Se non si sapesse, adoro le storie famigliari, gli intrecci e i segreti che si nascondono in tutte le famiglie, soprattutto quelle grandi, con tanti fratelli e sorelle. Sarà che sono figlia unica ed un fratello o una sorella mi sono sempre mancati, ma le dinamiche che si creano in famiglie numerose mi hanno sempre affascinato. Ricordo che adoravo la Famiglia Bradford, tutti quei fratelli e sorelle, le dinamiche tra di loro, i litigi, i malumori, ma anche l’affetto incondizionato, il capirsi con un solo sguardo. Successivamente sono impazzita per Brothers and Sisters e sono ora fanatica di This is us.
Detto questo non potevo non amare questo piccolo libro, altro gioiellino di casa Keller proposto dalla sempre ottima dispensatrice di consigli libreschi, Elena, come lettura mensile di #seguendok
Una famiglia come tante è la storia di Aline, Celine, Pauline e Philippe quattro fratelli molto diversi, accomunati dall’affetto verso gli zii Simon e Tamara, diversissimi come carattere e tenore di vita dai loro genitori. Tanto Simon e Tamara sono brillanti, eleganti ed anticonformisti, tanto Ernest e Suzanne sono modesti, opachi, normali. Inevitabile dunque che gli zii abbiano sempre rappresentato un punto di riferimento per i nipoti Cardin. Gli zii benestanti e senza figli, per non fare favoritismi e non creare problemi hanno fatto entrambi testamento lasciando eredi in parti uguali tutti i parenti, quindi i quattro fratelli Cardin, la sorella di Simon, Helene, e la sorella di Tamara, Kati. Ma alla morte improvvisa di entrambi, avvenuta a distanza di tre ore l’uno dall’altra, il testamento di Tamara, morta per ultima è scomparso ed erede dell’intera fortuna è di conseguenza Kati e, a seguire, suo figlio Bernard. L’estremo saluto ai congiunti diviene, dunque, per i quattro fratelli resa dei conti perché la disputa sulla cospicua eredità farà riaffiorare vecchie ruggini, astio e maldicenze.
Sylvie Schenk è bravissima ad usare come espediente narrativo un evento con il massimo potenziale di conflitto: una disputa sull’eredità, una situazione che porta a galla bassezze e recriminazioni di tutti i tipi, oltre ad innescare una bomba ad orologeria dagli effetti devastanti.
L’autrice non inventa nulla, purtroppo, per lavoro, mi sono trovata molto spesso a vedere quanto la morte di una persona inneschi un meccanismo perverso, in cui l’affetto o i ricordi svaniscono per lasciare il posto all’accaparrarsi i soldi e i beni dell’eredità. Come se la possibilità di entrare in possesso di qualche tazzina, accendesse l’avidità e mettesse in luce la meschinità e la pochezza dell’animo umano.
Qui il conflitto è raccontato da Celine, la sorella che ha lasciato la casa di famiglia per trasferirsi in Germania, dove ha sposato un tedesco; non per niente in famiglia la chiamano “la tedesca”, mentre quando è a Francoforte la chiamano “la francese”. Questo suo essere a metà, sempre sul confine, anche per il lavoro che fa, interprete, la rende la più adatta a fare da mediatrice al conflitto tra i suoi fratelli e il resto della famiglia.
La sensazione di non potersi aggrappare a niente e a nessuno è qualcosa che sente anche quando traduce. Quando è indecisa tra una parola e un’altra, quando non c’è un termine esatto per la cosa da definire, quella cosa scivola in un limbo come un neonato morto senza essere battezzato. Tutta la sua vita è scivolata via combattuta tra due Paesi.
Celine, forse proprio per l’essersi allontanata dalle dinamiche familiari, appare molto più distaccata dei fratelli nell’affrontare la situazione e mentre si palesano le dinamiche di scontro, la sua mente si perde nei ricordi di famiglia. Nell’amore per la montagna che l’ha accomunata al padre e allo zio, fratelli, entrambi dentisti, ma diversissimi l’uno dall’altro. Nella protezione rivolta verso la sorella Pauline. Nella tenerezza verso la timida, piccola madre a confronto con la terribile e giudicante nonna paterna. Nella distanza incolmabile tra la sua modesta famiglia arroccata nella cittadina alpina e i parenti borghesi di Lione, che li guardano dall’alto in basso divisi da condizione sociale, ambiente, istruzione e soprattutto soldi.
Sylvie Schenk in questa sorta di tragicommedia, dolce amara, descrive perfettamente le dinamiche familiari e i rapporti – a volte tossici – tra i parenti, rendendo le vicende della famiglia Cardin una narrazione di respiro universale, in cui è possibile comunque riconoscersi.
L’autrice riesce a rendere perfettamente la normalità di un famiglia, scandagliando le aspirazioni, i sogni, le miserie, i fallimenti di ognuno. La voglia di ciascuno di emergere, di esserci, anche commettendo errori. Una grande famiglia in cui inevitabilmente ognuno ricopre un ruolo: Aline. Céline. Pauline. Philippe: la bella, l’intellettuale, la divertente, lo sportivo.
Una famiglia come tante di Sylvie Schenk – Keller editore (2022) – pag. 200