Attraverso le voci di quattro persone, più una sorta di appendice, che non si capisce se reale o sperata, di appartenenti alla stessa famiglia, l’autrice racconta la storia degli ultimi quarant’anni in Iran.
Un romanzo scandito in quattro parti più l’epilogo, distanziate da dieci anni di differenza, che cadenzano i cambiamenti intercorsi e raccontano le paure, i sogni ma soprattutto le disillusioni di un popolo. Attraverso le voci di Behsad, Nahid, Laleh, Mo e per finire con Tara, Shida Bazyar riesce a coniugare la vita pubblica a quella privata e a mostrare quante vite spezzate e martoriate ha lasciato una rivoluzione fondamentalmente non riuscita.
Behsad nel 1979 è un giovane che crede nella rivoluzione. Con i suoi compagni di lotta vuole cacciare l’odiato Scià e cercare di riportare democrazia e uguaglianza nel paese. Le sue idee comuniste, però, lo faranno presto diventare nemico del nuovo corso politico. Perché alla caduta dello Scià subentra la teocrazia dell’ayatollah Khomeynī e con lui decadono tutte le voci discordanti e tutta la voglia di libertà dei giovani che hanno combattuto per ciò. In queste pagine scorre la voglia di cambiamento, le idee di riforma, la paura della delazione e dell’arresto, la lotta clandestina, il senso incombente ed ineluttabile di ciò che sta accadendo, ma anche la giovinezza, il senso di amicizia e la nascita dell’amore.
Nahid nel 1989 è una giovane donna rifugiata in Germania dopo la fuga dall’Iran con il marito Behsad e i figli. Una giovane sradicata, che fa fatica a comprendere il paese in cui ha trovato rifugio, che sente lo sguardo giudicante e diverso degli altri; che nei nuovi legami, nelle nuove amicizie non trova il calore del suo paese, dei sapori, degli odori che erano casa; che continua a guardare le videocassette che la riportano indietro nella sua terra, tra i suoi cari, a quella lingua dolce e meravigliosa in cui ha senso leggere poesie d’amore.
Laleh, figlia di Behsad e Nahid, nel 1999 torna a Teheran con la sorella Tara e la madre. Ad accoglierla un’infinità di parenti, zie, cugini, i vecchi nonni, gli amici di famiglia, in un continuo via vai di voci, di abbracci, di baci, di ricordi, di lacrime, ma anche di cose non dette. E nell’aria quell’oppressione di chi è costretto ad indossare il velo, a non rivolgere la parola a persone dell’altra sesso, gli incontri clandestini in locali dai vetri oscurati, il rito del salone di bellezza dove si esce diversi. E la figura del padre, assente, ma presente più che mai, che non è voluto tornare nel suo paese ma che lì è ricordato come un eroe, un uomo coraggioso, mentre per la figlia è solo un uomo che non prende mai una posizione, che ha fatto della neutralità la sua coperta.
“Di notte tutto è silenzio a Teheran. Durante il giorno c’è tanto rumore. Sono così rumorose le persone dentro casa, così rumorosa la loro voce, se riguarda cose poco importanti, così rumorosa la loro rabbia, se riguarda cose importanti. Così rumorosa la loro risata, le loro grida, così rumorose le loro frasi di cortesia che buttano fuori come fosse un respiro. Cosi’ rumorosa la loro loro presenza come un corpo avvolto di stoffa in uno spazio sicuro, così rumoroso lo sbattere delle stoviglie, mentre cucinano, mangiano, mentre bevono il tè, uno sbattere secco e argentino. Per strada un baccano spaventoso, le carreggiate intasate, i clacson, nonostante i cartellino vietino di suonarli, le urla e le imprecazioni, l’aria pesante che sembra produrre confusione in testa, i gas di scarico nei polmoni, la sensazione costante di essere qualcosa di pesante e di portarlo addosso. Le mani che tornano continuamente a toccare il velo sulla testa,m che tengono fermo il mantello, che abbassano le maniche. Sono belle nei loro abiti, si mantengono moderne.”
Infine Mo nel 2009 che nelle manifestazioni di piazza in Germania cerca di ritrovare il senso di quello che è accaduto e continua periodicamente ad accadere a Teheran. Notizie che trapelano tramite i social, viste su YouTube o tramite la telecamera di un giornalista. Un mondo, per lui, vicino ma anche lontanissimo, da cui lo dividono chilometri, vicende ed ideali. Di cui cerca di comprendere il senso e la necessità.
Di notte tutto è silenzio a Teheran racconta lo smarrimento di chi è costretto a fuggire per salvarsi la vita, ma che resta comunque attaccato alla sua patria, alle sue origini, che attende un segno, un accadimento che possa riportarlo indietro.
Un romanzo amaro con cui cercare di capire cosa è accaduto e sta accadendo in Iran dal 1979 ad oggi, perché sono più di quarant’anni che piccole o grandi rivolte si susseguono, piccole aperture e grandi repressioni, manifestazioni di piazza e arresti di massa, giovani morti alla ricerca della libertà.
L’autrice offre un ritratto vivido, crudo e illuminante dell’Iran e delle sue sfide politiche e umane. La storia di Behsad e della sua famiglia si trasforma in una rappresentazione simbolica di un popolo che lotta per la propria identità e libertà, dando voce a coloro che hanno vissuto e lottato attraverso decenni di cambiamenti tumultuosi, senza trovare ancora una giusta conclusione alla propria epopea.
Di notte tutto è silenzio a Teheran di Shida Bazyar – traduzione di Lavinia Azzone – Fanfango Libri (2023) – pag. 277