Era da tanto che non trovavo così difficile parlare di un libro. Un romanzo che oltretutto mi è piaciuto e molto. Un romanzo apparentemente semplice, lineare, una storia che parla di ritorno, di famiglie che nascondono la loro infelicità, di rapporti imperfetti e sfilacciati che cercano di trovare un modo per sopravvivere o per spezzarsi per sempre.
Divorzio di velluto, però in questa apparente lineare semplicità, è un insieme di più storie e porta a galla tantissimi temi, molto più complessi di quanto non sembri.
A partire dal linguaggio: nasciamo e a poco a poco impariamo una lingua, strutturata e definita da tempo immemore e con lei una serie di schemi mentali inconsci, è più che probabile che la nostra lingua madre e le strutture che la costituiscono ci condizionino e determinino il nostro modo di pensare e poi di conseguenza di agire.
«Il modo in cui si osserva il mondo è determinato totalmente, o in parte, dalla struttura della propria lingua madre.»
Personaggio centrale è Katarina, che torna a Bratislava a casa dei genitori per festeggiare con loro il Natale. Una festa proibita durante il regime comunista, ma che la madre considera invece come festa principe, con tradizioni e usi da rispettare. Rientrare nella casa dei genitori non è facile per lei che ha un rapporto conflittuale con la madre; una terribile nostalgia verso la sorella, che dopo l’ennesimo attacco da parte di quest’ultima, che l’ha definita “guasta”, ha deciso di andare negli Stati Uniti; un affetto profondo verso il padre, un uomo schiacciato dalla violenza verbale della moglie; una tenerezza verso la famiglia che è riuscito a crearsi il fratello.
Katarina osserva i membri della sua famiglia, sente il distacco dal loro mondo e dal loro modo di essere. Vorrebbe in qualche modo proteggere il padre dal vuoto che imperversa in quella casa e che la madre, invece, affronta urlando con parole rabbiose.
«Ogni volta che rimango qui da solo con tua madre, mi sembra di subire una trasformazione, come se mi stessi disintegrando. C’è un vuoto attorno a noi, tua madre la riempe con le parole, lo sopporta meglio così, con le parole urlate. Grida, perché quel vuoto è spaventoso.»
Katarina che, però, non è riuscita a crearsi un suo mondo. Il matrimonio con Eugen, forse deciso troppo in fretta, non si è rivelato quello che auspicava. Non è riuscita a fargli spazio nella sua vita, lo ha lasciato fuori da tante troppe cose.
«Lo rifarei. In quei giorni eravamo felici. Io lo ero. Dopo non lo so. Non riesco a sentirti, non mi lasci mai entrare», ha scosso la testa. «Sei un rompicapo troppo difficile per me, non ce l’ho fatta.»
La loro separazione probabilmente sarà come quella dei loro due paesi: di Velluto. Un divorzio senza spargimenti di sangue, senza apparente dolore. Ma chi è passato dall’esperienza di una separazione sa benissimo che non esiste un distacco indolore, perché dividere vuole comunque dire accettare un fallimento, un progetto che congegnato in un certo modo non ha trovato le basi per ergersi e vivere e si è dissolto.
Accanto alla protagonista vorticano le vite e le scelte di tanti altri.
C’è Viera, un padre ceco e la madre slovacca, che non hanno mai parlato la stessa lingua, creando un muro già nel modo di relazionarsi. Ha scelto di vivere in Italia, di allontanarsi dalla sua famiglia spezzata per costruirsi nuove relazioni e nuovi orizzonti.
«I miei genitori non hanno mai parlato la stessa lingua, non solo a me ma anche fra di loro, una lingua comune. Ho imparato subito a distinguere lo Slovacco dal Ceco, stavo attenta a non mescolare le due lingue, se storpiavo una delle due uno si divertiva, l’altro se la prendeva.»
«Se camminavo per strada con mio padre diventato una Ceca, se era mia madre a tenermi per mano ero Slovacca, almeno per il mondo attorno a noi. La lingua ti etichetta subito. Non voglio più sembrare una straniera.»
Viera che non si fa mai grandi scrupoli “La sua non era cattiveria, ma un modo per mettersi al riparo, di divorare invece di essere divorata”.
C’è Eugen, che sposando Katarina per la prima volta si è messo in contrasto con i genitori, uscendo dalla nicchia di una vita già scritta, con le amicizia giuste, il lavoro giusto, la cerchia giusta. Ma non è stato capace di penetrare nella complessità della sua compagna, che l’ha vista allontanarsi progressivamente da lui, che ha preferito allontanarsi anche lui da lei.
“Che era stato lui che aveva mancato la perfezione o che forse era lei che portava dentro tutti quei buchi?”
C’è, poi, una nazione spezzata in due. La Cecoslovacchia che solo tre anni dopo la caduta del regime comunista e della cortina di ferro, si è divisa un due stati indipendenti Repubblica Ceca e la Slovacchia.
Ci sono tante storie che si sovrappongono in queste poche pagine, dando risalto a tante voci e tanti strappi.
Come scrive Eugen, nella dedica che accompagna il regalo di natale “nessuno è perfetto”, o meglio come rigira nella sua testa Katarina “tutti sono imperfetti”.
Ognuno deve fare i conti con ciò che avrebbe voluto e non è stato, con le persone che si sono allontanate, con chi non ha avuto il coraggio di fare scelte definitive ed importanti, con una terra straniera che ti accoglie, ma che non è comunque la tua casa.
Divorzio di velluto parla di imperfezioni, di incapacità a lasciarsi andare, a mettere nelle mani di un’altra persona la sfera più intima e segreta di noi stessi, il nucleo fondante di quello che siamo.
Un romanzo sul malessere, sullo straniamento, sul dolore
«Era tutto molto veloce, ma quando si arriva ad un bivio, la vita sceglie e Katarína sapeva che poteva solo seguirla. Le parole non dette, le attenzioni mancate sono quelle a far maturare le decisioni. Sembrano brusche, le scelte, ma solo perché arrivano addosso sul momento: una punta dell’iceberg che finalmente si vede.»
Divorzio di velluto di Jana Karsaiovà – Feltrinelli (2022) – pag. 159