Nella Francia post-rivoluzionaria, il numero dei fruitori dei prodotti di moda aumentò in modo considerevole, poiché accanto ai nobili, ormai in decadenza e alla potente alta borghesia, si aggiunsero altre classi sociali che si stavano affermando politicamente: la media e piccola borghesia. Con l’aumento della richiesta aumentò quindi la quantità dei prodotti a basso costo, realizzati con qualità più bassa ma più facilmente acquistabili. Questo fu favorito anche dalla “prima industrializzazione”, che grazie all’impiego dei telai meccanici e dei sistemi di produzione in serie rese possibile realizzare capi d’abbigliamento di facile e rapido consumo che soppiantarono i manufatti costosi degli anni passati.
Le stoffe operate, considerate simbolo dell’Ancien Régime, caddero in disuso, come le decorazioni e i pizzi pregiati per fare spazio ai tessuti più sobri, pratici e resistenti.
Con la fine della Rivoluzione Francese e l’avvento di Napoleone lo stile dell’abito femminile rimane pressappoco simile a quello dei dieci anni precedenti. In linea generale, quello che passerà alla Storia come lo “stile Impero”, prevedeva abiti bianchi o chiari, quindi assenza totale di colore, per conferire alla figura un aspetto il più possibile simile a quello delle antiche statue della Grecia Classica, cui si ispiravano anche le linee e i tagli: vestiti dalla linea fluida e scivolata lunghi fino alle caviglie segnati da una cintura che non si trovava più all’altezza della vita, bensì sotto il seno. L’insieme risultava semplice ed armonioso, decisamente femminile. Le stoffe per la realizzazione degli abiti erano impalpabili e leggere, con evidenti trasparenze; la mussola indiana era uno dei tessuti più gettonati e quasi sempre veniva impreziosito da eleganti ricami. Se le signore avevano freddo, era loro concesso di coprire spalle e décolleté con uno scialle di cachemire indiano, un must tanto ambito quanto costoso
In questo periodo si sviluppa un fenomeno culturale chiamato dandismo, che ebbe origine in Inghilterra già intorno al 1770 con Lord Byron e poi si diffuse in tutta Europa. Il dandy porta avanti uno stile personale, difficilmente imitabile e attraverso le sue scelte anticonformiste esprime la sua visione di sé, con un’ostentazione di eleganza dei modi e nel vestire, caratterizzato da forme di individualismo esasperato, di ironico distacco dalla realtà e di rifiuto nei confronti della mediocrità borghese.
Il più famoso fra i Dandy fu, però, George Brummel. L’edonismo esasperato del suo modo di vestire è diventato proverbiale e il suo motto: ”Per essere eleganti non bisogna farsi notare”, diventò legge per tutti gli uomini alla moda d’Europa.
Alcuni aneddoti sulla vita di Brummel ricordano il perfezionismo che impiegava nel vestirsi. In un’epoca in cui erano ancora di moda tessuti colorati impose il blu per il frac e il beige per i pantaloni. Pettinatura, guanti e cravatta dovevano corrispondere a canoni precisi: il dandy aveva tre parrucchieri, uno per la nuca, uno per le basette e l’altro per il resto dei capelli; i guanti erano fabbricati da due guantai, uno per il pollice, l’altro per le restanti dita. La cravatta doveva essere inamidata e annodata in modo inappuntabile: se un nodo non riusciva la buttava via e ne indossava un’altra; inoltre se la faceva stirare direttamente addosso con un minuscolo ferro che eliminava qualsiasi piega.
Fra il 1795 e il 1820 l’abito sartoriale perfettamente su misura e strettamente modellato alla figura divenne il look maschile per eccellenza, e Beau Brummel e la sua cerchia di amici furono, in Inghilterra, i massimi rappresentati del nuovo stile. Brummel non fece altro che riprendere i lunghi cappotti, i panciotti e i pantaloni indossati dai gentiluomini inglesi di campagna e dare al tutto un look più raffinato e cittadino. Brummel, che fu una vera e propria icona di stile per la sua epoca, sosteneva che un uomo di gusto doveva vestire sottotono e lasciare i colori sgargianti e la maggior parte degli accessori alle signore. E questo diktat della moda maschile è arrivato più o meno inalterato fino ai giorni nostri.
