Variazioni sul mito: Edipo e la Pizia

Nel santuario di Delfi, degradato e sporco, una pallida ombra di quello che doveva essere nell’antica Grecia il famoso luogo sacro, la Pizia, anziana, svogliata e assolutamente certa che gli dei non esistano, vaticina con fantasia, capriccio ed arroganza. Vicina alla morte, anzi desiderosa di compiere il passaggio al mondo dei più, davanti a Lei si alzano le ombre di Meneceo, di Laio, di Edipo, di Giocasta, dell’indovino Tiresia – cieco per finta, che ha sempre commissionato gli oracoli con fredda premeditazione e razionalità – e della Sfinge, bellissima ragazza accompagnata da leonesse, ed ognuno racconta la propria verità. Una verità sconvolgente, che mette alla luce efferate violenze, brame di potere, intrighi, incesti, superstizioni e tramesti, omicidi e suicidi. Infondo la verità “resiste in quanto tale soltanto se non la si tormenta”. Tutti mentono, nascondono, celano. Ognuno è imbrogliato, raggirato, tradito. Ciascuno cerca una via d’uscita, risposte o una possibilità di fuga dalla crudeltà del destino cieco e casuale che domina la vita degli esseri umani.

L’unico che tutto accetta, tutto crede è Creonte, fedele ed onesto, e, alla fine, il più pericoloso, perché nella sua totale abnegazione si annida lo spirito del tiranno.

“… ma tu non scordare che non c’è dittatura senza fedeltà, la fedeltà è la solida roccia sul quale si erige lo stato totalitario, che senza di essa affonderebbe nella sabbia; per la democrazia è invece necessaria una certa mancanza di fedeltà, una attitudine più svolazzante, più irresoluta, più fantasiosa”.

Avevo letto questo brevissimo libriccino, meno di settanta pagine, qualche anno fa ed ero rimasta colpita dal cinismo e dall’ironia con cui l’autore svizzero aveva rielaborato la tragedia di Sofocle, facendo emergere le passioni che muovono l’animo umano: amore, vendetta, potere e constatando, con amarezza, l’attitudine dell’uomo all’infelicità.

“Pannychis” disse il veggente in tono paterno “solo la non conoscenza del futuro ci rende sopportabile il presente. Mi sono sempre stupito e continuo a stupirmi immensamente che gli uomini siano tanto smaniosi di conoscere il futuro. Sembra quasi che preferiscano l’infelicità alla felicità.”

L’ho riletto in questi giorni, subito dopo aver finito la meravigliosa ed incommensurabile tragedia di Sofocle, Edipo Re. E sono rimasta colpita dall’arguzia e capacità di rielaborazione di Durrenmatt: la materia mitica esplode tra queste pagine.

Durrenmatt riscrive la tragedia ingarbugliando ancora di più le già intricate vicende, immaginando quel complotto che lo stesso Edipo ad un certo punto della tragedia originale vede come una delle possibilità di ciò che sta accadendo.

Qui ognuno dei protagonisti è perfettamente consapevole di ciò che fa, di ciò che cela e di ciò che rivela, eppure, nonostante tutto il Fato, Destino, Caso, che tanta parte aveva avuto nella tragedia sofoclea, tende anche qui i suoi tranelli e determina l’agire umano.

“Dimentica le vecchie storie Pannychis, non hanno alcuna importanza, in questa grande babilonia siamo noi i veri protagonisti. Noi due ci siamo trovati di fronte alla stessa mostruosa realtà, la quale è impenetrabile non meno dell’essere umano che ne è l’artefice. Forse gli dei, ammesso che esistano, potrebbero godere dall’alto di una certa visione d’insieme, sia pure superficiale, di questo nodo immane di accadimenti inverosimili che danno luogo, nelle loro intricatissime connessioni, alle coincidenze più scellerate, mentre noi mortali che ci troviamo nel mezzo di un simile tremendo scompiglio brancoliamo disperatamente nel buio. Con i nostri oracoli sia tu sia io abbiamo sperato di portare la timida parvenza di un ordine, il tenue presagio di una qualche legittimità nel truce, lussurioso e spesso sanguinoso flusso di eventi dai quali siamo stato travolti proprio perché ci sforzavamo di arginarli, sia pure soltanto un poco.

Tu Pannychis vaticinasti con fantasia, capriccio, arroganza, addirittura con insolenza irriguardosa, insomma: con arguzia blasfema. Io, invece commissionai i miei oracoli con fredda premeditazione, con logica ineccepibile insomma: con razionalità”.

E nel raccontare la storia di Tebe e riscrivere la tragedia di Edipo, l’autore, oltre a ragionare sul libero arbitrio e su quanto la Casualità determini l’agire umano, pone un’interessante riflessione sul potere, sulle tirannidi e dittature e sul perché gli uomini si lascino opprimere, senza ribellarsi. Assolutamente consigliato.

Mirabile

La morte della Pizia di Friedrich Durrenmatt – Piccola Biblioteca Adelphi (1988) – pag. 68

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