Il dottor Zivago è la storia di un medico, la cui vita viene travolta prima dallo scoppio della Grande Guerra e poi dalla Rivoluzione d’Ottobre.
Un libro che riassunto perde gran parte del suo fascino, soprattutto perché è un romanzo estremamente descrittivo, in cui i paesaggi a perdita d’occhio, l’orizzonte che si perde all’infinito allargano ed inglobano la storia, che pare avere come veri protagonisti questi sconfinati orizzonti su cui ritroviamo sempre la presenza di un treno: vi si vivono storie, rimangono fermi sulle rotaie, fanno parte del paesaggio, sono armi, case, quartier generali.
Pasternak sceglie di scrivere un romanzo per comporre un grande affresco della Russia e dell’Unione Sovietica dei primi decenni del Novecento. Eppure il suo protagonista, il medico Jurij Zivago, seppur passi attraverso le vicende più significative del suo paese (la prima guerra mondiale, la rivoluzione, la guerra tra i comunisti rivoluzionari e le truppe fedeli allo zar), non ha nulla dell’eroe combattente a lungo celebrato dalla letteratura sovietica. Lo scrittore più che esprimere un giudizio sugli avvenimenti storici (esaltando o condannando la rivoluzione sovietica), vuole mostrare il significato di una vita individuale travolta dalla Storia e le difficoltà di vivere in una dimensione privata quando la dimensione pubblica tende ad inglobare e assorbire tutto il resto.
Pasternak racconta, senza approfondire e soprattutto senza prendere posizione, la rivoluzione bolscevica e la guerra civile fra bianchi e rossi che determinò la caduta degli zar.
Il suo sguardo, e il racconto di conseguenza, si sofferma soprattutto sulle carestie, la miseria, lo spostamento obbligato di uomini e donne, costretti a cercare di rifarsi una vita o in alcuni casi addirittura a sopravvivere lontano dalle proprie origini.
Pasternak, non esalta la rivoluzione come chi l’ha appoggiata né la demonizza come chi l’ha osteggiata, riporta soltanto la verità di chi vi si è trovato in mezzo, con una quotidianità distrutta alle spalle e niente di certo o chiaro all’orizzonte. Un orizzonte che semplicemente, non esiste più, perché non vi è alcun futuro, non vi è alcuna certezza, nessun vero scopo se non la mera sopravvivenza.
Lo stesso ritmo narrativo ne tiene conto, se le prime parti scorrono velocemente, come se la Russia stesse roteando su se stessa ad una folle velocità, e si dirigesse a passo di carica verso l’autodistruzione; una volta avvenuta la detonazione rivoluzionaria, la narrazione diviene lenta, decelera, pare quasi fermarsi. Una lentezza che simboleggia l’attesa che “succeda qualcosa”, che qualcuno faccia qualcosa, indichi la via giusta, che rappresenta l’impasse in cui tutto un Paese è caduto.
Il dottor Zivago è anche il racconto di un uomo contemplativo che sceglie la medicina ma ama scrivere poesie. Un uomo che osserva al realtà che lo circonda, che pare non prendere mai posizione. Un uomo dalla sensibilità profonda e dal carattere complesso, un osservatore della natura e dei fenomeni sociali che lo circondano, che utilizza le poesie come mezzo per comprendere quello che vive e vede.
Un uomo che sposa la donna con cui è cresciuto, anche se poi il suo grande amore è Lara
Oh, che amore era stato il loro, libero, straordinario, a nulla somigliante! Pensavano come altri cantano: non si erano amati perché era inevitabile, non erano stati “bruciati dalla passione”, come si suol dire. Si erano amati perché così voleva quanto li circondava: la terra sotto di loro, il cielo sopra le loro teste, le nuvole e gli alberi. Il loro amore piaceva a ogni cosa intorno, forse anche più che a loro stessi: agli sconosciuti per strada, agli spazi che si aprivano dinanzi a loro nelle passeggiate, alle stanze in cui si incontravano e vivevano.
Un amore che viene sempre considerato il fulcro e il centro di questo romanzo, ma che nelle pagine risulta meno plateale, appassionato ed estremo di quanto risulti nel film del 1965 diretto da David Lean, con Omar Sharif e Julie Christie.
