straniero.
Il romanzo mette al centro della narrazione la figura di Anna, una bambina di 9 anni, che è costretta a lasciare le amiche, i giochi, tra cui il Coniglio Rosa che dà il titolo al libro.
«Anna cercò di figurarselo. Il piano non c’era più…le tende a fiori della stanza da pranzo… il suo letto… tutti i suoi giocattoli, anche il Coniglio Rosa di pezza. Per un attimo si sentì molto triste per via del Coniglio Rosa. Gli erano stati ricamati degli occhi neri, perché quelli di vetro li avevi persi anni addietro e aveva l’abitudine di crollare sulle zampe: e questo lo rendeva ancora più caro. Il pelo, anche se anche se non era più rosa, era soffice, familiare. Come aveva potuto scegliere di portare via il cane di pezza, nuovo, senza personalità? Era stato uno sbaglio terribile e adesso non poteva fare più niente.»
Anna e il fratello Max si adattano alla nuova vita, a vivere in un hotel, a dover apprendere tanti modi diversi di giocare, addirittura a parlare una lingua che seppur simile è diversa. Quando però per potersi mantenere devono ripartire e rifugiarsi in Francia a Parigi, anche l’ottimismo e l’energia di Anna vacillano. La casa è piccola, l’ascensore cigola, la mamma, che mai in vita sua ha cucinato o pulito, deve iniziare a farlo e anche fare la spesa, cercando di prendere i prodotti migliori al prezzo più basso, diviene una sfida. Max viene iscritto a scuola, seppur non conosca che pochi vocaboli in francese. La bimba, invece, deve aspettare, in casa, da sola, perché non hanno ancora trovato una scuola adatta a Lei e quando la troveranno dovrà affrontare lo scoglio di imparare una nuova lingua da zero, circondata da chi lo parla da sempre.
Una storia lieve, quotidiana, che però illustra meglio di tanti saggi e tante parolone che cosa vuol dire essere profugo. Ritrovarsi da un giorno all’altro senza casa, senza lavoro, veder crescere i figli e non potergli comprare un cappotto nuovo o delle scarpe che non abbiamo la suola lisa e con il dito che punta in cima. Accettare l’aiuto degli altri, come una sorta di beneficenza, consapevoli che prima quei gesti erano quelli che si rivolgevano agli altri.
Anna, omonima della più celebre ragazzina olandese, ci regala il suo sguardo disincantato, la sua innocenza, la sua voglia di vedere il bello comunque. Per lei il fatto che la famiglia sia ancora unita, che possano stare insieme, è la cosa più importante, quella che le fa accettare, nonostante le innegabili e spesso difficili condizioni, di cambiare vita più volte, di non sapere più che cosa sia una casa, né quale sia la propria lingua.
Indimenticabile il personaggio di zio Julius, convinto che il nazismo non lo toccherà, perché infondo era solo la sua bisnonna ad esser ebrea, pagherà l’ostinazione a non voler lasciare Berlino, il suo amato zoo, gli animali a cui ha dedicato attenzione, cura e studio.
Quando Hitler rubò il Coniglio Rosa di Judith Kerr- Bur ragazzi (2016) – pag. 277