Di Baldwin avevo letto La prossima volta il fuoco e mi aveva colpito la lucida consapevolezza che permea il libro, l’amarezza e il pessimismo di chi è costretto ad essere discriminato sempre per il colore della pelle, ma anche la rabbia di chi è stufo di sentirsi diverso, di dover giustificare sempre la propria esistenza di fronte agli altri. Mi sono avvicinata a La stanza di Giovanni nella piena consapevolezza che si trattasse di un romanzo totalmente diverso. E sono rimasta piuttosto perplessa. Al di là della storia di cui vi parlerò a breve è la scrittura, la penna, ad essere molto diversa, più pacata più introspettiva, meno rabbiosa e focosa rispetto all’altro testo.
Il protagonista David, dopo una storia di reciproca attrazione sessuale con l’amico Joey, durante l’adolescenza, decide di rinnegare la sua pulsione sessuale e relegarla nella memoria come un momento passeggero e senza importanza. Inutile dire che nell’America degli anni ’40 serve coraggio e consapevolezza per navigare sul sentiero del “diverso”, qualità che mancano entrambe a David.
Anni dopo per allontanarsi da una vita che non lo soddisfa finisce a Parigi, dove incontra la connazionale Hella, ragazza con cui intesse una relazione ambigua, sempre sul filo dell’incertezza dei sentimenti reciproci, che sfocia in una proposta di matrimonio alquanto inaspettata, alla quale nemmeno David, che pure l’ha esternata, dà molto peso. Per questo Hella, prima di rispondergli decide di partire per la Spagna per mettere spazio e tempo tra sè e il ragazzo in modo da chiarire i propri sentimenti.
Nel frattempo David inizia a frequentare connazionali che gravitano attorno al mondo omosessuale. In uno di questi locali dove si riuniscono a trascorrere le serate incontra Giovanni, giovane e attraente cameriere italiano con cui inizia una strana storia che lo ammalia e lo respinge allo stesso tempo.
“Amalo” disse Jacques con veemenza, “amalo e lascia che ti ami. Pensi davvero che ci sia qualcos’altro che conti sotto questo cielo? E quanto credi che possa durare, nella migliore delle ipotesi, visto che siete tutti e due uomini e avete ancora tutto da vedere? Solo cinque minuti, te lo posso assicurare, solo cinque minuti, la maggior parte dei quali, hélas!, al buio. Ma se li consideri sporchi, allora lo saranno…saranno sporchi perché non darai nulla, perché disprezzerai la tua carne e la sua. Ma puoi rendere il vostro tempo insieme tutt’altro che sporco, potrete darvi a vicenda qualcosa che vi renderà migliori – per sempre – se non te ne vergognerai, se solo non ci andrai cauto”.
David è un pavido, un uomo in fuga da se stesso, confuso e indeciso. Diviso tra Hella che incarna il desiderio di normalità, il sogno di quella tranquilla vita americana che gli sta stretta ma a cui non è pronto a rinunciare, e Giovanni che rappresenta tutto il contrario, l’imprevisto, l’avventura, la forza, il cuore. David non si accetta per quello che è: prova attrazione per gli uomini, ma ha talmente bisogno dell’approvazione sociale (in particolare di suo padre) da considerare sbagliate, addirittura «immorali» le sue inclinazioni.
«Una caverna si spalancò nella mia mente, nera, piena di chiacchiere, di insinuazioni, di storie mezzo sentite, mezzo dimenticate, mezzo capite, piene di parole sconce. Credetti di vedere il mio futuro. Ebbi paura. Avrei potuto piangere, piangere di vergogna e di terrore».
In una Parigi che pare spettatrice benevola delle giravolte del cuore, una sorta di mondo sospeso in cui la vita sembra essere stata messa in stand by, prima di affrontare la reale esistenza, David si dibatte. Perché infondo mentre Giovanni ama con tutto se stesso e non si risparmia, David non è in grado di amare, ha paura del sentimento che lo agita dentro. E così facendo rende infelici tutti.
Come ha dichiarato lo stesso Baldwin in un’intervista del 1984: “La stanza di Giovanni parla di quello che succede se hai paura di amare”. Perché Baldwin non ci vuole parlare di omosessualità o relazioni omosessuali, vuole parlare di amore e di relazioni; l’omosessualità non è quindi l’elemento centrale, ma è solo il mezzo per parlare dell’incapacità del protagonista di sfidare le convenzioni sociali e vivere pienamente i propri sentimenti.
“La stanza di Giovanni” di James Baldwin, pubblicato per la prima volta nel 1956, come affermò lo stesso Baldwin nell’intervista sopra richiamata con Richard Goldstein, «è una finestra che si apre sull’immenso panorama delle relazioni umane: sulla capacità di amare se stessi e gli altri, sul rapporto tra restrizioni sociali e libertà individuale, e sulla difficoltà di accettare ed esprimere con onestà e senso di responsabilità le varie componenti della propria identità, soprattutto quando sono socialmente stigmatizzate, come nel caso dell’omosessualità e della differenza razziale.»
La stanza di Giovanni è un’opera totalmente differente dal precedente che avevo letto, molto più intima, anche nel tono, più filosofica e riflessiva, che analizza il male che si fa a se stessi e agli altri quando non si accoglie pienamente la propria natura, i propri sentimenti e ci si lascia condurre dai doveri sociali. Personalmente però non sono riuscita ad entrare in sintonia con il protagonista, che essendo voce narrante, assorbe e concentra l’intero focus del romanzo. Ho trovato il suo atteggiamento passivo e codardo anche di fronte alla tragedia di Giovanni. Intrappolato nelle sue stesse paure, incapace di accettare se stesso e di conseguenza disposto a fare del male agli altri pur di non esporsi.
La stanza di Giovanni di James Baldwin [Giovanni’s Room 1956]– Fandango Libri (2024) – traduzione di Alessandro Clericuzio – pag. 222