E’ molto difficile scrivere su un libro che non ci è piaciuto. Ancora di più quando questo libro è stato apprezzato praticamente da tutti, o quasi. Ho sentito lettori definirlo “la migliore storia d’amore mai letta”, un romanzo “appassionante e poetico”, nel leggerlo “mi sono commossa più volte” e così via. Definizioni che personalmente non utilizzerei mai per descrivere questo romanzo. Perché lo dico subito a me questo libro non ha convinto per nulla. Ho trovato irritante la prima parte e fondamentalmente inutile la seconda.
Probabilmente sono talmente imbevuta di miti classici, che ho letto e riletto, e ho avuto insegnanti che hanno battuto e ribattuto sulla necessità di non leggere il mondo greco con gli occhi del mondo moderno da non riuscire a esimermi dal confrontare il romanzo con la versione classica, straconosciuta e amata.
Madeline Miller prende un mito noto, almeno a grandi linee, e lo stravolge completamente.
Racconta la storia di Achille dal punto di vista di Patroclo, narra l’infanzia di questo ragazzino esiliato per aver ucciso un altro ragazzo a Ftia, la grande amicizia che si trasforma in amore, l’opposizione di Teti a questo sentimento, il periodo trascorso presso il centauro Chirone e l’educazione ricevuta, fino all’arrivo a Troia e la morte di entrambi.
Tante, tantissime sono le differenze rispetto al mito, ma se l’autrice si fosse limitata a questo, avrei anche potuto chiudere un occhio. E’ abbastanza evidente che in un retelling, o meglio in una riscrittura del mito, possano esserci delle licenze, delle forzature, delle divergenze. Ne ho letti parecchi di libri che stravolgono la storia classica e se si va a spulciare tra i testi antichi, anche di versioni del mito se ne trovano parecchie, spesso divergenti. Queste riscritture però tendono a far trasparire, a far emergere la personalità del personaggio così come i millenni ce l’hanno trasmessa, spesso la migliorano, la fanno rifulgere.
Per questo non posso perdonare all’autrice di aver stravolto la personalità di Patroclo e Achille.
Patroclo, il compagno d’armi del Pelide, altrettanto valoroso e coraggioso, un personaggio equilibrato e pacato, una sorta di contrappasso all’ardore di Achille, l’inseparabile amico-fratello, il punto di riferimento, la sua equilibrata sponda, diventa qui un pavido ragazzino che ha paura persino della sua ombra. Un pusillanime che non perde occasione per nascondersi, fuggire, ma che in modo del tutto incongruo, quando indossa le armi di Achille e scende nella piana di Troia, riesce ad uccidere tantissimi uomini tra cui addirittura Sarpedonte, figlio di Zeus, guerriero valoroso.
E Achille? Colui che sceglie un destino glorioso, che preferisce morire giovane pur di essere ricordato per l’eternità, diventa un giovane incerto che non sa se combattere oppure no, che quando qualcosa non va corre a chiamare sua madre, piagnucolando senza sosta. L’eroe che rappresenta l’eccellenza greca invincibile, implacabile, ma anche vulnerabile, generoso, una figura sfuggente e complessa, ridotto ad una definizione (“aristos achaion”) e a un continuo piagnucolio.
E il sentimento che li lega, di cui parla lo stesso Omero, che era già stato discusso e dibattuto nell’antichità, diventa una storia da nascondere, un sentimento di cui vergognarsi, la relazione clandestina e proibita di due adolescenti. Storia d’amore super decantata che, però, non mi ha emozionato, commosso né ha suscitato in me alcuna sensazione.
Miller poteva mantenere intatta la natura dei due eroi omerici, raccontando del loro sentimento, del legame speciale e unico che legava Achille e Patroclo. Poteva regalarci davvero una lettura originale e sensibile del mito. Poteva scrivere una storia di amore più plausibile senza servirsi dello scudo dei due personaggi epici e soprattutto evitare di piegare in più e più occasioni la storia mitica al suo interesse. Il tutto dicendo lei stessa, a fine libro, che l’Iliade e l’Odissea sono state le sue principale fonti di ispirazione.
Poteva, ma non l’ha fatto, ha scelto, invece, la via più semplice: raccontare la storia di due giovani dall’amore contrastato e scrivere una sorta di romance in peplum, senza pathos né poesia.
Mi perdonino i tanti estimatori, ma a me proprio questo libro non è andato giù…
La canzone di Achille di Madeline Miller – Universale Economica Feltrinelli (2012) – pag. 382