Resistenza e fragilità

Quest’estate ho letto il primo romanzo scritto da Nicoletta Verna, Il valore affettivo. Un romanzo moderno, pieno di nevrosi, di personaggi inquieti e incasinati, con una prosa asciutta e tagliente.

A ripensarci dopo aver letto I giorni di vetro non posso che fare i complimenti all’autrice, perché non solo ha cambiato genere, raccontando una vicenda di più ampio respiro con ambientazione storica, ma ha adattato anche la prosa al racconto, in una molteplicità di sfumature, capace di adeguarsi alle varie esigenze narrative come al contesto sociale in cui agiscono i personaggi: di usare il dialetto, il vernacolo romagnolo nelle parti dedicate a Redenta, e diventare asciutta e puramente descrittiva nel riportare le imprese di Vetro o raccontare la storia di Iris.

La natura può anche essere spietata, mi dico. La vita può essere ingiusta e violenta.

I giorni di Vetro ambientato durante il periodo fascista, va dal delitto Matteotti all’8 settembre, dalla lotta partigiana fino alla fine della guerra, ricomprendendo il fallito attacco ai gerarchi riuniti al Grand Hotel Terme di Castrocaro il 25 settembre del ’43 per sancire la nascita della Repubblica di Salò, l’eccidio di Tavolicci, un intero paese, compresi i bambini, massacrato per rappresaglia, fino al regime di terrore imposto dall’arrivo a Castrocaro del battaglione M IX Settembre, le unità di élite delle Camicie Nere.

In questo contesto storico, in cui, come dice nelle note, “non c’è niente di vero, eppure non c’è niente di falso”, Verna inserisce la storia di Redenta, la “purina” nata con addosso la scarogna, come vaticina Zambutèn, erudito di piante, radici ed intrugli, da cui la gente va per curare i casi impossibili. Venuta al mondo dopo tre fratelli morti appena nati, ma strana e diversa, resa zoppa dalla poliomielite, sempre sul limite, tra la vita e la morte, rassegnata ad un destino di miseria, ma anche capace di atti eccezionali. A lei contrappone un’altra storia quella di Iris, nata in un paesino di poche anime, separato dal mondo, arrivata a Forlì per scelta e per scelta decisa a combattere per gli ideali in cui crede.

Un romanzo che parla di gelosia, di vendetta, di pietà, coraggio, abnegazione, resistenza, e lega due donne, una rinunciataria, ignorante, ma determinata, l’altra più colta, ribelle, ma fragile ad un destino comune. Redenta, una popolana ignorante, un’emarginata che accetta passivamente il suo destino di inferiorità e Iris, più istruita, che sceglie di combattere nell’ombra e salire in montagna per seguire il suo uomo nella lotta armata, pur non amando la violenza, ed interrogandosi più volte sulla moralità delle azioni di guerriglia.

I giorni di Vetro è un romanzo in cui i personaggi femminili spiccano e risaltano nelle loro differenze: la missione generosa della Fafina; la determinazione di Adalgisa; l’ostinazione di Marianna; la vocazione di maestra della madre di Iris, seppur a tirare le fila ci siano uomini: dal padre di Redenta Primo, a Bruno, amico fraterno e molto di più, con il fuoco nelle vene, fino al violento gerarca che tiene sul cassettone la testa imbalsamata scura di pelle e con i capelli acconciati in una strana pettinatura arzigogolata.

Andai a stare dalla Fafina. La casa era uguale a quando ci abitavo con la Vittoria, però a vederla vuota, senza gli urli e il fracasso dei bastardi, senza le corse in cucina mie e di Bruno, non sembrava più la stessa. Sono le persone, non i mobili, ad arredare i posti, e una volta che le persone se ne vanno è come se ne restasse l’impronta, e viverci diventa insopportabile non per l’assenza, ma al contrario proprio per via della presenza. Bruno, lì, era ovunque: nel letto del camerino dove dormivamo abbracciati per il freddo, seduto al tavolo della cucina che cercava di insegnarmi a parlare. Era nei piatti che avevamo usato ogni giorno per mangiare, e lavato e asciugato e usato daccapo. Era nella certezza che per tanto tempo io avevo saputo tutto di lui e lui tutto di me. Malgrado ciò che era successo, le offese, i comportamenti impossibili da capire o da perdonare, Bruno era l’unico luogo dove i miei pensieri si posavano in pace.

E il vetro del titolo diventa simbolo di resistenza, nella capacità che ha questo materiale di essere fragile, ma di diventare tagliente e pericoloso, eppure anche trasparente e quindi simbolo di principi nuovi a cui il futuro democratico deve ispirarsi, ma anche nome proprio emblema e concentrato della violenza sadica e feroce, priva di umanità incarnato dal fascismo.

Nicoletta Verna racconta la Resistenza, tramite la quotidianità di chi l’ha vissuta, mescolando sopravvivenza a sacrificio, ideali a scelte spesso difficili, mettendo a nudo anche il travaglio interiore di chi crede nella lotta di liberazione ma vorrebbe evitarne il costo umano di violenza. Il tutto senza cadere mai nella retorica. E ricorda pagine volutamente cancellate, come le imprese del ventennio in Africa, la conquista dell’Etiopia e dell’Eritrea con il loro carico di stragi e le ignobili violenze su donne e bambine, di cui si è parlato e si parla troppo poco.

E nell’unire il racconto storico con la quotidianità di chi quella Storia l’ha vissuta e subita, mi ha ricordato le pagine di Agnese va a morire di Renata Viganò, seppur le vicende qui siano molto più crude e a tratti molto più intense. Il racconto della Resistenza fatta di abnegazione e coraggio, ma anche di violenza. Resistenza, scelta da chi decideva di salire in montagna per combattere i tedeschi e i repubblichini e riportare la democrazia, subita da chi pativa la fame, i bombardamenti, i lutti e doveva subire anche le rappresaglie senza pietà degli invasori.

Un romanzo forte, a tratti violento, ma sfaccettato ed incisivo, assolutamente da leggere.

I giorni di Vetro di Nicoletta Verna – Einaudi Stile Libero Big (2024) – pag. 434

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