Timpamara è un paese che vive grazie all’antica cartiera e all’annesso maceratoio, per cui ogni settimana vengono scaricati quintali di giornali, libri, riviste e migliaia e migliaia di volumi.
E quando non erano le mani degli operai a seminare le parole di carta, ci pensava il vento, il ponente che arrivava dal mare e afferrava quei fogli dai camion, dalle vasche, dai mucchi accatastati nel cortile e li faceva svolazzare nell’aria, stormi di romanzi francesi, sciami di prontuari per i sogni, e gabbiani con le ali dei Miserabili, rondini con al becco le peripezie di Gulliver, e frammenti dei Dialoghi di Platone confusi col polline dei platani.
E data la quantità di quei libri e la curiosità di sfogliarne le pagine, gli operai, duranti i turni di lavoro, iniziano a leggere e poi a dare ai figli nomi strani e letterari: Victorùgo, Volfango, Fiammetta, Marselprù, Verter, Ortis, i fratelli Gargantuà e Pantagruel.
Per questo Astolfo Malinverno era un nome come un altro, ma non per me, che quando a scuola Achille Serrasanbruto per giustificare la sua prepotenza si vantò di avere il nome d’un grande eroe greco che aveva sconfitto tutti i nemici, zoppi compresi, io gli risposi timidamente ma con fermezza che molti nella storia erano gli eroi che avevano vinti battaglie e guerre, ma che nessuno, nessuno era mai stato sulla luna.
Astolfo Malinverno è nato con una leggere zoppia, un animo malinconico, una propensione all’introspezione. Per lui la lettura è sempre stata compagna perfetta, l’unica che consola, allieta, stempera le amarezze della vita. Ed immergersi nei libri gli permette di immaginare qualsiasi situazione e vivere migliaia di esistenze.
Non avevo mai saputo affrontare i mutamenti, mi spaventavano, e allora cercai di distrarmi nell’unica maniera che conoscevo. Presi dalla tasca Madame Bovary e in un attimo abbandonai le terre avverse di Timpamara per giungere a quelle immobili e pigre di Yonville-l’Abbaye. Questa lettura tornava nella mia vita ogni volta che avevo bisogno di consolazione, quando avvertivo cioè la necessità di annacquare e disperdere la mia tristezza nella tristezza del mondo e sentirmi così parte dell’umanità illusa e dolente.

Quale mestiere più adatto a lui che non fare il bibliotecario? Perché lì tra le pagine dei volumi tanto amati, Astolfo si sente al sicuro, in mezzo ad amici. Per questo è scosso quando la sua routine viene sovvertita dalla richiesta, al quanto particolare, di aggiungere un altro incarico a quello di bibliotecario, quello di custode del cimitero. Dopo parecchi dubbi accetta e si trova così a camminare tra le stradine coperte di sassi, osservando le tombe, leggendo le epigrafi, guardando le fotografie ed immaginando le storie nascoste dietro quelle parole e quelle immagini. Fino a che una foto di una donna bellissima, senza nome, senza date, accende la sua curiosità. Chi è quella donna? Come si chiama? Perché è sepolta lì? Decide di chiamarla Emma, come la sua amata Bovary, e di prendersene cura. Fino a quando nota un cardo sulla tomba, chi l’avrà portato? E un misterioso uomo dotato di un’enorme borsa comincia ad aggirarsi tra le tombe… E una donna così simile all’immagine della fotografia appare e scompare, ispirando in Astolfo mille possibile teorie.
Malinverno è un romanzo letterario al mille per mille. Un libro fatto di illimitati richiami librosi, in cui la storia va di pari passo all’infinita immaginazione del suo protagonista. A partire da Timpamara, paese in cui i confini del reale si sfaldano: tutto è possibile in un luogo come questo, anche avere nomi assurdi e vivere storie inverosimili.
Tutto questo pensai nell’attimo in cui sentii il cuore di mia madre non battere più. Era questa la morte, e io l’avevo talmente immaginata e temuta che mi sembrò quasi naturale; avevo così paventato la sospensione del battito e il dolore e la tragedia della scomparsa della madre, avevo pianto tante volte nel fantasticarla, nell’immaginarmi accanto al suo corpo esanime, che adesso era come se fossi pronto, allenato, come se quella dimensione non fosse che il prolungamento di quegli esercizi all’assenza e alla solitudine.
Un romanzo che ammalia parlando di fantasia e immaginazione, di infinito amore per i libri, ma anche di sogni, e soprattutto di quell’incanto per le cose impossibili. Intrecciando Madame Bovary a Don Chisciotte, Il fu Mattia Pascal a Proust, Ariosto a Baudelaire, Domenico Dara ci regala una storia metaletteraria e un personaggio indimenticabile. Perché Astolfo Malinverno che pare così sprovvisto per la vita, scollato dalla realtà, un foglio di carta portato dal vento, si rivela essere un custode di storie, un abile ponte tra realtà e fantasia, tra mondo immaginifico e materialità.
Oltre a questo Malinverno è un libro che parla anche di morte. La morte come parte inevitabile della vita, come atteggiamento a volte verso le cose perdute, verso quel senso di ineluttabile che per quanto uno non voglia pensarci esiste, c’è. E questa presenza silenziosa però rende ancora più speciale il vivere. Lo capisce Malinverno, bibliotecario e guardiano del cimitero, custode di storie dimenticate tra le pagine ingiallite dei libri e di tombe scheggiate e rovinate dalle intemperie, che raccontano altre storie a chi ha voglia di ascoltarle. Il suo atteggiamento di mediatore tra mondi sospesi, tra dimensioni lontane lo rende adatto ad accogliere l’intero senso dell’esistenza.
Tutto quello che abbiamo ci può essere tolto da un momento all’altro questo insegna la morte, che nulla ci appartiene.
Malinverno ha il sapore malinconico di una fiaba antica anche per il linguaggio a tratti desueto che però trascina e conquista il lettore. Domenico Dara, tramite il suo personaggio, si fa cantastorie, affabulatore, ammalia e rapisce e trasporta in una sorta di incanto che fonde insieme amore e morte, cose perdute e ritrovate, magia e sogno.
Malinverno di Domenico Dara (2020) – Universale Economica Feltrinelli – pag. 331