E’ alla fine del XVIII° secolo che i sarti inglesi diventano leader nel campo della moda maschile grazie alla loro esperienza nella scelta delle stoffe da usare per rendere un capo normalmente usato per la vita in campagna accettabile nei salotti alla moda e alla loro raffinata tecnica produttiva. C’era una vera e propria gerarchia fra i sarti. In cima stavano quelli abili nel disegno e nel taglio su misura, seguiti da quelli che finivano i capi con lavoro di dettaglio, come le asole. Ultimi sulla scala gerarchica i cosiddetti ‘table monkeys” (scimmie da tavolo) a cui era affidato il lavoro di cucitura e stiro dei capi. Tutti gli abiti al tempo venivano cuciti a mano perché la l’invenzione della macchina da cucire risale al 1830 e la sua produzione in serie fu solo a partire dal 1850.
Brummell lavorò attivamente insieme ai suoi sarti per riuscire a raggiungere un look che unisse all’alta qualità dei tessuti anche un taglio perfetto. Anche grazie a lui la sartoria inglese fu ricercata in tutta Europa al punto che i più abbienti andavano in Inghilterra a comperarsi abiti ed accessori.
Con la caduta di Napoleone e la restaurazione del c.d. Ancient Regime, cambia anche lo stile, gli abiti tendono nuovamente ad allargarsi.
La restaurazione che seguì al Congresso di Vienna segna il ritorno al conservatorismo anche nel gusto e nella moda che però risente ampiamente delle idee e del movimento romantico, con l’esaltazione della differenza tra i sessi, rappresentati da abiti militari per gli uomini e vesti femminili che evidenziano una presunta fragilità della donna mediante l’esaltazione della vita stretta e i fianchi larghi.
Negli anni ’30 gli abiti si allargano in orizzontale, la vita è alta e stretta dal busto (più leggero rispetto al passato), le gonne sono larghe e si accorciano fino alla caviglia e le maniche si gonfiano dalla spalla al gomito a tal punto da richiedere imbottiture da indossare sulle spalle per sostenerne il volume.
I cappelli sono voluminosi e decorati da fiori e nastri in contrasto con i piccoli ombrelli parasole, quasi minuscoli, con manico pieghevole e portati al polso come una borsetta. Le borsette invece sono poco utilizzate.
Per tutto il secolo le gonne si accorciano, ritornano lunghe e soprattutto larghe tanto che per sostenere l’enorme volume degli abiti nasce una sottogonna rigida in crine intessuto con fili di lana o seta, la cosiddetta crinolina, sostituita poi da gabbie di fili metallici molto più leggere e pratiche.
Nell’800, avere l’incarnato molto pallido era un segno distintivo di eleganza e nobiltà. Per questo, con la primavera e con i primi tiepidi raggi solari, le dame non uscivano mai senza un ombrellino, per proteggere dal sole la loro pelle diafana come la porcellana. Vi erano moltissimi modelli di ombrellini, che si adattavano al gusto di ogni dama e alle tendenze più aggiornate della moda. L’ombrello divenne poco alla volta un elemento dell’abbigliamento da coordinare con gli abiti. Gli uni e gli altri erano cosi riccamente addobbati, spesso con nastri, pizzi o piume, da risultare dei veri e propri gioielli. Gli ombrellini dovevano essere sempre leggeri, in modo che le dame riuscissero a portarli senza fatica. Per questo motivo il loro manico era generalmente sottile e il tessuto era fine.
Intorno al 1840 gli abiti femminili subiscono delle nuove variazioni: le maniche diventano lunghe e aderenti perdendo totalmente il volume precedente, anche il corpino assume una linea più aderente e allungata terminando a punta, e lo scollo è ora rotondo e accollato spesso accompagnato da un colletto bianco. Le acconciature sono basse con i capelli raccolti sulla nuca, i cappelli a capote delimitano il viso sovrapponendosi alle cuffie di pizzo che non vengono quasi mai tolte.
