L’inizio dell’ultimo libro di Matteo Bussola lì per lì mi ha spiazzato, che cosa voleva raccontare, qual era il fil rouge che teneva unito tutto? Quelle vite comuni, quei momenti di normale routine erano in qualche modo collegate in un disegno più grande oppure no?
Tante istantanee di momento ordinari, che transitano dalla stessa sala di aspetto della stazione di una piccola città di provincia, in attesa di prendere un treno o di vedervi scendere qualcuno che aspettano. E l’autore che compare e scompare da ogni storia, come una specie di gnometto dal cappello giallo e lo zainetto di Pukka delle sue figlie. E i personaggi di una che diventano comparse dell’altra, con un cambio di punto di vista che modifica anche il senso del racconto.
Eppure storia dopo storia, personaggio dopo personaggio, mi sono persa nei frammenti di vita, nelle riflessioni, nei dubbi, nei dolori, nelle gioie che veicolano.
Sarà che io amo osservare e più di una volta, sul treno, sulla metropolitana o in una sala d’attesa, ho immaginato cosa nascondesse una conversazione animata, una telefonata interrotta, degli occhi lucidi, un sorriso radioso. Perché ogni vita nasconde una storia, o meglio ancora tante storie, infinite possibilità. Ed è proprio questa la ricchezza dell’esistenza, quella che spesso perdiamo di vista e non riusciamo a cogliere. Quella che dà senso a tutto.
Tra le tante storie, a parte rincontrare Milo e Nadia, già protagonisti di L’invenzione di noi due, e seguire il viaggio di quello strano ed ingombrante coniglio nella storia di Giulio e Claudia, la storia che mi ha commosso di più è stata quella di Giulietta ed Antonio. Due anziani coniugi che stanno per intraprendere un ultimo viaggio insieme.
Che fra un incontro e un addio non c’è nessuna differenza – dice. – Si tratta sempre di lasciare andare una parte di te, di vivere con quel che resta…Il fatto è che se durante un amore cambi piano lasci indietro le parti inutili, un addio invece ti costringe ad una rinuncia rapida…
Sarà che ho genitori e zii anziani e l’idea di come sia difficile pensare che, dopo una vita trascorsa insieme, litigando, lottando con i difetti dell’altro, amandosi ed odiandosi, affrontando i problemi più stupidi e quelli più gravi, alla fine l’ultimo viaggio si debba fare da soli, mi frulla nella testa da un po’. Perché ad una certa età rimanere soli è più devastante e difficile che da giovani. E questo mi ha riportato alla memoria un mito, che narra Ovidio nelle Metamorfosi. Un mito che mi ha raccontato decine di volte mio nonno, quando ero una ragazzina.
«Nella Frigia viveva un’anziana coppia di coniugi, Filemone e Bauci, che insieme sopportavano la povertà, “resa più dolce e più leggera dal loro tenero legame”. Una sera arrivarono alla loro porta due stranieri, chiedendo ospitalità. Nessuno, fino a quel momento, aveva voluto dare accoglienza ai due forestieri. La coppia di vecchietti, invece, pur avendo poco o nulla, accolse i viaggiatori, lavò loro i piedi e gli diede da mangiare, dividendo con loro quel poco che avevano. Erano disposti a sacrificare anche l’oca che viveva con loro e che era diventata parte della piccola famiglia, quando i due si palesarono: erano Zeus e Ermes, che avevano voluto mettere alla prova la generosità dell’animo umano.
I due dei, commossi dalla bontà dei due sposi, raccontarono che dappertutto erano stati accolti male da persone senza cuore e aggiunsero che se ne sarebbero presto vendicati, mentre loro sarebbero stati ricompensati. Fattili salire su una collina, Zeus scatenò la propria ira contro i Frigi, e i due vecchietti videro tutta la regione sommersa dall’acqua e distrutta eccetto la loro povera capanna che venne trasformata in un tempio dalle colonne di marmo con il tetto d’oro.
Zeus chiese allora ai due vecchietti quale fosse il loro più grande desiderio: essi risposero che avrebbero voluto vivere nel tempio del dio per custodire il suo santuario, e arrivato il momento di morire poterlo fare insieme. La loro richiesta fu accolta e al momento della morte furono trasformati in due alberi allacciati insieme: Filemone fu trasformato in quercia e Bauci in tiglio, due alberi dai rami intrecciati che spuntavano da un unico tronco».
Purtroppo il grande desiderio di mio nonno di poter morire nello stesso momento della sua amatissima Ines, come Filemone e Bauci, non è stato esaudito, ma mi ha regalato una delle storie d’amore più belle dell’antichità. E la consapevolezza che spesso la vita non ci dà quello che vorremmo, ma possiamo vivere sapendo che i ricordi più belli e tutto l’arricchimento che gli incontri ci portano continuerà a vivere con noi, per sempre.
Ogni incontro, soprattutto se è d’amore, è destinato a cambiarci per sempre, non crede? Non si cancella con niente. Le persone che amiamo entrano in noi proprio come una sfumatura di una miscela. Diventano parte di ciò che siamo. Gli anni insieme, il loro ricordo, ci arricchiranno per tutta la vita. Voglio dire che, anche dopo, io non credo che lei tornerà quello di prima, penso che non ripiomberà in nessun schifo. Sua moglie sarà dentro di lei, nelle cose fatte in due, in quel che rimane. Ogni giorno.
Il tempo di tornare a casa di Matteo Bussola – Einaudi editore (2021) – pag. 174