Con la lettura di Caterina Parr la serie che Alison Weir dedica alle mogli di Enrico VIII si conclude. Interessante vedere come cambiando personaggio cambia, almeno un po’, il giudizio e la prospettiva da cui decifrare le altre donne.
Se Caterina è e resta per tutti e sei i romanzi la vera regina, maestosa e regale in ogni situazione. Colei che aveva la completezza e la dignità del ruolo, oltre all’educazione per sedere sul trono.
Anna diventa a seconda di chi ne parla, la strega manipolatrice o la donna indipendente e ribelle che aveva idee precise su una riforma religiosa per certi versi necessaria, ma che si era fatta troppi nemici e aveva calpestato troppe teste per uscirne indenne.
Jane risulta meno innocente e pura di come la storia ce l’ha dipinta, lusingata all’idea di diventare regina ma anche piuttosto incolore, oltretutto morta troppo presto perché potesse esprimere una eventuale personalità.
Anna di Kleve mi ha suscitato enorme simpatia, terrorizzata da poter finire come le precedenti spose del re, accettò di buon grado di farsi da parte, godendosi concessioni, terre e libertà che altrimenti non avrebbe mai avuto.
Caterina Howard mi ha fatto tenerezza, una ragazzina cresciuta senza una guida e morta senza che nessuno la consigliasse. Sicuramente sprovveduta ed avventata, non poteva non sapere quanto Enrico fosse sospettoso, geloso e mercuriale e come non avrebbe accettato di essere preso in giro dalla sua stessa moglie, per quanto potesse amarla o per lo meno essere irretito da lei.
Caterina Parr l’ho trovata concreta, una donna ben educata, istruita, matura. Ottima amministratrice, generosa nei confronti dei figli non suoi, seppe mantenere il controllo anche quando tutto pareva cospirare contro di lei. Per certi versi una Anna Bolena più lucida e accorta.
Alla fine resta la curiosità di saperne di più proprio su di lui su Enrico. Sempre presente, affascinante, colto, esuberante, ma anche caratteriale, lunatico, altalenante nelle decisioni, preda di improvvise passioni e altrettanti repentini cambi d’idea. Accentratore, spietato, desideroso di un erede che potesse mantenere e rafforzare il potere dei Tudor, ma anche raffinato studioso, ideatore di una religione che rompe con Roma ma che non vuole arrivare agli eccessi della riforma protestante. Insomma un vero enigma di cui dovrò assolutamente saperne di più.
In questi romanzi Alison Weir, unisce la sua competenza di storica alla fantasia del romanziere, rendendo complessa ed interessante la vita di ognuna di queste donne, mettendo in evidenza luci ed ombre, educazione, compromessi, fragilità. Come dice nella postfazione del L’innocente Alison Weir dopo aver scritto libri di non fiction, dovendo attenersi scrupolosamente alle fonti storiche, senza poter in nessun modo “immaginare” nulla, nello scrivere questi romanzi ha provato «una vertiginosa sensazione di libertà. Non ero più concentrata esclusivamente sulle fonti disponibili e sulla rigida disciplina storica, ma potevo dare briglia sciolta alla mia immaginazione», perché non capita spesso che la storia registri i moventi, le emozioni, le reazioni delle persone, e scrivere una storia fiction permette di fare anche ipotesi azzardate, assicurandosi però che risultino credibili nel contesto storico. E, a mio parere, la scrittrice inglese c’è riuscita davvero molto bene, rendendoci partecipi delle loro emozioni, facendoci vivere i loro dubbi, i dilemmi del loro animo, le pulsioni che le agitavano, e dandoci modo di assistere alla vita di corte, fatta di cerimonie, intrighi, falsità e dicerie che però potevano costare la vita di chi ne era coinvolto.
Alison Weir ci accompagna lungo circa cinquant’anni di storia inglese e ci regala sei ritratti a tutto tondo di queste regine che furono prima di tutto donne vissute in un periodo in cui le loro idee, le loro scelte, i loro desideri contavano davvero nulla, in cui erano solo pedine di interessi familiari, di matrimoni combinati, di gravidanze plurime, che spesso risultavano fatali. Considerate prive di vero valore, di intelligenza, di acume, basti pensare che nel Quattrocento in Inghilterra una donna sul trono veniva considerata una cosa contro natura: né Dio, né gli uomini potevano accettare una cosa simile. Sebbene l’ascesa di Elisabetta, figlia proprio di quell’Enrico che, pur amandole, in fondo in fondo le disprezzava e della rinnegata Anna Bolena, cambiò totalmente il volto della storia.