I guanti, o i mezzi guanti, sono molto diffusi ed indossati in ogni occasione, persino in casa. I gioielli sono pochi e semplici, con orecchini piccoli, raramente pendenti, e quasi mai collane.
In pochi anni la moda femminile cambia ancora una volta, si ritorna infatti ad indossare nuovamente gonne sempre più lunghe e soprattutto sempre più larghe tanto che per sostenere l’enorme volume degli abiti nasce una sottogonna rigida in crine intessuto con fili di lana o seta, la cosiddetta crinolina. Per consentire una maggiore agilità di movimento le rigide sottogonne vengono in seguito sostituite da gabbie di fili metallici molto più leggere e pratiche. Queste gabbie sono a loro volta coperte da una o più sottogonne di tessuto utili ad ammorbidirne le forme e dare una migliore linea all’abito. Per lasciar spazio al volume delle gonne, la vita degli abiti si sposta leggermente in alto, il corpetto e’ comunque ancora aderente e le maniche sono a pagoda, ampie dal gomito in giù e indossate su sottomaniche.
L’abito da passeggio
L’abbigliamento per la passeggiata, le signore portavano abiti ampi e abbondanti, così da valorizzare la sottile circonferenza della vita, che veniva ridotta indossando un bustino legato stretto. I corpini, che avevano le maniche aderenti , sul davanti terminavano a punta. Le donne portavano sempre le gonne, anche quando andavano a cavallo. Perciò montavano all’amazzone, cioè con le gambe dallo stesso lato. I vestiti destinati all’equitazione erano in genere molto semplici: un abito di panno con una giacca che scendeva sotto la vita e con le maniche strette. La gonna, lunga, nascondeva le scarpe. Contrariamente agli abiti da cerimonia, quelli per l’equitazione ovviamente non avevano strascico. Perché la potesse montare a cavallo in questa tenuta, bisognava che facesse uso di una sella speciale, all’amazzone. I cappelli che venivano utilizzati erano: il cilindro, più piccolo di quello portato dagli uomini. Spesso era abbellito da una veletta, che lo ingentiliva. Il cappello di feltro dalla testa rialzata, chiamato cappello marchese, in ricordo delle acconciature in uso nel XVIII secolo.
Gli abiti da ballo
I balli erano momenti salienti della vita mondana e l’occasione, per le dame di corte, di indossare gli abiti più belli ed eleganti.
Gli abiti da ballo si portavano su un’ampia sottogonna formata da un’armatura metallica, detta Crinolina. Questa dava all’abito una forma rotonda e una grande ampiezza. Le dame indossavano vestiti costituiti da un corpino e da una gonna composta da più balze o da più gonne infilate l’una sopra l’altra. Il corpino era scollato lasciando scoperte le spalle delle dame. Quasi sempre erano abiti senza maniche. Per ottenere la vita era stretta, le donne si costringono in corsetti e busti sempre più stretti.
Gli abiti da ballo si confezionavano con tessuti differenti, come il velluto, piacevole al tatto. Ma si usavano soprattutto stoffe leggere come il taffetà e il damasco, entrambi ottenuti a partire dalla seta; il raso apprezzato per la sua brillantezza o il crespo, a cui piaceva l’aspetto goffrato. Gli abiti venivano guarniti da fiori, naturali o artificiali, ornati con pizzo, con nastri annodati o con pietre preziose.
La pettinatura era molto importante, infatti era strettamente collegato all’abito. Si portava trai capelli gli stessi fiori con cui era ornato l’abito. A volte, si portava anche il ventaglio. Si portavano i guanti ed esibivano, per le occasioni, gioielli come collane di diamanti, diademi.
Per le donne, i guanti lunghi erano molto stretti all’altezza del polso, così per poterli infilare senza romperli, erano munite di bottoni. Questo modello veniva usato ai ricevimenti ed era un accessorio indispensabile delle dame.
