Crescere senza rete

Quanto può essere difficile fare pace con il proprio passato e con la propria storia, nonché con le proprie origini quando queste hanno causato sofferenza e dolore? Sono questi i temi che affronta C’ero una volta di Buffy Cram.

Elizabeth, diciannove anni, dopo dieci anni trascorsi in un centro di detenzione giovanile, arriva in una casa famiglia dove, prima di iniziare una nuova tappa della sua esistenza, deve rimettere a fuoco la sua intera vita, aiutandosi attraverso la scrittura e mettendo nero su bianco tutti i suoi ricordi per fissarli su carta e in qualche modo esorcizzarli, e lo fa iniziando con “Once upon an effing time”, “C’era una volta, un tempo fottuto”, un modo per dare il sapore di favola, seppur anticonvenzionale, a quello che ha vissuto.

E così il romanzo si sposta ed oscilla su due piani temporali: la Vancouver del 1980 e gli Stati Uniti del 1969. Tra la Elizabeth, diciannovenne, ferita e combattuta, ma anche decisa a dare una svolta definitiva alla sua esistenza e la Elizabeth, bambina, dalla folta chioma ricciuta, con una cicatrice che le taglia a metà il petto, una benda sull’occhio e un amore assoluto e cieco nei confronti della madre Margaret. Una madre instabile, che passa dalla felicità alla totale apatia, coinvolgendo inevitabilmente in questo circuito folle e disagiato la figlioletta. Una madre che culla il sogno di diventare cantante e vuole arrivare dal Canada in California. E la figlia che, per assecondare questo sogno, arriva a rubare uno scuolabus per fuggire negli Stati Uniti in cerca di una nuova vita.

Margaret è una madre irrequieta, irrisolta, con tratti psicotici, incapace di prendersi cura della figlia, che sopravvive come può alle carenze affettive ed educative della sua infanzia.

La narrazione segue le peripezie di Elizabeth, le bizzarre disavventure di una vita fatta di espedienti, sempre sul filo del rasoio, dalla lettura del futuro nelle tavole calde facendo finta di avere poteri paranormali, al rifugio trovato in una comunità hippie e la vita senso senso che vi conducono, almeno per Elizabeth, che è lì solo per seguire il desiderio della madre.

“La verità non ha mai salvato nessuno. Le bugie, invece, sanno essere gentili.”

“C’ero una volta” è una fiaba straniante e allucinata, in cui la vita senza regole, on the road lascia il posto alle regole pressanti di una comune imprecisata, che alla vigilia dello sbarco della luna, vuole creare caos. Un luogo dove l’uso di sostanze psicotrope è la norma e la realtà percepita ha sempre un che di psichedelico e assurdo.

Un romanzo tra voglia di ribellione, strade assolate, vita senza regole, ma anche desiderio di famiglia e di regolarità, e soprattutto della presenza e dell’affetto di una madre assente.

Elizabeth a tratti appare quasi spettatrice della sua stessa vita, impossibilitata data l’età e la totale dipendenza emotiva dalla madre a staccarsi da lei e dal suo sogno.

… allora capisco che il passato non mi vuole ancora lasciare in pace. E’ un animale vorace che mi sta alle calcagna.

Solo quando comprende che deve mettere una sorta di limite tra sé e colei che l’ha generata per poter iniziare a crescere, capisce che sua madre non arriverà mai a salvarla, che non metterà mai lei al primo posto, e soprattutto che nessuno la risarcirà di un’infanzia negata e travolta dalla personalità borderline di Margaret.

Un romanzo a tratti buffo, ma nel complesso drammatico, che parla di dipendenze affettive, disturbi mentali, difficoltà ad accettare la verità, impossibilità a riscrivere la propria vita e cambiare il passato.

Buffy Cram affronta tante tematiche, alcune appena accennate come l’autolesionismo, le dipendenze, la manipolazione, fino a quello che potrebbe apparire il tema centrale, invece è solo sfiorato, delle sindromi psichiche condivise, come la “folie à deux” che condiziona in maniera fondante la vita e le esperienze di Elizabeth. Tra le pagine di “C’ero una volta” si affrontano il lutto, la malattia mentale, l’abbandono, la tossicodipendenza, ma anche l’illusione della libertà e la disgregazione dell’infanzia: il tutto senza indulgere a falsi moralismi con un pizzico di cinismo che la storia impone.

“Pensieri talmente insopportabili che mi tolsero il fiato, talmente insopportabili che dovetti afferrare qualcosa, qualsiasi cosa, per farli andare via. […] Era un dolore più semplice, netto, preciso e circoscritto, in un solo punto.”

Durante la lettura, “C’ero una volta” mi ha ricordato più volte “Sono contenta che mia madre è morta” di Jennette McCurdy: entrambi i testi, seppur in modo diverso, affrontano tutte le difficoltà del vivere con una madre egoista, malata di disturbi mentali, ambivalente e ingombrante, che traccia la vita della figlia e la determina al punto di diventare opprimente anche nell’assenza.

“Non credo che il dolore scompaia. Impari solo a farci spazio, a tenerlo senza che ti divori.”

C’ero una volta di Buffy Cram [Once upon an effing time 2023] – NNE (2025) – traduzione di Laura Gazzarrini – pag. 378

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