Un romanzo in cui tutti i personaggi in un modo o nell’altro sono collegati tra loro per una serie di casi del destino. Ognuno trova una sua dimensione e un suo racconto, seppure, come detto prima, veri protagonisti siano i luoghi, le atmosfere, i cambiamenti di stagione o di tempo.
Pasternak dà origine ad una grande narrazione, che pur ricordando i romanzi ottocenteschi se ne distacca. Il suo interesse più che seguire le vicende dei suoi protagonisti è quello di comporre grande ‘poema in prosa’, nel quale le scene vengono accostate e spesso accavallate l’una all’altra, con un procedimento più poetico che narrativo.
Pare poi la trama di un incredibile romanzo la genesi della pubblicazione de “Il Dottor Živago” che, concluso nel 1955, dovette affrontare mille peripezie prima di vedere la luce.
Pasternak, infatti, ne inviò alcune copie alla casa editrice sovietica Goslitizdat. Ma prima di essere pubblicato, l’opera doveva passare dalla censura e il romanzo, non aderendo a quei principi di esaltazione della rivoluzione bolscevica, non ne passò il vaglio.
Giangiacomo Feltrinelli, fondatore dell’omonima casa editrice, venne a conoscenza dell’esistenza del romanzo e , tramite un suo agente in Unione Sovietica, entrò in possesso di una copia direttamente da Pasternak, consapevole che così facendo contravveniva tutte le regole sovietiche che vietavano di prendere contatti con editori stranieri senza la previa autorizzazione delle autorità letterarie censorie del proprio Paese, al punto di dire “Siete invitati fin d’ora alla mia fucilazione”. Anche Feltrinelli iscritto al Partito Comunista Italiano rischiava molto, cosciente che la pubblicazione del romanzo avrebbe provocato, vista l’ortodossia politica e culturale del Pci, uno strappo violentissimo.
Le autorità sovietiche vennero subito a conoscenza della trattativa in corso per la pubblicazione del libro in occidente e fecero di tutto per farsi riconsegnare il manoscritto, compreso chiedere l’intervento del PCI, che però non sortì alcuna sorta. Ci furono tentativi di prendere tempo, ma Feltrinelli capì che in Unione Sovietica il libro non sarebbe mai stato pubblicato, ma che: “Non pubblicare un romanzo come questo costituisce un crimine contro la cultura”, come aveva detto Pietro Zveteremich.
“Živago”, disse Feltrinelli “richiese una decisione difficile e solitaria. Chi avrebbe potuto, infatti, consigliarmi in quel frangente? Insomma non fu, come è quasi sempre per i best seller, un colpo di fortuna, ma una decisione che coinvolgeva passato, presente e avvenire”.
Il 22 novembre 1957 Il dottor Živago uscì per la prima volta in libreria e il successo fu straordinario. Nell’arco di due o tre giorni vennero vendute seimila copie e la tiratura dovette essere aumentata. Il primo best seller era nelle librerie italiane.
Con il successo editoriale arrivarono anche reazioni durissime: per Feltrinelli, da parte del Pci, che lo sommerse di critiche; per Pasternak, nell’Urss, dai quotidiani sovietici arrivò una valanga di infamanti accuse. Peggiorate dall’arrivo di un telegramma dall’Accademia svedese con il quale gli comunicavano di volergli conferire il Nobel per la letteratura. La consegna avrebbe dovuto tenersi il 10 dicembre 1958, a Stoccolma, davanti all’Accademia e al re. L’Unione degli scrittori russi lo espulse e fece pressione affinché, nel caso Pasternak avesse accettato il premio, fosse privato della cittadinanza e relegato al confino. In Occidente l’opinione pubblica si mobilitò in suo favore, ma questo non bastò. Pasternak si trovò costretto a rifiutare il premio Nobel: il colpo finale per un uomo già provatissimo che pochi mesi dopo, il 30 maggio 1960, morì.
Il dottor Zivago di Boris Pasternak -La Biblioteca di Repubblica (2002) – pag. 574