Le donne dedicavano una cura particolare alla loro pettinatura. Una dama non osava mai uscire senza cappello, ma la toglieva appena giungeva a casa di chi l’aveva invitata.
Le dame dell’alta società passavano molto tempo a farsi belle. Per questo era assai sconveniente recarsi a far loro visita di mattina. Assistite dalla cameriera personale o dal parrucchiere, rimanevano delle ore davanti ad un mobile con lo specchio, chiamato ” toletta”. Pettini e nastri erani di grande aiuto per mantenere a posto i capelli per tutto il giorno.
Specchio della personalità, la pettinatura doveva essere ingenua. Sia di stile orientale sia di stile infantile con boccoli, il gusto dell’epoca tendeva a mettere in risalto l’ovale viso femminile.
Molto in voga, lo chignon si portava soprattutto in basso, alla base del collo, poichè gli abiti spesso lasciavano libere le spalle e la nuca. Esse potevano anche essere ornati di fiori che abbellivano la pettinatura.
I gioielli e le corone
I gioielli simbolo di ricchezza, venivano esibiti orgogliosamente dalle signore in ogni occasione. Ai balli e alle feste, le sale rilucevano dei bagliori delle pietre preziose. Braccialetti, anelli e collane potevano essere più o meno assortiti. Le dame dell’alta società indossavano spesso gioielli d’oro, riccamente incastonati di pietre preziose. Le intramontabili perle, sempre seducenti erano montate in bracciali o collane. Gli chignons lasciavano scoperte i colli delle dame, ma anche le loro orecchie, che esse adornavano con prezioso orecchini. I gioielli non erano riservati solo alle donne. Gli uomini più eleganti amavano indossare ai polsi eleganti gemelli e ornare le cravatte con spille molto lavorate. Talvolta i gioielli avevano un significato religioso, come i rosari ornamentali o i ciondoli a forma di croce.Le corone e i diademi erano riservati alle famiglie dei re e degli imperatori. Questi gioielli sottolineavano l’autorità di chi li portava. I diademi indossati soprattutto dalle donne erano vere opere d’arte, infatti venivano create da un gioielliere che iniziava il lavoro dal supporto,spesso d’oro, e poi lo guarniva con pietre come diamanti, rubini, zaffiri, smeraldi, ecc.
Le corone erano di foggia diversa a seconda del rango di chi le portava. La corona di un principe non era chiusa sulla sommità del capo. Quella di un marchese era meno larga ma più alta di quella di un principe. Di foggia meno tradizionale, la corona di un imperatore era riconoscibile per la croce che la sormontava.
Intorno al 1867 la misura delle gonne inizia a diminuire e dalle gigantesche crinoline degli anni precedenti si passa a delle semi-crinoline, definite in questo modo perché costituite da una circonferenza minore (di massimo 4,5 metri rispetto ai 7 metri degli abiti precedenti) e da meno cerchi. Si tratta della “tournure” una struttura rigida gonfiata sulla parte posteriore per dare volume, indossata sotto alla gonna.
L’abito femminile tende a scendere dritto davanti, ad allargarsi di dietro e spesso ad avere una specie di coda arricchita da panneggi e arricciature. In molti casi, per arricchire ancor di più la gonna, si sovrappone un tablier arricciato (una specie di “grembiule”, un secondo strato della gonna) e delle decorazioni di bottoni, frange, o nastri.
Alla fine degli anni ’70 l’abito perde quasi completamente volume, le gonne scivolano aderenti al corpo con panneggi e le arricciature nella parte bassa e i busti diventano piu’ lunghi. La figura femminile e’ adesso più sottile e slanciata.
Ma nonostante l’apparente semplificarsi degli abiti in realtà la nuova linea è più scomoda della precedente e presenta dei problemi concreti alle donne perche’ le gonne strette e fascianti creano difficoltà nel camminare (piu’ delle ampie gabbie).
