Il manifesto di Baldwin

Quanto dolore emana da queste poche pagine, che rappresentano il manifesto politico di James Baldwin. Due lettere: la prima rivolta al nipote James, in cui lo esorta a credere in una società più giusta e a combattere per ottenerla, lottando contro l’arroganza e la superiorità dei bianchi che hanno costruito un mondo diviso e basato sull’odio.

“Tu sarai distrutto soltanto se crederai di essere veramente quello che il mondo bianco chiama sporco negro. I bianchi non ti riconoscono il diritto di aspirare all’eccellenza, per loro hai diritto solo alla mediocrità”.

“Questo paese innocente ti ha confinato in un ghetto, e in questo ghetto è stabilito che tu marcisca. Sarò più preciso, perché qui è il nocciolo della questione, è qui l’origine della polemica mia col mio paese: tu sei nato dove sei nato e hai di fronte a te il futuro che hai perché sei nero, per questa e nessun’altra ragione.”

La seconda, in cui ripercorrendo la sua vita, fa una serie di riflessioni sulla potenza della religione, nella ricerca di potere che vi si annida, sull’utopia delle idee su cui sono fondati i movimenti per l’integrazione come i Black Muslins e quello del Nation of Islam, per arrivare ad invitare tutti a considerarsi fratelli senza tener conto del colore della pelle, perché solo l’amore, inteso come comunione e fratellanza universale può portare non alla distruzione reciproca ma alla vita.

Pubblicato per la prima volta nel 1963, periodo in cui l’America mostrava il suo volto più razzista, con leggi che discriminavano duramente i neri, negando loro i più elementare diritti civili, il testo entra nel vivo della cosiddetta “questione nera”.

Non è una lettura facile, intanto per la quantità di argomenti che tira in ballo, ma soprattutto per la densità ed importanza dei riferimenti di cui queste lettere, ed in particolar modo la seconda, sono intrise.

Baldwin, e in questo si differisce da Richard Wright, ha chiaro fin da subito che, essendo nero, a lui sono precluse molte strade, che non potrà fare quello che vuole, perché lo sguardo del bianco e il potere che detiene lo incolleranno ad una vita di sottomissione ed accettazione. In questo destino già scritto il rischio di imbattersi nella violenza e farne parte è altissimo. Se non hai prospettive, non hai vie d’uscita, non hai possibilità di evoluzione, la possibilità che tu divenga un delinquente, è altissima e lui per evitare questo sceglie la via della chiesa.

Non volevo che fossero i bianchi a dirmi chi ero io, in tal modo confinandomi e sbarazzandosi di me. E invece, naturalmente, mi si sputava addosso, ero confinato, condizionato e segregato e avrebbero potuto sbarazzarsi di me senza alcun sforzo. Ogni ragazzo nero nella mia situazione, quantomeno in quegli anni, che giunge a questa conclusione, capisce immediatamente e definitivamente – perché suo desiderio è vivere – che il pericolo al quale è esposto è grande e che deve trovare immediatamente “qualcosa”, una scappatoia che lo porti via di lì e gli apra una strada.

Colpito dal pathos che si respira durante le funzioni (i canti al Signore, il ritmo dei corpi che si dimenano, le invocazioni esasperate) inizia a predicare, fino a diventare un punto di riferimento per la comunità.

Ma la riflessione che la chiesa è comunque esercizio di un potere bianco “… perché la chiesa cristiana fosse fondata, Cristo dovette essere messo a morte da Roma e che il vero architetto della chiesa cristiana non fu il malfamato ebreo con la pelle scurita dal sole, ma lo spietato, fanatico e farisaico san Paolo.”; il fatto che persino la chiesa stigmatizza i neri come discendenti di Cam e la sostanziale acquiescenza alla violenza e disuguaglianza dei cittadini neri, lo fanno allontanare da essa. Per Baldwin la chiesa ha agito con arroganza e crudeltà senza limiti, per imporre la propria religione, senza tener conto, ma anzi calpestando quelle che erano le culture e le religioni preesistenti e tutto per affermare il proprio potere e sfruttare tramite quello i territori conquistati. Soltanto abbandonando le ipocrisie, le inibizioni e i delitti di cui la chiesa è intrisa e riflettendo a fondo sulla morale ci si può avvicinare a Dio.

Questa sua riflessione però non lo porta ad abbracciare le idee di Elijah Muhammad, leader di “Nation of Islam”, che negli anni sessanta spopolava in America e la cui dottrina si fondava sulla certezza storica della natura diabolica dei bianchi. Era stato lo stesso Allah a concedere di creare l’uomo bianco e la donna bianca (“ancor più disastrosa creazione”), determinando però che potessero regnare soltanto per un certo numero di anni, che erano ormai agli sgoccioli. Questa dottrina aveva trovato grande accoglienza nella comunità nera per il miglioramento sociale che il carisma e le capacità di Muhammad avevano apportato: controllo della diffusione della droga, cura dei tossicodipendenti e degli alcolizzati, controllo sugli ex-detenuti in modo che non finissero nuovamente in carcere. Un grande successo nonostante la dottrina fosse folcloristica e assolutamente priva di fondamento storico e scientifico. Inoltre, il movimento del Nation of Islam e quello dei Black Muslins sostenevano, pur nelle loro posizioni differenti, l’afroislamismo secondo cui i discendenti della schiavitù dovevano abbracciare la religione islamica e far nascere una nazione nera, separata da quella bianca: realizzando di fatto il segregazionismo.

Idee che non convincono Baldwin: per lui la glorificazione di una razza porta in sé l’idea della demonizzazione ed inferiorità delle altre razze, come è avvenuto in Europa nella folle teoria eugenetica dell’ariano perfetto della Germania nazista.

Nonostante il pessimismo che permea il pensiero di Baldwin e l’inadeguatezza della religione e dell’atteggiamento dell’uomo, soprattutto bianco, di cambiare le cose, Baldwin rivendica l’uguaglianza umana, sociale e politica, i bianchi e i neri hanno bisogno gli uni degli altri e la libertà degli uni non può esistere senza la libertà degli altri. Soltanto accettando l’altro, senza esaltazioni di superiorità di una razza sull’altra e puntando sull’amore: non inteso come aspirazione alla felicità individuale ma come aspirazione a migliorarsi, ad evolversi in quanto uomo, si può pensare ad un futuro di non violenza e di apertura all’altro che permetta finalmente una vera, reale, concreta integrazione e uguaglianza tra bianchi e neri. Altrimenti, se i bianchi e i neri non metteranno fine all’incubo razziale  avverrà la profezia biblica con cui si chiude il libro.

“God gave Noah the rainbow sign,

No more water, but fire next time”

La prossima volta il fuoco di James Baldwin – Fandango libri (2020) – pag. 118

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