Siamo in Florida all’inizio degli anni ’60, i movimenti per i diritti civili si stanno diffondendo ed Elwood, ragazzino amante dei libri che vive da solo con la nonna Harriet, ne subisce il fascino ed ascolta ininterrottamente un vinile di discorsi di Martin Luther King. E’ un ragazzo intelligente, pieno di buone intenzioni e di alti ideali. Lavora in un’edicola e studia perché vuole andare al college, emanciparsi e fare la differenza. Nonostante la nonna cerchi di convincerlo a volare basso, a tenere gli occhi chini, lavorare sodo, non avere troppi grilli per la testa, Elwood vuole di più dalla vita.
Nella testa gli risuonano le parole del reverendo King:
«Dobbiamo credere nel profondo dell’anima che siamo qualcuno, che siamo importanti, che meritiamo rispetto, e ogni giorno dobbiamo percorrere le strade della nostra vita con questo senso di dignità e di importanza.
Vuole studiare, emanciparsi, diventare una persona migliore, entrare in un locale senza rischiare la vita, camminare per strada a testa alta senza dover mai abbassare lo sguardo.»
e lo spronano a non accontentarsi, a cercare di cambiare le cose: non si possono accettare supinamente le leggi Jim Crow e la segregazione che ancora impera negli Stati Uniti. E’ giusto e doveroso cercare di avere di più, studiare per un avvenire diverso, un futuro che non sia quello di uomo di fatica al comando dei bianchi. E volerlo non solo per se’ ma anche per tutti i ragazzi come lui.
Ma il diavolo ci mette la coda, viaggiando per raggiungere il college, si trova nel luogo sbagliato al momento sbagliato e finisce alla Nickel, un istituto correzionale per ragazzi, dove sotto l’apparenza di una scuola che dà istruzione e insegna un mestiere ai ragazzi, bianchi e neri, che hanno commesso un reato, nasconde un sistema di violenza e sopraffazione. Violenze, gerarchie, abusi, torture, stupri, discriminazioni nei confronti di minori incarcerati sono, infatti, all’ordine del giorno, senza senso e con tutta la brutalità consumata solo per il gusto di essere in posizione di poterla perpetrare e farla franca. Attraverso punizioni ingiuste ed immeritate viene fiaccata la volontà ed eliminata qualsiasi possibilità di un futuro diverso per chi le subisce: unico scopo della scuola è la violenza fine a se stessa, per piegare la resistenza e cancellare la possibilità stessa di sentirsi esseri umani.
Un libro come I ragazzi della Nickel fa sentire tutta l’impotenza e l’ingiustizia di un sistema sbagliato. Un sistema che è stato parte integrante degli Stati Uniti d’America per più di cinquant’anni i cui effetti continuano però a riverberarsi e a perpetrarsi ancora oggi.
La figura di questo ragazzino pieno di ideali e di sogni, grande estimatore di Martin Luther King, che anche quando finisce nell’istituto correzionale soltanto perché viaggia su una macchina sbagliata, non perde la speranza; è convinto che se si comporterà bene, terrà bassa la testa, ubbidirà, riuscirà ad uscire da lì in brevissimo tempo e potrà riprendere la sua vita esattamente da dove l’ha lasciata, fa tenerezza e rabbia allo stesso tempo. Perché le regole che possono valere fuori dalla Nickel non valgono dentro. Cosa sia giusto o sbagliato, quali comportamenti siano da punire e quali da lodare sono stabiliti in modo arbitrario. Non ci sono regole che mettano al riparo da una punizione anche se ingiusta. Non esiste nessuno a cui poter denunciare quello che accade o che possa intervenire per riequilibrare gli abusi subiti.
«Il problema era che, anche se cercavi di evitarli, i guai potevano raggiungerti ed agguantarti lo tesso. Un altro studente poteva fiutare una tua debolezza ed attaccare briga, o magari un membro del personale non gradiva il tuo sorriso e voleva cancellartelo a pugni. Potevi cadere dentro un altro ginepraio di sfortuna come quello che ti aveva portato alla Nickel.»
E nonostante tutto Elwood risplende, perché ha la convinzione di poter in qualche modo cambiare le cose non solo per se stesso ma per tutti quelli che sono nella sua stessa condizione. Un’idealista resistente e puro, che crede nell’utopia del cambiamento.
Leggere I ragazzi della Nickel ti fa venir voglia di urlare, di prendere a pugni un muro, anche perché ti accorgi che storture del genere, abusi dei mezzi di correzione, atteggiamenti basati sull’autoritarismo e sulla violenza sono tuttora all’ordine del giorno e senti tutta la tua impotenza e la tua incapacità a fare la differenza a cercare di cambiare un sistema marcio che continua a non rendersi conto che violenza chiama solo violenza, che chi subisce violenza riproporrà lo stesso schema e si comporterà come chi l’ha usata per primo su di lui.
«La scuola accompagnava alla porta i ragazzi il giorno del loro diciottesimo compleanno, con qualche spicciolo e una rapida stretta di mano. Liberi di tornare a casa o di trovare la propria strada in un mondo incurante, probabilmente deviati su uno dei binari più difficili della vita. I ragazzi arrivavano alla Nickel già guastati in vari modi, e subivano altri danni mentre erano lì. Spesso li attendevano passi falsi più gravi e istituti più spietati. I ragazzi della Nickel erano fottuti prima, durante e dopo il periodo che trascorrevano alla scuola, se si voleva descriverne la traiettoria generale.»
E il romanzo di Whitehead gela il sangue anche perché ispirato alla vera storia dell’Arthur G. Dozier School for Boys di Marianna, in Florida, istituto correttivo chiuso solo nel 2011, quando, nei pressi dell’istituto, furono scoperti tombe clandestine con più di 50 corpi seppelliti e non dichiarati, che mostravano segni di un grave stato di malnutrizione, ferite da arma da fuoco, tumefazioni e traumi causati da percosse.
Colson Whitehead non indulge al pietismo, racconta con misurata partecipazione una storia vera, mettendo in luce tutto l’abominio e l’ipocrisia di un sistema e denunciandolo. In poco più di duecento pagine conduce il lettore nell’inferno e gli pone delle domande che continueranno a risuonare a lungo nella sua testa.
I ragazzi della Nickel di Colson Whitehead – Mondadori (2019) traduzione di Silvia Pareschi – pag. 213