Dal 1883 gli abiti ricominciano ad acquistare volume ma solo sulle reni. Le gonne acquistano volume ed importanza (perché arricciate ed elaborate con applicazioni complicate) ma sono leggermente rialzate da terra tanto da lasciar intravedere i piedi. Questo permette una maggiore agilita’ nel camminare e riporta in vista le scarpe a cui e’ ora dedicata maggior cura.
In contrasto con le ampie e ricche gonne, i corpini, spesso di taglio maschile, hanno torace stretto e vita sottilissima. La donna è costretta ancora ad indossare il busto, ed in particolare quello di questo periodo storico è considerato il piu’ deformante e dannoso per la salute.
Le acconciature sono elaborate e complicate, come le gonne, e i cappelli minuscoli e decorati da fiori e nastri. Nasce e si diffonde l’uso del velo, sovrapposto al cappello e fermato con un nodo o uno spillone sul dietro, moda che rimarrà fino alla seconda guerra mondiale.
Questo è anche il periodo in cui si diffonde la “moda” degli abiti da lutto”. Tipico di questi abiti è il colore nero ed anche alcuni materiali come il crespo e il giaietto.
All’inizio degli anni ’90 si ha un ulteriore cambio di tendenza.
Le maniche si gonfiano assumendo la tipica forma a prosciutto voluminosa sulle spalle e stretta al polso, gli orli delle gonne si allargano arrivando nuovamente per terra e assumendo la tipica forma a campana, spariscono le tournure o comunque qualunque supporto sotto la gonna, il volume dei fianchi è lasciato alla sua forma naturale ed il collo è fasciato da un alto colletto.
Anche la biancheria intima si alleggerisce, rimanendo in linea con la nuova moda, e si incominciano ad utilizzare nuovi tessuti (la seta inizia a sostituire il lino) e nuove tinte che reggono meglio al contatto dell’acqua e quindi più adatte alla biancheria intima.
Per mantenere una linea aderente sui fianchi scompaiono anche le tasche consentendo un ritorno, nella moda, delle borsette (messe precedentemente da parte).
Verso il 1870 il volume dell’abito torna a diminuire, gonfiandosi però sul retro, tramite una struttura rigida indossata sotto alla gonna detta “tournure”.
A fine secolo l’abito perde quasi completamente volume, le gonne scivolano aderenti al corpo con panneggi. La figura femminile appare più sottile e slanciata, le linee diventano più fluide.
Nella seconda metà dell’ottocento, si afferma una nuova classe sociale, la borghesia, che cerca di fare propri gli strumenti che fino ad allora erano appartenuti esclusivamente alla nobiltà, tra cui anche l’eleganza. Per questo la moda ottocentesca è comunque espressione di quel ceto borghese che dopo la rivoluzione francese conquistò il potere politico ed economico in Europa.
Per avere tale caratteristica la borghesia deve rispettare regole ben precise ed in particolare, per l’abbigliamento femminile, diventa sinonimo di donna elegante riuscire a cambiarsi l’abito almeno quattro volte al giorno ed avere abiti specifici per ogni occasione. L’abito in questo periodo diventa in prevalenza un’esternazione della propria condizione sociale. Per questo è soprattutto l’abbigliamento maschile a registrare un significativo e radicale mutamento. Il look maschile diventa austero e rigoroso, con tagli semplificati, tessuti di panno robusto al posto della seta, e decorazioni ridotte al minimo.
Uno stile nato in Inghilterra, che sostituisce il frivolo abbigliamento barocco, contrapponendo l’ozio dell’aristocrazia, alla praticità del mondo borghese, influenzata dai modi informali, dalla passione per lo sport e la vita all’aria aperta del gentiluomo inglese.
Due sono gli abiti introdotti in questo periodo: il frac e la redingote
MODA MASCHILE
Gli elementi fondanti del guardaroba maschile furono per tutto il secolo: i pantaloni, il gilet e i soprabiti, senza contare gli accessori.
Al termine della Rivoluzione francese l’uomo aveva adottato pantaloni lunghi, derivati dal mondo del lavoro e della marina, e che all’inizio furono considerati indumenti sovversivi. Il gilet o panciotto aveva la funzione di modellare il torace maschile, dandogli la convessità delle antiche armature. A volte se ne potevano portare due sovrapposti, uno bianco, uno fantasia.
