Un cold case per Rocco Schiavone

Una personalità complicata, fuori dalle righe. Pur essendo vicequestore, Lui la malavita e quel sottobosco fatto di persone che vivono ai margini della legalità, e che spesso infrangono la legge, li conosce e bene. Ci è cresciuto insieme e pur avendo scelto di servire lo Stato, un certo atteggiamento, una certa forma mentis gli è rimasta. Eppure, nonostante non rispetti le regole, non vada per il sottile, spesso abbia comportamenti ed atteggiamenti che si discostano dalla legge, persegue la giustizia. Ci crede. Crede che ogni vittima abbia il diritto sacrosanto di essere risarcita, mettendo fuori gioco chi si è appropriato della sua vita.

A maggior ragione, come in questo caso, se si tratta di un bambino.

Un caso difficile, quello che affronta Rocco Schiavone, giunto alla sua undicesima indagine ad Aosta, città dove è stato trasferito per motivi disciplinari, che ha odiato con tutto se stesso, rimpiangendo il tepore di Roma, continuando ad indossare il loden e le Clarks nonostante il clima non sia adatto, mantenendo i legami con i suoi amici d’infanzia, la sua unica e vera famiglia. Anche se in questa indagine Roma appare sempre più lontana, gli amici ancora scossi da quello che è successo nel libro precedente, meno presenti.

Un cold case, come dicono gli anglosassoni, perché le ossa ritrovate in un bosco alla periferia di Aosta sono di un bambino scomparso 6 anni prima, le piste ormai sono fredde e le possibilità di scoprire chi sia la piccola vittima e soprattutto chi lo abbia ucciso sono davvero poche. Eppure Schiavone e la sua squadra si buttano animano e corpo nelle indagini, ripercorrono le poche tracce lasciate, si tuffano nel deep web, quell’oceano di immondezza in cui malavita e gente malata pesca a piene mani. E l’indagine con la sua urgenza, dato dal tema trattato, prende il centro della scena.

Spesso nei libri precedenti i casi su cui Schiavone indaga non sono centrali, sono il corallaio per raccontare la vita, il passato, gli intrighi in cui Schiavone è avvolto e negli ultimi libri anche per spostare il riflettore sui sui agenti, sui loro casini esistenziali.

Qui la squadra, dopo tanti tentennamenti e il sarcasmo con cui spesso lo stesso vicequestore li ha trattati, ha trovato un suo assetto. I poliziotti che ne fanno parte, nonostante non siano perfetti, hanno finalmente trovato un equilibrio soprattutto personale.

«Abbiamo il viceispettore di nuova nomina Antonio Scipioni che hai già conosciuto, uomo valente e di poche parole, uso ad avere rapporti con tre fidanzate contemporaneamente; accanto a lui il solerte agente Ugo Casella, direttamente dalle Puglie, uomo pieno di risorse, sempre all’erta, onnipresente anche quando non serve a un cazzo; il gruppo si completa con Michele Deruta dall’isola della civiltà nuragica, che fa il doppio turno al panificio del compagno, e D’Intino da Mozzagrogna. La loro proverbiale intelligenza è valsa alla coppia il soprannome di Stanlio e Ollio oppure, per i più attempati dei fratelli De Rege».

Ad affiancare i poliziotti ci sono i tecnici super motivati e desiderosi di risolvere il caso anche grazie alle loro competenze: Michela Gambino, a capo della scientifica, aiutata da una serie di esperti di botanica, archeologia, antropologia forense, oltre che dal dottor Fumagalli, il medico legale. Tutti capitanati dal magistrato Baldi, che ha ormai capito di che pasta è fatto il vicequestore.

In questa indagine Rocco pare aver messo da parte i rovelli della sua anima e tutti possono concentrarsi su un’indagine che fa male. Perché l’assassinio di un bambino e la consapevolezza che, questo ha subito violenza, non possono non essere il punto focale e centrale che anima la ricerca.

La serie che Antonio Manzini dedica a Rocco Schiavone ha due pregi enormi: l’evoluzione del personaggio principale, che libro dopo libro perde la sua ferocia di uomo ferito dalla vita, e, in una sorta di contrapposizione l’importanza che via via prende la sua squadra, e la scrittura di Manzini stesso. Uno dei migliori autori italiani, che attraverso le indagini di questo viceispettore fuori dagli schemi, racconta anche pagine della nostra storia.

Libro dopo libro l’umanità di quest’uomo amareggiato, disilluso, ferito dalla vita, tradito anche dagli affetti più veri, a lutto per la morte della moglie, di cui ovviamente si sente responsabile, insozzato, come dice lui di tutte le lordure che gli rimangono attaccate addosso al termine di ogni indagine, in cui ha dovuto immergersi nelle bassezze di cui sono capaci gli esseri umani, è sempre più forte. Rocco è meno brusco, meno intollerante, ancora solo, ancora incapace a staccarsi dal fantasma della moglie e ricominciare a vivere, ancora disilluso dai tradimenti ricevuti da chi amava di più, ma anche meno cupo, nella sua corazza si intravede qualche piccola crepa.

«Rocco si accese una sigaretta quella valanga di dolore non la conteneva più. Al contrario di medici e altri colleghi che riuscivano a ignorare gli orrori, le malattie, il sangue e le lacrime, Rocco sapeva che nel cuore come giga per arginare quella marea aveva poco più di un foglio di carta velina, sempre più fragile, che si sarebbe potuto spezzare al prossimo carico di disperazione. E’ l’età, pensò. Invece di indurirmi mi piega in due. Da giovane riusciva a staccare la spina, ne aveva sentiti di parenti e amici disperati piangere i propri morti, ma una volta a casa tornava ad essere Rocco Schiavone e la voglia di vivere aveva la meglio. Come quando siamo in apnea in fondo al mare, accorgendoci di essere scesi un po’ troppo in profondità, ci affrettiamo a tornare in superficie, i polmoni esplodono nella cassa toracica e il cuore batte nel petto. Poi riusciamo a prendere aria e quello è il momento più bello di una vita, una seconda nascita. Rocco quella boccata d’ossigeno non riusciva a prenderla più. Restava in apnea, con le vene dei polsi che scoppiavano e la testa che batteva a tamburo.»

Come ogni serie di lungo corso ci si domanda sempre se sarà l’ultimo romanzo dedicato a Schiavone, se l’autore e il suo personaggio hanno ormai detto tutto quello che c’era da dire, se è il caso di salutarsi per sempre. Nonostante alcuni non siano stati all’altezza dei precedenti, gli ultimi due hanno confermato la pienezza del personaggio e personalmente non sono ancora pronta a dirgli addio.

Le ossa parlano di Antonio Manzini – Sellerio editore (2022) – pag. 397

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