Daniele Mencarelli ha ampiamente dimostrato nei suoi precedenti romanzi di essere un autore eccellente, capace di raccontare il dolore più profondo senza mai cadere nella retorica, di dar voce alle emozioni più autentiche e vere, toccando le corde nascoste di ogni cuore, con una scrittura pulita, scarna, dritta al centro. Lo ha fatto parlando di salute mentale, di cura, di tutta la fatica e il dolore dei caregiver. Nell’ultimo libro pubblicato, Brucia l’origine cambia apparentemente tono, in un romanzo che lo stesso autore ha definito il suo più politico.
Protagonista di Brucia l’origine è Gabriele Bilancini, un romano che ha realizzato il suo sogno, trovando un inaspettato successo a Milano come designer. Una sua creazione, la poltrona Bilancia, la somma di equilibrio ed eleganza, modernità e classicismo, lo ha catapultato nell’empireo, retto dall’archi-star Franco Zardi, che lo ha preso sotto la sua ala. Il lavoro duro, la nuova vita lo hanno allontanato da quella precedente.
Dopo quattro anni di assenza, Gabriele torna nella sua città, per l’anniversario di matrimonio dei suoi genitori. E si ritrova nell’abbraccio affettuoso della famiglia: la madre Tania che lo venera come una divinità, il padre Mauro er-pesce, meccanico di moto e motorini, che parla poco ma quello che dice non si dimentica e la sorella Giorgia, che con l’aiuto del fratello ha aperto un salone di parrucchiere. E in quello degli amici, anche se sono proprio i discorsi con loro, nonostante il passato comune, a metterlo di fronte al disagio di chi si sente ormai fuori posto.
Gli amici gli invidiano i soldi che guadagna, il successo che ha ottenuto, la vita milanese. Loro sono cresciuti ma è come se fossero rimasti fermi, ancora nel quartiere dove sono nati, ancorati a ritmi sempre uguali, lo Spritz allo stesso bar tutti i pomeriggi, le stesse prese in giro, gli aneddoti raccontati allo sfinimento.
Marcello che deve accudire la madre paralizzata, Francesco campione mancato che soffre di depressione, Vanessa che fa la cassiera al Lidl ed è ancora legata ad un amore del passato, e Cristiano, l’unico che pare il più riuscito, sposato, con un lavoro all’aeroporto, due stipendi, ma che nasconde nel profondo la sua sofferenza e la sua rabbia.
Gabriele ha realizzato il suo sogno, coltivato fin da bambino, lavora in uno studio importante, ha una relazione sentimentale con Camilla la figlia di Zardi e la sua vita non potrebbe essere più soddisfacente. Eppure si sente sprezzato in due. Non si riconosce nei discorsi, nelle dinamiche, nei modi di fare dei colleghi milanesi, il loro ostentare il percorso di studio nelle migliori università, il modo cui si relazionano con i soldi, il fondare tutto sul materialismo, sul successo, il guardare dall’alto in basso chi non è come loro. Ma tornando a casa non si riconosce neppure più nella famiglia e negli amici con cui è cresciuto. E’ come se si fosse aperto un baratro tra quello che era e quello che è.
In più è costantemente in preda ai sensi di colpa, perché non vuole che i due mondi di cui fa parte si avvicinino, si incontrino, si tocchino.
Come potrebbe Camilla entrare nella vita dei suoi?
Così mente, continua a procrastinare l’incontro, non porta Camilla a Roma nonostante lei lo desideri. Svicola dai discorsi della madre che vorrebbe che lui tornasse più spesso, che comprasse una casa a Roma in modo da poter stabilire un nuovo legame con quel figlio di cui è orgogliosissima, ma che sente distante e lontano.
Gabriele è scisso, sente di non essere parte del nuovo mondo, ma al tempo stesso non appartiene più al vecchio. Sulla sua pelle ha capito che il successo che desiderava da bambino, la realizzazione dei suoi sogni non lo ha reso felice. Sente che gli manca qualcosa, forse quel legame speciale di chi è cresciuto insieme, di chi ha codici e linguaggi innati, che riconosce ma di cui non è più parte. E tutto questo emerge nel colloquio intenso e verissimo con Cristiano, in cui i due si confessano a vicenda le proprie debolezze e si ritrovano pur nelle reciproche differenze.
«E’ una questione solo mia. Ieri, quando m’hai detto “te faccio ‘na foto” tante cose che hai detto so’ giuste. Sono cambiato. E’ vero. Non so’ più come voi. So’ entrato dentro un altro mondo e me so’ dovuto adegua’, perché sennò quel mondo te divora. In questi giorni me so’ divertito come non facevo da anni, ma in certi momenti me so’ anche sentito come, come ‘n alieno.»
E se il centro del romanzo è lo spaesamento del protagonista, a poco a poco emerge l’elemento più attuale e politico: la rabbia delle periferie, di quelli che si sentono dimenticati dalla politica. Quella strisciante e costante lotta tra poveri, sempre più razzisti e fascisti, che non si sentono rappresentanti dalla sinistra radical chic, che ha messo al centro la lotta per i diritti civili dimenticando quelli sociali.
«Ecco perché me ne vado, perché ho venduto tutto. Non ce vojo mori’ qua, nell’aria sento ‘na cattiveria che non sentivo da anni. Ormai ce se azzanna tra poveri, e più sei povero e più te schifano. Se ‘sti acquedotti potessero parla’ direbbero sempre la stessa cosa. Che l’òmo non impara mai. »
E personalmente trovo che Mencarelli abbia fatto centro un’altra volta, con un romanzo che non dà risposte, che lascia il finale aperto, che mette il dito nella piaga delle nostre più profonde contraddizioni regalandoci una riflessione amara e profonda dei nostri giorni.
Brucia l’origine di Daniele Mencarelli – Mondadori (2024) pag. 187