Ho iniziato Generations of love di Matteo Bianchi a scatola chiusa, senza sapere che viene considerato una sorta di manifesto gay e che negli anni grazie ad una storia raccontata con garbo ed ironia, senza i toni tragici e drammatici che di solito accompagnano l’autobiografia gay è riuscito a far sentire meno soli e decisamente più capiti una generazione di ragazzi.
Il libro è uscito per la prima volta nel 1999 quando la comunità gay, internazionale ma anche italiana, aveva alle spalle un periodo molto cupo, legato in gran parte all’Aids e al lutto, ed era difficile trovare un testo che parlasse di giovinezza e omosessualità con leggerezza.
Generation of Love invece è il racconto di un’adolescenza semplice, in un paese di provincia, fra Milano e Pavia, dove il senso di isolamento, il desiderio di scoprire la propria strada, il sentirsi diverso in una piccola comunità, sono acuiti ed amplificati dal fatto che tutti ti conoscano e ti giudichino, e riesce, in pochi tratti incisivi, a illustrare la provincia degli oratori, delle scuole per buone famiglie, degli studenti pendolari.
Bianchi racconta un’adolescenza assolutamente “normale”: mamma parrucchiera, padre che lavora in ferriera come analista chimico, e sorella minore, presenza talmente costante da risultare impossibile pensare che c’è stata un’epoca in cui lei non era ancora nata ed essenziale anche ai fini delle lotte e rivendicazioni gay. E’ lei a suggerire al fratello la lista degli autori assolutamente da leggere, Yukio Mishima, E.M. Foster e Christopher Isherwood, tra tutti, una sorta di guida letteraria a tematica gay.
Da piccolo non sapevo di essere omosessuale. Sapevo dell’inquietudine, dell’ebbrezza, della curiosità, del tormento, del desiderio, della sensazione: ma ignoravo che avesse un nome.
Tra queste pagine c’è la percezione di essere diverso, senza nemmeno saper perché, il coming out, l’università, i viaggi alla ricerca di se stesso, e la musica, onnipresente come la colonna sonora di un film. Nel mezzo quello che infondo è il leitmotiv di tutte le adolescenze: le grandi e totalizzanti amicizie, i primi approcci sessuali, il primo innamoramento, il primo tradimento…
Generations of love colpisce per l’allegria e l’umorismo dei toni. L’autore, infatti, in modo sarcastico e usando tutta la mitologia pop di chi è cresciuto negli anni ottanta, parla di se stesso, senza prendersi mai troppo sul serio.
Bianchi in una sorta di frullato culturale mischia alto e basso, trash e generi diversi.
E allora nelle pagine di questo libro sfilano Sabrina Salerno, gli Smiths, Heather Parisi, i Righeira e Giuni Russo, Wanna Marchi ma anche citazioni di Busi e Montale, e c’è addirittura un capitolo interamente dedicato alle citazioni musicali implicite ed esplicite. Come scrive anche nel testo i suoi riferimenti sono sempre personaggi che non si sono mai limitati a un campo d’espressione. Ad esempio di Andy Warhol ama la sua filosofia, i suoi diari, le interviste, il suo ruolo di produttore nei Velvet Underground, la rivista che ha fondato, i suoi esperimenti televisivi, più che l’opera pittorica. Ed io che in quegli anni ci sono vissuta non ho potuto non rivedere e rivivere temi, tormentoni e cult di quell’epoca e divertirmi parecchio nelle incredibili avventure, normali ma speciali al tempo stesso che l’autore racconta.
A distanza di venticinque anni esce ora una versione allargata, “Extensions” appunto che può considerarsi quella definitiva per la quale sono stati rivisti e corretti alcuni refusi apparsi nell’edizione precedente e vi sono alcuni racconti in più che non erano nella versione precedente.
Generation of Love Extensions di Matteo B. Bianchi – Fandango Libri (2024) pag. 315