Oggi sappiamo che il calamaro gigante esiste davvero e non è solo frutto della sfrenata fantasia di naviganti e biologi, ma per secoli chi andava alla ricerca di questo enorme animale veniva preso per matto o per lo meno per visionario.
Partendo da questa riflessione e dall’osservazione di quanto sia sconosciuto e misterioso ciò che il mare nasconde e cela alla vista dell’uomo, Fabio Genovesi traccia una metafora sulla disponibilità a credere, lasciandosi travolgere dalle meraviglie del mondo. Quanti sono i tesori incommensurabili ed inconoscibili che si nascondono agli occhi dell’uomo perché incapace di vederli, basta pensare al cielo stellato, quell’immensa trapunta di stelle su sfondo blu che a causa delle troppe luci non vediamo mai.
Tra ricordi personali, riflessioni su “storie”, “bugie” e “ormai” racconta le esplorazioni della nave Alacton, di Mary Aming, di Don Negri, del vescovo Pontoppidan, di Montfort e di Tommy Piccot, visionari, esploratori, osservatori che hanno creduto nell’esistenza del kraken. E ci porta alla scoperta della storia dell’isola Ferdinandea, dell’ambra grigia e delle caverne di Lescaux.
«Già eccola la parola assassina: ormai. Lei non passa mai di moda, e ora come allora, serve a non partire, non fare, non provare mai a cambiare le cose intorno a noi. E’ una parola corta ma basta a riempire una vita di scontento, giorno dopo giorno fino all’ultimo, raccontandoci che per essere felici è troppo tardi, ormai».
Questo raccontare la vita di esploratori accanto a storie piccole di vita comune (solo all’apparenza banali) fa apparire Il calamaro gigante un po’ slegato, senza una colonna portante e centrale, e questo rappresenta l’unico limite di questo libro per altro estremamente gradevole, perché Fabio Genovesi le storie le sa raccontare e bene. E’ un grande affabulatore, un cantastorie nel senso più bello e profondo del termine, cosa che si scopre ancora di più ascoltandolo parlare. E questo libro ne è l’esempio più lampante, per apprezzarlo a pieno va preso proprio per quello che è: un insieme di storie collegate dal fil rouge del calamaro gigante, metafora di ciò che è impossibile, improbabile o forse soltanto mai visto da occhio umano. E pertanto accantonato dalla razionalità che contraddistingue l’umano sapere.
Soltanto raccontando storie e vedendone tutta la potenza e la magia nascosta in esse possiamo anche noi scoprire il nostro calamaro e aprirci alla malia dell’universo.
«Le storie si muovono insieme a noi, in cima al mondo, e in fondo al mare e dappertutto. Si scrivono minuscole, ma sono come le formiche: piccole ma insieme diventano meraviglie. Sono tanto strane, sono tanto belle, tutte uguali e ognuna irripetibile. Le storie siamo noi.»
Curiosità:
Il mito del Kraken, che viene generalmente rappresentato come una gigantesca piovra, con tentacoli abbastanza grandi da avvolgere un’intera nave, ha origini antiche anche se si è sviluppato soprattutto fra il Settecento e l’Ottocento dopo i resoconti di reali avvistamenti di calamari giganti.
In Scandinavia la parola Kraken significa “animale perverso o maligno”, termine che si riferiva alla creatura marina di dimensioni colossali che attaccava le imbarcazioni e ne divorava gli equipaggi.
Già Carlo Linneo, nella sua prima opera Systema Naturae (1735), inserisce il kraken fra i cefalopodi, con il nome scientifico Microcosmus marinus, anche se in seguito depennò la specie. E’ il danese Erik Pontoppidan, vescovo di BergeIl, nella Storia naturale della Norvegia (1752) a parlare diffusamente del kraken e ad associare la sua pericolosità soprattutto alle sue dimensioni, che creavano onde e gorghi nell’inabissarsi o nell’emergere.
E’ solo nel corso del XIX secolo, che molti esemplari di calamari giganti lunghi più dieci metri furono trovati in mare o spiaggiati. Nel 1861, la nave francese Alecton si confronta con un cefalopode lungo 6 metri al largo di Tenerife, nell’Atlantico e il suo equipaggio tenta di issarlo a bordo, senza successo.
Oggi pare ormai appurato che il calamaro gigante esiste ed è lungo fino a 13 metri.
Nella categoria dei cefalopodi è superato solo dal calamaro colossale ( Mesonychoteuthis hamiltoni ) la cui taglia massima è stata stimata, nel 2009, a 14 metri. Vive a profondità superiori ai 500 metri e ha come unico predatore naturale il capodoglio, cetaceo che può raggiungere le 50 tonnellate e misurare 20 metri, cosa che permette loro di cacciare facilmente anche i calamari giganti.
Il calamaro gigante di Fabio Genovesi – Feltrinelli editore (2021) – pag. 141