Tuttavia dalla linea attillata della prima metà del secolo si passò ben presto ad abiti più comodi e sciolti. Rivoluzionaria fu l’introduzione, verso la metà del secolo della giacca corta e larga che entrò stabilmente nel guardaroba maschile come abito diurno e come complemento di indumenti estivi.
Parecchie novità furono lanciate in questo periodo nel campo dei soprabiti: innanzitutto il paletot o cappotto, consacrato sotto il II Impero, di linea ampia e avvolgente e di derivazione marinaresca. Definito dai suoi osteggiatori “un barile di panno” piacque proprio per la sua comodità e disinvoltura. Tra gli anni ’30 e ‘50, grazie alla scoperta da parte di Goodyear della vulcanizzazione della gomma, cominciarono a diffondersi i primi soprabiti impermeabili, chiamati in Italia “Macintosh” dal nome del chimico inglese, Charles Macintosh, che li aveva inventati. L’impermeabile fece fatica ad affermarsi perché all’inizio emetteva cattivo odore. Col tempo e con la raffinazione delle tecniche, nacque il soprabito impermeabile in gabardine di linea ampia. La creazione e commercializzazione di questo capo, si deve in particolare a Thomas Burberry (1835 – 1926) che ne fece poi un classico dell’abbigliamento. Furono inventate anche le maniche a raglan, il cui nome deriva da un generale inglese, James Raglan, che durante la guerra di Crimea ideò per le sue truppe questo cappotto di taglio comodo che aveva le maniche tagliate insieme al resto dell’indumento. Infine il Macferlain, ossia il Pipistrello, un pastrano che al posto della maniche aveva due ali di panno.
Un uomo elegante non poteva uscire di casa senza accessori perfetti e ben coordinati, tra cui il cappello, i guanti, le scarpe e il bastone da passeggio e, soprattutto, la cravatta. Oggetto di appassionata attrazione, doveva corrispondere a una serie precisa di requisiti che potevano sintetizzarsi nel motto “ad ogni occasione la sua cravatta”; all’inizio del secolo era rigorosamente bianca e inamidata. Tali prescrizioni riguardavano anche i nodi, che dovevano essere sempre perfetti e appropriati alle circostanze. Nacquero divertenti trattati sull’arte di indossare la bianca striscia di stoffa: nel 1827 il conte della Galda, milanese, scrisse un libretto in cui venivano indicati ben 32 tipi di nodi diversi. La cosa ebbe la sua importanza finché il colletto era alto al punto da coprire le guance. Tuttavia col tempo i colletti diventarono sempre meno vistosi, e altrettanto lo furono i fiocchi delle cravatte, che cominciarono a rimpicciolirsi abbandonando il bianco e utilizzando il nero o, al massimo, le righe o i quadri. A
Il cilindro, il tipico copricapo ottocentesco, fu inventato all’inizio del secolo dal cappellaio inglese Harrington, che gli aveva dato una forma alta e svasata verso il basso. Ma già nel 1828 il copricapo diventò di eguale lunghezza in alto e in basso e, scherzosamente, fu detto “zero”. Solitamente in pelo raso, questo cappello non era facile da portarsi per il suo equilibrio instabile: bastava un colpo di vento per farlo volare. Fu quindi inventato un cilindro a molla, detto Gibus, che poteva essere comodamente piegato e portato sotto il braccio. Onnipresente anche nei primi decenni del Novecento, il cilindro conobbe rivali solo alla fine dell’Ottocento, quando fu inventata la bombetta, cappello duro e tondo così chiamato per la somiglianza con l’ordigno da guerra. E infine, per i più azzardati, la lobbia e la paglietta. La lobbia era un copricapo floscio con falde e una acciaccatura nel mezzo, mentre la paglietta, o cannottiera, era un cappello di paglia diffusosi con i primi sport all’aria aperta, che serviva appunto a coprire la testa di chi praticava la voga acquatica.