Cosa accade quando una giovane orfana, goffa e inesperta, cresciuta in un orfanotrofio, che vive facendo la dama di compagnia ad una vecchia snob, logorroica, e decisamente troppo curiosa, incontra un affascinante e misterioso gentiluomo vedovo? E all’incontro fortuito in un grande hotel di Monte Carlo e la conseguente provvidenziale influenza che mette fuori gioco la vecchia signora, e dà parecchio tempo libero alla ragazza, segue l’improvvisa e assolutamente inaspettata proposta dell’uomo di sposarlo? E di andare con lui a Manderley, in Cornovaglia, la bellissima proprietà molto conosciuta e decantata, un luogo che anche la ragazza conosce visto che da ragazzina ha addirittura acquistato una cartolina con il ritratto della villa sopra?
Parrebbe l’inizio di una fiaba o di un sogno…
Peccato che la giovane, arrivata a Manderley, sia totalmente inadeguata al ruolo che le spetta. E cominci a farsi spazio nella sua testa il paragone, inevitabile e pressante con la prima moglie, donna bellissima e perfetta, morta annegata circa un anno prima, di cui il marito non parla mai, ma che è una costante presenza negli oggetti e negli usi della casa e della servitù.
Rebecca aleggia nei giardini, di cui ha scelto le piante, nelle stanze della grande dimora, che ha disposto ed arredato con gusto squisito, nelle tante feste che, chi va a portare omaggio alla nuova moglie di Maxime de Winter, continuamente rievoca. Persino la vecchia cagna, ogni volta che entra in biblioteca alza il muso sperando di vederla ricomparire. La casa è poi retta dall’inquietante governante signora Danvers, arcigna e malevola, affezionata alla prima padrona, che conserva come un reliquiario tutto ciò che le è appartenuto, che continua a spolverare e conservare la sua camera nell’ala ovest come se la padrona potesse da un momento all’altro fare rientro. La donna non perde occasione per far sentire inferiore la nuova signora de Winter, meno raffinata, meno bella, meno adatta ad attraversare i saloni di Manderley e riempirli con la sua presenza ineffabile.
Il confronto tra la personalità ricca e piena di fascino della prima moglie e la sbiadita e scialba protagonista è inesorabilmente a sfavore di quest’ultima. Nella sua testa rimbomba la domanda di come sia possibile che Maxime abbia scelto lei, insipida ed incolore, dopo aver amato l’incomparabile Rebecca?
E Rebecca, come un fantasma, frutto della fantasia e dell’inadeguatezza della giovane, è dappertutto.
La prima parte del romanzo di Daphne du Maurier è tutto giocato sui richiami, sugli echi, sull’immagine di Rebecca, che non c’è, ma è più presente che mai. E sull’inevitabile raffronto tra questa donna morta, ma non dimenticata, e la giovane voce narrante. Una giovane, di cui, oltretutto, non conosciamo nemmeno il nome, evanescente, timida e impacciata, inadeguata alle circostanze e soprattutto inesperta di tutto.
Si aggira nella casa non come padrona, ma come ospite, si perde nei labirinti di Manderley, senza il coraggio di spostare nemmeno una sedia, cerca di farsi ombra, tra le ombre, e nella sua testa giganteggia sempre più la prima moglie, che andava a cavallo, a caccia, che sapeva condurre una barca, che organizzava feste memorabili e sapeva farsi amare da tutti, rendendo ognuno speciale con la sua sola presenza.
Per l’insicura seconda signora de Winter, Rebecca è una presenza ossessiva e totalizzante da cui lei si sente inevitabilmente schiacciata. Una parte di incredibile suggestione, che produce nel lettore un senso di ansia che sale pagina dopo pagina.
Poi, nella seconda parte, il thriller psicologico ricco di suspense, che rendono questo libro un perfetto romanzo gotico, lascia il posto ad una sorta di giallo alla Agatha Christie. E il mistero di Rebecca si svela tra segreti e colpi di scena, in una tensione narrativa che tiene il passo fino all’inaspettato finale.
Un romano di atmosfera, di suggestioni, in cui l’immaginazione gioca un ruolo da protagonista così come la splendida dimora avita dei de Winter: Manderley, un luogo magico, che per certi versi e in alcune parti diventa protagonista assoluta
D’un tratto il cupo fogliame si schiuse a mostrarmi una radura, e un lembo di cielo, e in un attimo gli alberi s’erano diradati, gli ignoti cespugli erano scomparsi, e dalle due parti si ergeva una muraglia di colore, d’un rosso sanguigno, alta assai oltre le nostre teste. Eravamo in mezzo ai rododendri. Quella rivelazione così improvvisa mi aveva causato una sorpresa tanto brusca ad rasentare il malessere. I boschi non mi avevano preparato a quello spettacolo. I fiori mi turbavano con le lor facce cremisi, ammassate le une sulle altre in una profusione incredibile, tanto che non si vedeva una foglia, non un ramo, nulla fuorché quel sanguigno rosso, lussureggiante e fantastico dissimile da qualsiasi altro rosso di rododendri che avessi mai veduto.
…
Ci avvicinavamo alla casa: vidi al strada allargarsi, formando la spianata cui m’ero attesa, e accompagnati sempre dalla sanguigna muraglia svoltammo per l’ultima volta e fummo, finalmente, a Manderley. Si era là, quel Manderley, tanto agognato, il Manderley della mia cartolina illustrata. Una cosa di grazia e di bellezza, impeccabile e e squisita, più leggiadra di quanto non l’avessi sognata, era là, annidata come in una custodia di verdi praterie e di erbite terrazze, che digradavano verso giardini, e i giardini digradavano vero il mare.
Rebecca della scrittrice, drammaturga e poetessa Daphne du Maurier, pubblicato nel 1938 fu il romanzo più letto di quell’anno (quarantamila copie in un mese), Dal romanzo fu tratto il primo film girato ad Hollywood da Alfred Hitchcock nel 1940, con protagonisti Laurence Olivier e Joan Fontaine, vincitore di due Premi Oscar. Nel 2020 il regista Ben Wheatley ha gitrato una nuova versione con Lily James, Armie Hammer e Kristin Scott Thomas, nei panni dellam signora Danvers.
La mia è una versione davvero vintage del 1954. in due volumi, recuperata dalla biblioteca di mio nonno.