Ho avuto il piacere e l’onore di presentare Una piccola goccia d’inchiostro di Vincenzo Patanè a Carrara presso l’Archivio Aldo Mieli e di dialogare con l’autore di un libro prezioso per i temi che affronta e per la delicatezza con cui li tratta.
Il libro parte dal ritrovamento casuale, durante lo sgombero della casa dei genitori, di una scatola contenente 66 lettere che lo zio dell’autore inviò alla sorella, ossia alla madre dell’autore stesso, nell’arco di circa dieci anni dal 1953 al 1965. Le lettere, presenti in stralci all’interno del libro, rappresentano l’ossatura a cui l’autore si aggancia per ricostruire la vita dello zio e delineare tutta la sofferenza che ha caratterizzato la sua presa di coscienza in merito alla sua omosessualità in un momento, in cui questa era considerata, a tutti gli effetti, una devianza da correggere. Più volte Elvio si definisce invertito, utilizzando il termine con la connotazione estremamente negativa e offensiva con cui veniva apostrofato.
Vincenzo Patanè entra in punta di piedi nella vita di Elvio, un uomo che, fin dall’infanzia a causa di una poliomielite che lo aveva lasciato con qualche problema di deambulazione, aveva avuto pochi amici e poco o nulla era stato coinvolto nei giochi all’aria aperta dei coetanei. La solitudine era stata la cifra dei suoi primi anni, nonostante la famiglia numerosa, tre sorelle più grandi di una decina d’anni e un fratello Manfredi, vicino di età ma non di temperamento. I genitori erano persone colte e signorili: il padre poco incline a manifestazioni d’affetto, aveva un intransigente rigore morale e religioso che lo rendeva rigido e poco disposto all’ascolto, al punto da preferire un rapporto epistolare al dialogo con i figli. La madre che con Elvio era sempre stata molto affettuosa non cercava mai alcuna reale comunicazione.
Per Elvio si era aperto un mondo quando aveva iniziato a leggere, mitologia, geografia, storia, arte, biografia di uomini celebri, in particolare musicisti. Perché la musica insieme con l’arte lo aveva entusiasmato e conquistato. Tanto da farne poi un mestiere.
La famiglia amava presentarlo ai parenti e agli amici come un enfant prodige, un ragazzo dalla personalità decisa e dotato di un bagaglio inconsueto per al sua età. Del resto, da lui ci si aspettava molto sin dalla nascita: infatti nomen omen, gli era stato dato il nome di Elvio, ispirato da un articolo che il padre aveva letto su una rivista degli anni Venti, L’Ardimento, in cui si narrava di un bell’adolescente patrizio romano, Elvio Lucio Metello: questi, sotto l’impero di Nerone, osò scendere nell’arena e uccidere con una spada un leone per salvare un suo amico cristiano, lo schiavo cimbro Mamilio, il quale poi per merito suo ottenne la grazia dall’imperatore.
Se fin da quando ha otto anni, Elvio è attratto dal corpo maschile, è da adolescente che matura la piena consapevolezza di tale attrazione. I suoi turbamenti sessuali, però, sono fonte di senso di colpa, sente di essere sbagliato, addirittura malato di una malattia congenita. Siamo in una società che, prima con il fascismo poi con la morale bigotta e perbenista del dopoguerra, condanna duramente l’omosessualità. Sarà l’ingresso al Conservatorio e la scoperta che non è l’unico a provare certi desideri ad operare una graduale apertura verso un mondo che risulta però misterioso e nascosto.
Due sono i punti centrali del libro: il viaggio in Danimarca nel 1954 sulla scia dell’esperienza vissuta da Christine Jorgensen di riassegnazione di sesso, di cui è venuto a sapere grazie ad una serie di articoli apparsi sulla stampa e il successivo legame, lacerante e doloroso con un giovane napoletano.
Una piccola goccia d’inchiostro è un libro intimo e commovente, da cui trapela il grandissimo affetto dell’autore verso la storia dello zio, una persona straordinaria, che ha sofferto molto la sua condizione. Tra le pagine del libro emerge tutta la solitudine e l’infelicità provata da Elvio. Il suo percorso esistenziale si snoda nella dolorosa e necessaria evoluzione sull’omosessualità, dapprima vissuta come un fardello, una sventura. Elvio si sente intrappolato in un corpo che non lo rappresenta, solo dopo esperienze, anche umilianti, il protagonista riuscirà a comprendere che anche lui può essere felice e c’è un posto anche per lui al mondo.
Nel libro sono tanti i temi trattati, fra cui l’omosessualità, l’intersessualità, la ridefinizione e la disforia di genere, il rapporto genitori/figli, l’amore, la prostituzione, le dinamiche della vita degli omosessuali in quegli anni. Ma questo libro ha anche un altra protagonista che è Napoli e in particolare il rione Sanità, il quartiere che tutto sa, tutto pare giudicare, ma che non nega la forza e il calore di un abbraccio ai suoi figli.
Lì brutture e bellezze sono curiosamente connesse, con strade, vicoli, discese e scalinate che si incastrano inestricabilmente, quasi come una casbah di una città orientale. Un luogo multiforme e quasi magico, sospeso tra il mondo terreno e l’aldilà dei santi e dei morti, perché lì infatti, nelle sue viscere sotterranee di catacombe e cimiteri, i defunti e i fantasmi continuano a dialogare con i vivi.
In un momento storico come questo in cui tanti diritti difficilmente conquistati paiono messi nuovamente in discussione, Una piccola goccia d’inchiostro è un romanzo biografico che indaga la complessità della sessualità e la sofferenza che spesso contraddistingue il turbamento sessuale adolescenziale e ribadisce come non si possa chiudere gli occhi di fronte a tali temi.

Bellissimo il titolo che si rifà ad un verso del “Don Juan” di Byron, grande passione dell’autore, e la copertina che rappresenta un quadro di Carlo Bertocci che riprende e richiama il tema del doppio.
Grazie alla Libreria Melville di Massa per la copia e per la possibilità dell’interessante ed arricchente dialogo avuto con Vincenzo Patanè.
Una piccola goccia d’inchiostro di Vincenzo Patané – Il ramo e la foglia edizioni (2025) – pag. 230