Salvare se stessa per salvare se stessa

Ed eccoci alla terza parte, nonché volume conclusivo, della saga di Pip Fitz-Amobi Una brava ragazza è una ragazza morta di Holly Jackson. Prima di continuare un’avvertenza i tre libri sono strettamente collegati e vanno letti in sequenza per non perdersi pezzi, spoilerarsi fatti e non capirci più nulla! L’autrice inglese è riuscita a intessere una trama convincente sia a livello di singolo libro, sia nel quadro più ampio della trilogia: una volta arrivati all’epilogo diventa ovvio come lei abbia pianificato questa serie dalla primissima pagina.

Inizio cupo, per certi versi addirittura deprimente. Pip dopo le disavventure del primo e del secondo libro è demoralizzata, con una sicura sindrome post traumatica da stress che però minimizza, incubi che la perseguitano di notte, sensi di colpa. Non riesce a dormire, sente perennemente le mani sporche di sangue, ha perso la fiducia nel sistema, nella polizia, dei tribunali. Non ha più quella lucidità e razionalità che le ha permesso di risolvere brillantemente il cold case iniziale e di sbrogliare la matassa della sparizione di Jamie. Per questo inizialmente sottovaluta una serie di messaggi ricevuti via mail tutti dall’identico contenuto: Chi ti cercherà quando sarai tu a scomparire? e degli strani segni tracciati con il gesso davanti alla sua abitazione, oltre a dei piccioni morti con e senza testa ritrovati davanti a casa. Un gatto? Un caso? Un troll?

Forse la cosa migliore è iniziare di nuovo ad indagare perché Salvare se stessa per salvare se stessa può essere l’unica soluzione ovvia per uscire dalla depressione e riappropriarsi della vita di prima, anche considerando che la polizia, ancora una volta, non pare minimamente intenzionata a prendere sul serio le minacce e svolgere qualche indagine in più.

La Pip di Una brava ragazza è una ragazza morta è una Pip invecchiata di colpo, si ritrova a portare sulle spalle dei pesi impossibili e ha perso totalmente la fiducia nella verità e nella giustizia. Che senso ha dire la verità se poi nessuno ti crede? Che senso ha combattere per la giustizia se poi questa viene negata?

«La verità non ha importanza» ribatté Pip, piantandosi le unghie nella coscia. La se stessa di un anno prima oggi non si sarebbe riconosciuta. Quella ragazza dallo sguardo vivace, con il suo progetto scolastico, che si aggrappava ingenuamente alla verità, drappeggiandosela attorno come un lenzuolo. Invece la Pip seduta lì era una persona diversa, più consapevole. La verità l’aveva scottata troppe volte: di lei non ci si poteva fidare.

In questa ultima serratissima indagine Pip potrà contare solo su se stessa, soprattutto perché c’è in gioco la sua vita.

Impossibile dire di più, questo è un romanzo che se si decide di leggere deve essere fatto a scatola chiusa, con una unica consapevolezza che Holly Jackson ama sparigliare le carte, costruire trame in apparenza semplici ma con sviluppi inaspettati. Qui la soluzione appare a poco meno di metà libro e il senso di sbigottimento di chi legge è immediato: e ora? Cosa succede?

Holly Jackson ha semplicemente deciso di ideare uno degli espedienti narrativi più assurdi che probabilmente vi capiterà di leggere nella vostra vita: un plot twist che rimescola tutte le carte in tavola e vi terrà in bilico tra la genialità dell’intreccio e l’amoralità di quanto state leggendo. E qui si potrebbe stare a discutere per ore con chi ha letto il libro…

Quello che ho apprezzato di più della trilogia delle Brave ragazze è soprattutto il cambiamento addirittura drastico che l’autrice imprime alla protagonista e alla storia.

Se all’inizio della trilogia, Pip è una nerd risoluta e decisa a risolvere un cold case e lo fa grazie alla sua capacità di deduzione ed intelligenza, mano a mano il senso di sicurezza e il confine netto tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, cosa si intende per giustizia, cosa ci si aspetta da un processo virano, diventando molto meno netti.

E l’atmosfera generale, libro dopo libro diventa più cupa, meno adolescenziale.

Soprattutto nel terzo, le prime cento pagine sono quasi claustrofobiche, noi sentiamo l’atmosfera pesante sentiamo ciò che Pip prova, il senso di soffocamento e di impotenza, il sangue che lei continua a vedersi sulle mani, i colpi di la pistola che le bucano il petto e assistiamo in qualche modo alla sua disfatta perché la ragazza intrepida, convinta di portare verità e giustizia nel mondo si trova alle prese con un matassa di dubbi, consapevole di quanto la giustizia sia una materia magmatica che cambia e si trasforma, il confine tra bene e male non è così netto, preciso, e lei affonda in queste verità esistenziali in cui essere idealisti e voler cambiare il mondo non bastano più. Per certi versi, e questa affermazione deve essere presa con le pinze, mi ha ricordato i principi che stanno alla base di Delitto e castigo di Dostoevskij, il senso di colpa, l’incapacità dell’uomo di realizzare la giustizia nel mondo, l’impotenza e l’ingiustizia che stritolano la coscienza, la morale o l’etica personale che devono sopravvivere in un mondo che lascia sempre meno spazio all’integrità e alla correttezza.

Complimenti all’autrice per questa maturazione, per questa analisi interessante e per nulla scontata sul contrasto tra legge e giustizia, e per la gestione impeccabile delle aree grigie. In un mondo ideale gli stupratori e i serial killer sarebbero catturati, messi in prigione e si butterebbe via la chiave per sempre, nel nostro mondo no.

Una brava ragazza è una ragazza morta di Holly Jackson [As Good As Dead, 2021] Rizzoli Argento vivo (2023) – traduzione di Paolo Maria Bonora – pag. 553

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